giuliano

sabato 3 dicembre 2016

GLI OCCHI DEL PADRE SUO (in sé stesso) (17)





















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Gli occhi del padre suo (in sé stesso) (16/1)

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The moon Hoax (Seconda parte) (18)














Il passaggio di Giuliano sul trono imperiale fu la comparsa di una meteora luminosa che, appena accesa, si e spenta.
Egli, quindi, non ebbe il tempo di lasciare, nei fatti e nelle cose, l’impronta duratura della sua azione. La sua memoria non vivrebbe che nella caricatura che ne hanno disegnata gli scrittori cristiani, e parrebbe quasi che l’opera sua si fosse limitata alla guerra contro il Cristianesimo e ch’egli fosse un uomo odioso e vituperabile, se non ci fossero rimasti i suoi scritti che sono lo specchio genuino del suo carattere, delle sue intenzioni, delle doti e dei difetti del suo spirito eccelso.
E vero  che noi abbiamo in Libanio ed in Ammiano Marcellino le prove dell’ammirazione che Giuliano aveva destata nei suoi contemporanei. Ma Libanio e sospetto, perché troppo interessato e compromesso nell’impresa della restaurazione politeista, e Ammiano Marcellino non ha autorità sufficiente per tener testa a Gregorio di Nazianzo, a Socrate, a Sozomene, a tutta infine la tradizione cattolica.




Così la figura geniale di Giuliano e venuta ai posteri, portando in fronte il marchio dell’apostata, e così si e dimenticato il fatto, che, dal punto di vista psicologico e storico, e il più curioso ed il più interessante di tutti, cioè, che questo sciagurato apostata, che aveva tentato di soffocare il Cristianesimo, era, per ogni riguardo, un uomo essenzialmente virtuoso, il migliore degli uomini che siano sorti sull’orizzonte della vita pubblica del Basso Impero.
Il buon Ammiano Marcellino, nel tessere, dopo averne narrata la morte eroica, l’elogio di Giuliano, ci dice come fosse insigne per la castità e la temperanza della vita, per la prudenza in ogni suo atto  Perfetta la sua giustizia, mitigata dalla clemenza, mirabile la sua conoscenza delle cose di guerra e l’autorità con cui governava i suoi soldati, impareggiabile il valore con cui combatteva, fra i primi, incoraggiava le sue schiere, le riconduceva alle battaglie, al primo segno di incertezza.




Saggia e moderata la sua amministrazione, così da alleggerire i tributi, da comporre le liti del fisco coi privati, da restaurare le finanze rovinate delle città, da mettere, infine, un freno al disordine spaventoso che regnava nell’avido e parassitico governo dell’Impero. E l’onesto storico non dissimula i difetti del suo eroe; ma son ben lievi in confronto alle virtù. Una certa leggerezza nel risolvere, un’eccessiva facilita ed abbondanza di parola, che doveva essere, diciamo noi, il riflesso di un’eccessiva impressionabilità, constatabile anche in quelli, fra i suoi scritti, che sono l’effusione schietta del suo spirito.
Finalmente, e questo era il difetto più grave di Giuliano, conseguenza inevitabile del suo sistema filosofico, una tendenza alla spiritualità (spesso in contrasto con l’essenza stessa delle fonti bibliche del Cristianesimo), per cui egli prestava alle esteriorità apparenti una conoscenza progressista di un naturalismo velato da ricercarsi ed individuarsi presso i suoi diletti filosi e non solo quelli. 
Tale il ritratto morale che Ammiano tratteggia del suo imperatore, del quale descrive anche la figura forte ed agile insieme, e ci fa vedere il volto, singolare per la barba irsuta che finiva in punta, oggetto di scherno per gli Antiochesi, e splendente per la bellezza degli occhi scintillanti, da cui trasparivano le arguzie della mente.




Giuliano diviene nei discorsi di Gregorio un TIPO INFERNALE intorno a cui si addensano le più oscure e stolte leggende.
Una volta, mentre stava sacrificando, le viscere delle vittime gli si disposero in forma di una croce incoronata; gli spettatori ne sentirono terrore, ma l’empio apostata spiego l’apparizione come un simbolo della sconfitta del Cristianesimo. Un’altra volta, Giuliano, guidato da un maestro dei sacri misteri, discende in una caverna. Ed ecco egli ode suoni orrendi, ed ecco gli si affacciano fantasmi spaventosi. Atterrito Giuliano, quasi senza pensarci, come difesa contro i demoni malvagi, corre all’esorcismo a cui era, da fanciullo, abituato e si fa il segno della croce. E tosto i rumori cessano e i demoni scompaiono. Due volte si ripete lo strano esperimento, due volte constata Giuliano la potenza dell’esorcismo cristiano. Egli e scosso; ma il maestro d’empietà che gli stava al fianco:
‘Che temi?’, gli dice.
‘I demoni fuggirono, non già perché ebbero paura della croce, ma perché ne ebbero ribrezzo’.
E Giuliano, persuaso da tale affermazione del suo maestro, discende con lui nella caverna.




Leggende assurde ma sintomatiche, perché rivelano il lavoro della fantasia popolare ed insieme la credulità e l’artifizio dei polemisti cristiani, i quali trasformavano l’utopistico ellenista, di null’altro innamorato che d’Omero e di Platone, in una figura demoniaca che incuteva spavento nell’animo commosso delle plebi cristiane.
Il grande sforzo di Gregorio e di far di Giuliano un feroce persecutore.
Ciò che più irritava, nell’atteggiamento di Giuliano, i difensori del Cristianesimo era la moderazione e la ragionevolezza con cui egli pretendeva di poter ricondurre il mondo all’Ellenismo antico. Che si potesse in altro modo, che con la violenza, combattere il Cristianesimo era, per quegli apologisti, affatto inammissibile, ed essi vedevano, in quel tentativo uno scandalo ed un pericolo supremo.
E perciò che il nucleo vero dei discorsi di Gregorio sta nella dimostrazione che, malgrado le apparenze, Giuliano ha perseguitati i Cristiani. E Gregorio e, in tale dimostrazione, un polemista di singolare abilità e falsità storica! Egli adopera, con grande efficacia, la punta del sarcasmo e dell’ironia, e tocca, molte volte, il falso.




Infatti che, nella mitezza di Giuliano, ci fosse una parte di compromesso è ben naturale ed oltremodo normale. Si può affermare, senza fargli torto, che la tolleranza di cui, nelle sue lettere, si fa vanto, non viene tanto da un giudizio imparziale e dal rispetto reale delle convinzioni altrui, quanto dalla persuasione che la tolleranza fosse un’arma migliore della persecuzione per raggiungere lo scopo che gli stava supremamente a cuore.
Ma Gregorio non riconosce affatto il vantaggio che, dall’atteggiamento del pagano imperatore, veniva ai Cristiani. ‘Giuliano’, egli dice, ‘dispone le cose in modo ch’egli perseguita, parendo di non farlo, e noi soffriamo senza l’onore che ci verrebbe, se si vedesse che soffriamo per Cristo’. La differenza che corre fra Giuliano e gli altri imperatori persecutori sta nel fatto che questi perseguitavano lealmente, e con animo apertamente tirannico, così che essi traevano gloria dalla violenza che esercitavano, Giuliano, invece, e, nella sua persecuzione, miserabilmente astuto e vile…. 
E CIO’ NON PUO’ CHE ESSER FALSO come del resto il motto e araldo con il quale Gregorio annuncia sua parola e credo… 
 Tutto il primo discorso di Gregorio è fatto per lo scopo di dimostrare che Giuliano era un persecutore.



Siccome questo e uno dei punti più interessanti la personalità dell’enigmatico imperatore, esaminiamolo ancora una volta.
Che Giuliano abbia abbandonato il suo principio moderatore, la sua norma di condotta che gli impediva di ricorrere alla violenza per ottenere il trionfo della sua causa, non v’è scrittore imparziale che lo possa affermare. Per quanti sforzi si facciano, non si riuscirà mai a trasformare il neoplatonico sognatore in un principe persecutore (semmai è pur vero il contrario, Giuliano fu il primo Eretico e per giunta Gnostico…).
Tuttavia, una tesi sostenuta dall’acutissimo Rode, ed oggi ripresa da un altro scrittore, nell’ultimo studio pubblicato intorno a Giuliano, è che, nell’azione di Giuliano, vi sia stata una specie di evoluzione, così che, cominciata sotto l’ispirazione di una grande temperanza ed equa umanità, sia poi andata mano mano inacerbendosi per modo da presentare, sulla fine, degli atti di rigore, che, se proprio non si possono identificare a procedimenti di persecuzione, vi si avvicinano assai.




A me pare che questa tesi sia affatto artificiosa e rispondente, più che altro, ad uno schema preconcetto. Intanto, il regno di Giuliano fu così breve, da non permettere un’evoluzione fondamentale del suo pensiero. E poi quelle sue azioni non si lasciano affatto disporre nell’ordine cronologico che si vorrebbe loro imporre, per dedurre la conseguenza che Giuliano precipitava alla persecuzione.
 Così, uno degli atti suoi che, a torto, a nostro parere, ma che pure da uno scrittore partigiano, come Gregorio, potevano essere messi sotto la luce sinistra di una persecuzione religiosa, la condanna dei cortigiani di Costanzo, avvenne proprio all’esordio del suo regno, mentre l’editto di disapprovazione degli Alessandrini per l’uccisione del vescovo Giorgio, fu scritto da Antiochia. Quanto alle sommosse, ora dei Cristiani contro i Pagani, ora di questi contro quelli, ne avvennero parecchie durante il suo breve regno. Ma e impossibile il dire ch’egli le fomentasse per infierire contro i Cristiani. Vedemmo, anzi, come, in casi gravi, egli si appagasse di pene puramente amministrative giacché come abbiamo già enunciato i più di loro erano corrotti se non al limite della delinquenza la quale giocava un ruolo favorevole per l’ascesa voluta senza per questo badare ai suoi dubbi metodi contrari alla società… METODI IN CUI IL CRISTIANESIMO SI RICONOSCEVA NELL’UOMO… DELLA FOLLA E NON PIU’ IN QUELL’ATTO PRIMITIVO VICINO ALL’ORIGINE CUI POSSIAMO RICONOSCERE UNA SIMMETRIA DI INTENTI GIACCHE' IL PAGANO IN SOSTANZA NON FACEVA CHE RIPETERE CIO’ DA CUI APPARENTEMENTE FUGGIVA…. In questo conflitto più di natura psicologica che morale possiamo ricordare il suo passato l’infanzia…



  
 Corse per lungo tempo e con grande velocità ed io non smettevo di tenergli dietro, portato quasi dalla mia stessa meraviglia, deciso fino in fondo a non desistere da quella indagine che avevi assorbito tutt’intere le mie facoltà. Correvamo ancora quando sorse il sole e quando raggiungemmo ancora una volta il centro della città popolosa, e cioè a dire la via del caffè D., noi vi ritrovammo, nuovamente desti, il movimento e l’attività della calca che lo avevano caratterizzato il giorno innanzi.
E in quel tumulto che s’accresceva ad ogni istante, io continuai vieppiù l’inseguimento dello sconosciuto. Ed egli, come la notte precedente, non faceva che andare e venire, né, per tutt'intera quella giornata, ebbe benché minimamente ad allontanarsi dal vortice spietato di quella via. Annientato dalla fatica com’ero, al cader della seconda sera, affrontai risolutamente lo sconosciuto e lo fissai negli occhi.
Ma egli fece la vista di non accorgersene.
E riprese, d’un subito, la sua solenne andatura, mentre io rimanevo immobile a riguardarlo, e a seguirlo non mi bastava più l’animo.
‘Questo vecchio’, dissi allora a me stesso, ‘è il genio caratteristico del delitto più efferato in nome e per conto del contrario. Egli non vuole rimanere solo….
È l’uomo della folla...
Sarebbe invano che lo continuassi a seguirlo, giacché non riuscirei a sapere di lui e delle sue azioni nulla più di quanto egli già non mi abbia fatto sapere.
Il più malvagio cuore che esista al mondo è un libro ancor più volgare dell’Hortulus animae e dobbiamo gratitudine alla pietà di Dio che es läßt sich nicht lesen’.
(E. A. Poe)

















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