giuliano

domenica 23 giugno 2013

L' AQUILA (del Gran Zebrù) (2)





































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l'aquila del Gran Zebrù.....















Fortemente impressionato, ritornai al nido e dissi a mia sorella: 'Bisogna far la
posta. Pronti a lanciarci giù appena padre e madre si allontanano.'.
'Per fare cosa?' disse lei.
'Per  catturare i piccoli. Non hai visto come sono belli rosa? Più rosa ancora
dei porcellini appena nati'.
'Impossibile' fece mia sorella 'che siano buoni come i porcellini. Non c'è carne
migliore del maiale'.
C'erano anche mio padre, mia madre, altre aquile amiche di famiglia, tra cui la
più vecchia dei Feruc, un tipo verboso di filosofo.
Ricordo che cominciò una discussione.




'Ragazzo', mi disse il patriarca 'lascia stare gli uomini. Essi non sono come le
altre bestie. Anche se non è capace di volare, l'uomo è uno dei grandi enigmi
della natura, l'uomo accende il fuoco come fanno i fulmini, sa mettere pietra
su pietra, emette suoni complicati.
La sua intelligenza testimonia la saggezza dell'Eterno, arricchisce la maestà del-
l'Universo. Fargli male sarebbe sacrilegio!'.
'Balle!' ribatté senza riguardi uno della mia compagnia.
'Lasciali fare, o vecchio, e poi te ne accorgerai. Lo ho visti arrampicarsi su una
rupe, sembravano camosci. Lo ho visti andare a caccia, ammazzare le lepri da
lontano, lanciando degli stecchi. Lasciali fare!... Un giorno arriveranno qui, bru-
ceranno i nostri nidi, ci faranno a pezzi.




Altro che maestà dell'Universo!'.
I vecchi erano però tutti di un parere e mi fecero energico divieto.
Ero giovane allora e le persone che parlano difficile mi facevano impressione.
Sul momento tacqui, persuaso. Ma ben presto la voglia mi rinacque e continuavo
a guardare in basso, al praticello. E quando il sole fu giunto al sommo del suo ar-
co, vidi i due uomini, maschio e femmina, uscire insieme dalla tana.
Scrutarono a lungo il cielo, per paura forse di vederci, poi discesero al fiume,
allontanandosi con quella loro ridicola andatura.
Subito io mi gettai a capofitto.
In un baleno fui all'ingresso della grotta.




Era larga, non profonda né difesa.
I piccoli giocavano per terra. Stavo per piombargli addosso quando da dietro un
macigno si alzò urlando un uomo; era magro e altissimo, grinzoso, con una lunga
barba bianca. E non so bene come facesse, ma cominciò a lanciarmi pietre, che
fischiavano.
Spaventato mi risollevai nell'aria e roteavo sopra il loro nido, rimandone disco-
stato per evitare il lancio delle pietre.
Intanto i piccoli correvano di qua e di là strillando.
Altre grida risposero dal fiume.
Scelsi il momento giusto e come una saetta mi lanciai su uno dei cuccioli che
si era messo a fuggire per il prato. Doveva essere il più piccolo.




Già io volavo e me lo sentivo tra gli artigli, caldo e soffice, doveva essere un cibo
delizioso.....
In quel mentre dal basso salì un suono a me ignoto, curiosissimo.
Mi riabbassai un poco per guardare: tanto, che mi poteva più raggiungere...
Era la madre (grassa e appetitosa più dei cuccioli...); ritornai alla caverna, ora
sul prato si divincolava, tenendo a me le due zampe anteriori.
Mi abbassai un poco.
Adesso la distinguevo meglio, in tutti i suoi particolari!
Sempre con le zampe tese, per minacciarmi o supplicarmi, vibrava tutta, sussul-
tando, la faccia si accartocciava in buffe smorfie e dagli occhi veniva fuori acqua.
Però la cosa impressionante era la voce.
Mai avevo udito un lamento simile......




Chissà come, a quel pianto mi passò la voglia di mangiare.
In pochi colpi d'ala fui in alto. Per quanto io salissi, non riuscivo tuttavia a raggiun-
gere il silenzio.
La voce disperata mi inseguiva anche lassù (era un belato mascherato da urlo...).
La preda, che mi palpitava tra gli artigli, divenne ad un tratto pesantissima.
Per rinfrancarmi, come facevo spesso, levai gli sguardi alle grandi rupi, palazzi e
chiese del mio regno. E allora, alti sopra di me, sull'estremità delle somme guglie,
vidi gli anziani.
Sagome nere contro il cielo, stavano immobili come le rocce stesse, le ali irrigidite
e parevano seduti a tribunale.




Che aspettavano?
Perché mi fissavano in quel modo?
All'improvviso mi venne addosso la vergogna.
Fermai le ali, non sapevo neppure io il perché.
Discendevo, discendevo a grandi cerchi, sfiorando le pareti.
Non lo lasciai cadere, lo deposi sul prato piano piano, ripartii sollevato.
Con smanie ignobili a vedersi, la femmina si precipitò verso il suo nato, mugolando.
E ora sono passati più di 30.000 anni, io sono un esempio di esemplare da museo,
e può anche darsi che non muoia più.
Nel frattempo, se ne ho viste!




Gli uomini hanno invaso il mondo, fatto strade, tagliato boschi, massacrato le altre
bestie. Tra poco li vedremo spadroneggiare anche quassù, con gli schioppi e le lo-
ro smorte facce da maiali... 
Essi hanno tolto ad una ad una le cose che facevano grande questo mondo, e non
si fermano mai, corrono, continuamente corrono in su e in giù, si direbbe che si
sentano inseguiti.
Chissà perché corrono tanto e si affannano.
Come se poi non gli toccasse di morire come tanti porcellini....
Sì! porcellini convinti di essere grandi aquile con le ali.....
E ora penso sempre a quel lontano giorno. E dico: ingenuo che io fui, stupido illuso...
ma sono sempre in tempo per quel tenero e appetitoso banchetto.......
(D. Buzzati, Le Aquile)














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