giuliano

martedì 10 settembre 2013

FRATE GIROLAMO VESCOVO DI 'CARAFA' (60)













Precedente capitolo:

Abitanti di governi e mondi sconosciuti (59)

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Il Primo (Dio) (61)











Fu a questo punto che risentito si alzò (da tavola...) frate Girolamo,
vescovo di 'Carafa', con la barba che gli tremava dall'ira, dallo sdegno
lui che aveva l'ardire e l'arguzia di tante ciarle seminate nei decenni
del suo vescovato, anche se poi le sue parole cercavano di apparire
concilianti.
E iniziò una argomentazione che a tutti parve alquanto confusa...
"Quello che vorrò dire al santo padre, e me medesimo che lo dirò, pon-
go sin d'ora sotto alla sua correzione, perché credo veramente che Gio-
vanni sia vicario di Cristo e per questa confessione fui preso dai sara-
ceni.
E inizierò citando un fatto riportato da un grande dottore (mio collega),
sulla disputa che sorse un giorno tra monaci su chi fosse il padre di Mel-
chisedec. E allora l'abate Copes, interrogato su questo, si percosse il
capo e disse: guai a te Copes perché cerchi solo quelle cose che Dio
non ti comanda di cercare e sei negligente in quelle che lui ti comanda!
Ecco, come si deduce limpidamente dal mio esempio, è così chiaro che
Cristo e la Beata Vergine e gli apostoli non ebbero nulla né in speciale
né in comune, che meno chiaro sarebbe riconoscere che Gesù fu uomo
e Dio al tempo stesso, e però mi pare chiaro che chi negasse la prima
evidenza dovrebbe poi negar la seconda".




Disse trionfalmente, e vidi Guglielmo che alzava gli occhi al cielo.
Sospetto reputasse il sillogismo di Girolamo alquanto difettoso (come
molte se non tutte le sue affermazioni...), e non so dargli torto, ma più
difettosa ancora mi parve l'adiratissima e contraria argomentazione di
Giovanni Dalbena, il quale disse che chi afferma qualcosa sulla povertà
di Cristo afferma ciò che si vede (o non si vede) per l'occhio, mentre
a definire la sua umanità e divinità interviene la fede, per cui le  due
proporzioni non possono essere messe alla pari.
Nella risposta, Girolamo fu più acuto (o forse più furbo) dell'avversa-
rio:
"Oh no, caro fratello",  disse, "mi par vero proprio il contrario, perché
tutti i vangeli dichiarono che Cristo era uomo e mangiava e beveva e,
per via dei suoi evidentissimi miracoli, era anche Dio, e tutto questo
balza proprio all'occhio!".
"Anche i maghi e gli indovini fecero dei miracoli", disse con sufficien-
za il Dalbena.
"Sì", ribatté Girolamo, "ma, per operazione d'arte magica, E tu vuoi
ugugliare i miracoli di Cristo all'arte magica?". Il consesso mormorò
sdegnato che non voleva così.




"E infine", continuò Girolamo che ormai si sentiva vicino alla vittoria,
"messere cardinale del Poggetto vorrebbe considerare eretica la cre-
denza nella povertà di Cristo quando su questa proposizione si regge
la regola dell'ordine come quello francescano, tale che non v'è regno
dove i suoi figli non siano andati predicando e spargendo il loro san-
gue dal Marocco sino all'India?".
"Anima santa di Pietro Ispano", mormorò Guglielmo, "proteggici tu".
"Fratello dilettissimo", vociferò allora il Dalbena facendo un passo a-
vanti, "parla pure del sangue dei suoi frati, ma non dimenticare che
questo tributo è stato pagato anche dai religiosi di altri ordini.....".
"Salva la riverenza al signor cardinale", gridò Girolamo, "nessun do-
menicano è mai morto tra gli infedeli, mentre solo ai tempi miei no-
ve minori sono stati ammazzati!". 
Rosso in viso si alzò allora il domenicano vescovo di Alborea: "Allo-
ra io posso dimostrare che prima che i minori fossero in Tartaria, il
papa Innocenzo vi mandò tre domenicani!".




"Ah sì?" cachinnò Girolamo. "Ebbene io so che da ottant'anni i mino-
ri sono in Tartaria e hanno quaranta chiese per tutto il paese, men-
tre i domenicani hanno solo cinque posti sulla costa e in tutto saran-
no quindici frati! E questo risolve la questione!".
"Non risolve alcuna questione", gridò l'Alborea, "perché questi mino-
riti che partoriscono pinzocheri come le cagne partoriscono cagnolini
attribuiscono tutto a sé, millantan martiri e poi hanno le belle chiese,
paramenti sontuosi e comperano e vendono come tutti gli altri religio-
si!".
"No, messere mio, no,", intervenne Girolamo, "essi non comperano e
vendono essi stessi, ma attraverso i procuratori della sedia apostolica,
e i procuratori detengono il possesso mentre i minori hanno solo l'uso!".
"Davvero?" sogghignò l'Alborea, "e quante volte allora tu hai venduto
senza procuratori, quante volte ti sei intascato le rendite dei (tuoi) be-
ni ... senza procuratori o gli esattori? Sappiamo tutti i qui presenti del-
la storia dei tuoi poderi....".
"Se l'ho fatto ho sbagliato", interruppe precipitosamente Girolamo, "non
riversare sull'ordine quella che può essere stata una mia debolezza!".
"Ma venerabili fratelli", intervene allora Abbone "il nostro problema non
è se siano poveri i minoriti, ma se fosse povero Nostro Signore....".




"Ebbene", si fece udire a questo punto ancora Girolamo, "ho su tale
questione un argomento che taglia come la mia Spada...".
"Santo Francesco proteggi i tuoi figli..." disse sfiduciatamente Gu-
glielmo.
"L'argomento è, continuò Girolamo, "che gli orientali e i greci, ben più
 familiari di noi con la dottrina dei santi padri, tengono per ferma la
povertà di Cristo. E se questi eretici e scismatici sostengono così lim-
pidamente una così limpida verità, vorremmo esser noi più eretici e
scismatici di loro??......".
(E a questo punto vedemmo tutti distintamente che si versò sulla ricca
carafa (donde il suo luogo d'origine) una bevanda fermentata con il lup-
polo e brindò verso la delegazione Alemanna appena tornata da un viag-
gio d'affari da quelle lontane contrade d'oriente......).

(U. Eco, Il nome della rosa)

















  

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