Precedenti capitoli:
Progetti fattibili (13)
Prosegue in:
Un nuovo progetto: il matrimonio: purezza & castità (15)
No!
E’ vero, non toccava a lei per prima, aprire il libro dei conti della
vita, ed io non chiesi la contropartita…
Passai la sera in un caffè, per le strade proprio il giorno di San
Valentino ultimo dei santi ultimo dei patroni ultimo dei luoghi ove avrei
voluto stampare o scrivere un libro, meditavo per il vero il problema della
decadenza…
Perché tanta pena lancinante alla vista di un uomo che cade!
Perché in ciò c’è qualcosa ‘contro natura’ almeno così ciarlano e
scrivono giacché propria quella reclama vendetta per una verità negata: il
falso ordine delle cose scritto nell’errata interpretazione della natura esige
il progresso (ed io odio il loro progresso…), lo sviluppo, ed ogni passo
indietro tradisce la ‘decomposizione’ delle forze nell’inganno della fine
scritta nel ‘futuro’ al teatro ove scrivo il copione nel falso loro progredire:
recita ad un palcoscenico odiato quanta la vista incompiuta che tal matrimonio
suscita…
Così nella vita sociale, in cui ciascuno aspira all’alto materialmente
e moralmente ne deriva il sentimento tragico dinanzi ad una caduta, tragica
come l’autunno, la malattia, la morte. Questa donna, che non ha ancora
trent’anni, che ho veduto giovane, franca, leale, forte, educata, eccola già
degradata, caduta in basso nel giro di pochi anni… Ma in realtà appare in alto
all’atto ove instancabile interprete dell’Opera incompiuta: orgasmo consumato e
poi fugacemente rinnegato giacché la donna vittima del proprio ed altrui
teatro…
Scusatemi non vado di fretta forse è lei cotal vergine appena venuta io
solo vittima della sua furia… Io son lento e non posso rischiare proprio in
questo giorno benedetto dal santo di turno un nuovo tribunale ove la parola
come ben avete letto stampata e rivenduta nonché inquisita…
Comunque ebbe la tentazione di attribuire a me la colpa, per attenuare
la sua ‘venuta’, il che mi avrebbe confortato, forse è la qualità non certo la
quantità che si sposa con il tradizionale talento…
E questo è sicuramente vero!
Procediamo…
Perché non ero in grado, proprio per ciò appena detto, di eleggermi a
capro espiatorio! Giacché ero io che le ispiravo il culto del bello, di ciò che
è superiore, e generoso, reale, autentico, mentre lei adottava i modi incolti
della serva, dei guitti, dei ciarlatani; io andavo nobilitandomi, apprendendo
buone maniere dell’alta sapienza, lei si dilettava alla più infima deficienza
spacciata per intelligenza…
Negli amori pensieri riflessioni gesti ed intenti ispiro linguaggio
cortese, imponendomi la misura che ostacolano gesti e linguaggi, che frenano le
emozioni: la scienza delle persone elevate.
Ma lei è solo carnale istinto, sì carnale in quanto ne fa ampio consumo
e mai digiuno: banchetti ove gli istinti sempre appagati e il pensiero
governato e conteso nel verbo fra un primo e un secondo elemento e meditate
quel che dico perché non certo si ragiona di elevata filosofica coscienza,
giacché tutto ciò che ne deriva una tavolata ‘follemente’ imbandita: a loro la
magnificenza d’una panza priva di qual si voglia spirituale sostanza; a me
l’Anima e il privilegio di ragionar per altro ed opposto istinto abdicato al
misero osso nominato follia in codesto paradiso, ed ove, se pur nobile da una cameriera licenziato… Ed appeso su per un uncino alla macelleria della parola
rivenduta ed incoraggiata dalla nuova scienza…
Sì è pur vero: nei miei amori conservo dei modi casti, riservati, sogni
di altri tempi, con rispetto del pudore, attento sempre ad non offendere la bellezza
e l’intelligenza non meno della convenienza, che fanno dimenticare il
sottofondo animale di un’azione che per me è più un rapporto con l’Anima che
col corpo, come appena detto e non recitato… alla stessa tavola ove disdico l’invito…
Così fedele al mio nome nei giorni successivi di questo innominato
amore mi chiudo in biblioteca sperando che il vasto repertorio di questo
‘vocabolario’ da osteria non invada l’Eternità dello Spirito e Dio!
Porto tutto il lutto del mio amore di ugual colore non di una donna ma
di una portiera… Amore superbo, folle e celeste!
Tutto defunto è sottoterra: per lei ossa e costole divorate e
sacrificate nel fugace pasto in nome del suo Dio; per me Spiriti di altri tempi…
Sì proprio questo il nostro confine principio di codesto confuso
delirio… Il campo di battaglia, dove si sono svolte lotte amorose, non campi di
fragile primavera o bianco immacolato annuncio di un Dio, ma il sapore un po’
ubriaco del suo vino non certo gradito quando aleggia come un fumo denso
nell’intervallo del Secondo… arrosto saporito…
Due morti, tanti, troppi feriti per soddisfare i bisogni sessuali d’una
donna che non vale due scarpe rotte. Almeno avessero, i suoi appetiti, un fine
che li giustificasse a parte l’istinto…, la procreazione…, almeno così dicono…
Sì è pur vero la odio!
Voglio dimenticarla!
Ora dicono che l’acclamata carriera teatrale è finita ed io pago le
conseguenze: reclamano più emancipazione nonché fruttuosa procreazione e sesso
inciso a codice a barre e rivenduto in ogni mercato senza per questo nominarlo
con il vero nome che più gli si addice qual moneta coniata in questo
pornografico sacrificio diluito per ogni parabola consumata in onor del
progresso scusate ma che dico: dell’amore…
Ma la colpa è mia, perché lei si è sposata con me!
La parte che per lei avevo scritto è caduta nel dimenticatoio e per
forza: l’aveva rovinata con un’interpretazione ad alto rischio acrobatico, per
certe esibizioni bisogna aver cognizione dell’amplesso nominato progresso…. Ove
l’amore finisce e si contorce ed avvinghia in un qualcosa di molto più
meccanico, nulla del povero Cartesio che neppur chiamo in causa nel suo piccolo
inferno, ma vera meccanica intrisa e distribuita ad orari industriali propizi
ove la distribuzione sfiora l’orgasmo reclamato sul viso allietato e ben
illuminato dell’iniziato…
Infatti proprio in quest’epoca comincia ad affacciarsi la grande
baggianata denominata ‘questione femminile’, frutto di una commedia scritta dal
trombone norvegese. La monomania delle ‘donne’ soggiogate dal maschio cattura i
rammolliti. Non mi lascio raggirare, perciò vengo tacciato di misoginia…
Durante una lite, in cui mi sono permesso di dire alla diletta amata in
questo giorno a Valentino dedicato, si esibisce in una scena di grande isteria.
Ed ecco che si rivela la più importante nonché indiscussa scoperta del
diciannovesimo secolo nel campo della terapia neurologica. Ed è semplice, come
tutte le scoperte importanti.
Tra le urla della malata, io impugno una caraffa
d’acqua e con voce tonante pronuncio la parola magica:
‘Piantala o ti annaffio!’.
Le urla cessano di colpo ed uno sguardo pieno di ammirazione, di
riconoscenza affettuosa e di odio mortale scaturisce dall’occhio della mia
adorata. Ho paura ma il maschio, che si è ridestato, non molla la presa e anche
questa volta impugno la caraffa e grido:
‘Basta con queste smorfie o ti
annego!’.
Si alza ma soltanto per darmi del mascalzone, del furbastro, del
miserabile: buon segno, la cura ha funzionato!
Uomini ingannati o non ingannati, fidatevi di me, che son vostro amico
sincero e devoto poiché vi ho rivelato il prezioso mezzo che guarisce la grande
ipocrisia.
Tenetelo caro!
Da questo momento la mia morte è iscritta nel carnet di una donna nella
veste dell’intera società così rivenduta ed anche prostituita e l’adorata
comincia a detestarmi! Il sesso femminile tutto intero, ha votato il mio
annientamento, così ora trascorre il suo improprio tempo a torturami a morte…
Forse questa ‘autodifesa’ prosegue giacché l’isterica ora scalcia e
reclama il proprio ed altrui appetito ed a chi nel teatro di questo delirio assiso una tavola indico e abdico l’innominato e taciuto istinto giacché il pensiero
non ancora nato e l’amore in attesa di esser cotto allo spiedo di un sesso con
tanti troppi numeri e nessun naturale sentimento per esser celebrato…
(A. Strindber, l’autodifesa di un folle)
Nessun commento:
Posta un commento