giuliano

martedì 7 agosto 2018

LA FRECCIA DEL TEMPO (16)




















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Veniamo alla ‘Formula’ alla ‘Equazione storica’ e diamo breve enunciato dei fatti evitando inutili commenti ma ponendo brevi asterischi ‘per gli addetti ai lavori’ nei quali evitiamo false disquisizioni o trappole,  lasciando una parentesi aperta per una ipotesi la quale potrebbe essere una Verità celata… alla Memoria. La quale, come detto fin dal principio, vuole abbracciare molto più di quanto la Storia sconfessa o si confessa fino a quel ‘Nulla’ il quale è comune denominatore dal principio di tal Sentiero con la ‘parola’ nata, ma noi procediamo non per difetto o critica ma per motivo che travalica il ‘teologico’ nella ricerca di un più probabile termine per ciò che comunemente definito Dio, quindi l’intera probabile successione di tutti gli eventi nati… per Sua causa, o, al contrario, senza nesso di causa alcuna ma solo una condizione ‘unica’ nell’Universo accertato nel quale per successive ‘evoluzioni’ la vita… chiudendo ‘il cerchio’ su ciò per secoli e fin dall’inizio si è discusso…:

Leggo brevi premesse tratte dall’introduzione della ‘Cena segreta’ a cura di Francesco Zambon: “Nel 1939 il padre Antoine Dondaine, frate Predicatore, pubblicava presso l’Istituto Storico Domenicano di Santa Sabina, a Roma, uno scritto ‘cataro’ fino a quel momento sconosciuto [1* ‘sconosciuto’: Primo fatto da accertare: cioè, anche se conservato siamo certi, a parte coloro i quali ne hanno presa consistenza storica, che davvero come si dice sia rimasto ‘sconosciuto’ o forse reso forzatamente tale soprattutto se inquisito quindi esaminato e attentamente consultato prima e dopo l’inquisitore divenuto poi ricercatore di una più probabile verità da consegnare all’altare della Storia], il ‘Libro dei due principi’ [2*: come tale il termine può essere oggetto di un successivo ‘recupero’ teologico il quale, se pur archiviato per sua difetta ‘natura’, in verità e per il vero, come dedurremo successivamente con un intuito pari a quello di Umberto Eco, fu preso in considerazione maggiore di quanto possiamo ritenere nella forzatura archivistica conservata ed annullata alla Memoria collettiva. Forse e per il vero il suo contenuto, pur l’ortodossa interpretazione della scolastica medievale, deve aver motivato più di una mente eccelsa, la quale, pur non contraddicendo i canoni, a questo stesso scritto(i) si è soffermata ispirandosi ed approfondendo con altri autorevoli ‘fonti’, e quindi, rapportandolo traducendolo e adeguandolo  per porlo in più vasto sermone teologico ancor più Eretico di come le premesse lo hanno fatto approdare ad una dovuta attenzione. Anzi, come vedremo, nel gioco degli specchi il nero diviene bianco ed il bianco nero. Come se in verità e per il vero, qualche dotto accademico accorgendosi dei limiti della natura in cui Dio costretto avesse dedotto, o addirittura in parte accettato, la ‘formula eretica’ per estenderla dedurla ed introdurla in un pensiero filosofico che se pur vasto ancor più eretico… E questa ‘parmi’ la vera essenza della formula… Come del resto il sottoscritto il quale scorge i limiti della ‘formula eretica’ e trova le condizioni necessarie e più che sufficienti per una deduzione esplicativa nei canoni opposti e comunemente definiti ‘ortodossi’ ed in questa ‘ortodossia’ scorgere la luce di una probabile verità anch’essa occultata e non certo manifesta in quanto ha subito medesimi patimenti della Storia e con questi della Memoria… Continuiamo… ].




La scoperta del ‘Libro’, che costituisce oggi la più ampia opera catara originale in nostro possesso, fu del tutto ‘fortuita’ [3*: Zambon è un autore di vasta intuizione nonché preparazione storica ma suppongo che abbia volutamente sottovaluta la condizione ‘fortuita’ come da lui espressa, possiamo ipotizzare, al contrario, che il trattato pur apparentemente dimenticato possa essere stato oggetto di consultazione palese o segreta da quando redatto a quando evidenziato… anche se si è preferito non cancellarlo né rimuoverlo dagli ‘archivi’. E qui nasce non il sospetto, ma al contrario, il rispetto per la conseguente volontà di conservazione anche se con tale pratica ‘archivistica’ la quale non certo figlia solo dell’inquisizione ma affine rispetto ad altre simmetriche politiche divenute consuetudini sociali congeniali alla dittatura del pensiero unico e del libero arbitrio inquisito in cui ci siamo formati specchio della cultura storica ‘seminata e raccolta’, maturando nella diffidenza divenuta consapevolezza dell’esiliato torturato e bandito dalla società nella consuetudine di principi opposti ed avversi ad ogni dittatura i quali hanno ben visto e vissuto, pur l’apparenza nominata Tempo, medesime pratiche. Quindi ‘la formula o ipotesi’ ragguagliata dalla verità storica nella ripetuta prova cui ho destinato il mio intuito assommato all’esperienza con documentata prova. In questa volontà di ‘conservazione’ potrebbe nascere un principio di reciproco e segreto rispetto e non solo paura, questo debbo concedere quale superiorità morale ed intellettuale in onore allo Spirito il quale indago nelle vicissitudini cui la Verità soggetta costretta interpretata e falsata anche nelle visioni di dubbia origine e consistenza… E maturando si è soliti concedere ad un cesare quanto ad un valente polemista o teologo e di conseguenza ad un papa meriti che prima abbiamo trascurato…].




Come raccontò egli stesso a Yves Dossat, il padre Dondaine stava cercando alla Biblioteca Nazionale di Firenze manoscritti che potessero interessare gli ‘Scriptores’ O.P., quando vide menzionato nel catalogo un misterioso ‘Liber de Duobus principiis’. Benché il titolo non lasciasse presagire nulla di interessante per la sua ricerca - continua Zambon nella sua introduzione -, richiese ugualmente il ‘codice’, un volume pergamenaceo di sobria fattura, e non tardò ad accorgersi di aver messo mano su un documento eccezionale [4: L’‘Unicità’ e la ‘rarità’ rendono di per se il libro con il suo documento segreto un probabile approdo per i più misurati, per i più dotti, per i più introdotti, non nella sottomissione ma  nella volontà della medesima ricerca (detta) la quale per sua Natura finalizza e ottimizza l’istinto senza nulla trasporre di quanto altri per propri limiti hanno ‘requisito’ sottratto’ ‘confuso’  e poi… dimenticato; anzi, potremmo dedurre, che taluni ambienti per spiriti elevati prestati allo studio, il clima teologico di quei ed odierni intenti deve essere stato restrittivo, ragion per cui, motivati dalla finalità, non del successo, ma dell’occhio che vuol avvicinarsi all’essenza stessa motivo dello studio possono aver avuto sicuro e certo spunto, una certa illuminazione riflessa nella propria esperienza, di cui però, medesimi limiti imposti non consentono una appropriata lettura riflettendola di conseguenza in un più giusto contesto, nel quale e per il vero, non solo leggiamo il genio incompreso ma anche una più consona ed Eretica Natura dell’immateriale che si vuol oggettivare…].




…Fino ad allora, infatti, l’Eresia catara era conosciuta quasi ‘esclusivamente’ attraverso testimonianze indirette emananti, per lo più, dai suoi oppositori [5*: definire il termine ‘oppositore’ [in questo specifico caso] è come dire servo eterno di una causa nella quale non si conosce un proprio pensiero escludendolo, se non addirittura alienandolo e sottraendolo dall’essere (giammai nella finalità o volontà di Dio parente ed affine ad un nirvana cosmico, ma al contrario, annullando con l’illusione di pensare, cioè il ‘non pensare’ al nulla di quanto non sia stato ‘creato’…), ma rifacendosi nei secoli ai canoni di una volontà altrui la quale tende ad ossequiare omaggiare e rendere legittimo nella illegittimità dei fatti arrecati. Quindi ‘oppositore’ significa non tanto ‘servo di Dio’, ma al contrario, servo del proprio stato nella dittatura che in ogni sistema totalitario o meno si tende ad asservire e servire per essere meglio inseriti nelle aspettative che da questo ci si attende quale giusta nonché meritevole ‘retribuzione’ per ciò che per sempre si ‘oppone’ alla libertà nella sostanziale paura di questa (come evidenziato poco sopra da Tucci!). Ciò di conseguenza comporta un dovere ‘eterno’ anche nell’Eterno della propria ed altrui ricerca ed obbedienza che travalica fin nella coscienza e parente della deficienza. Infatti per mio motivo la legittima volontà della immateriale o metafisica ricerca non può conoscere ostacoli di sorta ma si forma con l’esperienza diretta e cresce in un contesto evolutivo ove la prova dell’Assoluto o Infinito fanno nascere le motivazioni della ricerca sottratta ai limiti ed obblighi, di chi, per supposta difesa o pretesa, difetta di ragione ed intelligenza e più simile ad una involuta natura non certo ‘elevata’ fino alla materia di cui la propria scelta. Solo pochi, come vedremo, possiamo dire e nominare degni di questa volontà ed in questa mia formula posso pensarli vicino all’Eresia detta, o se non altro, di averla in qualche modo esaminata e di averla ripensata con i dovuti, non paradossi, ma di certo ripensamenti morali figli dell’onestà cui Cristo insegna…].

Cronache, scritti dei polemisti cattolici, atti inquisitoriali. Nello stesso codice fiorentino, intanto, Dondaine aveva trovato anche un secondo testo cataro: una redazione latina del ‘rituale’, più ampia di quella occitanica anche se purtroppo ‘frammentata’. Inoltre, nello stesso 1939 egli aveva individuato qualche briciola di un ‘Trattato cataro’, citato in uno scritto polemico del XIII secolo conservato presso la Bibliothèque Nationale di Parigi, il ‘Liber contra Manicheos’ di Durando di Huesca. Successivamente, aveva rinvenuto a Praga un ‘frammento’ più completo della stessa opera in una copia dello scritto di Durando proveniente dalla Biblioteca Capitolare della Cattedrale. E qui ci fermiamo un attimo…[6*: Praga la incontreremo più volte…]. 

(G. Lazzari, L’Eretico Viaggio, Dislivelli)




L’umana insufficienza era tale che bastava otturare due pertugi per escludere il mondo dei suoni, e due altre vie d’accesso perché si facesse notte. Che un bavaglio serrasse tre di quelle aperture, sì vicine le une alle altre che il palmo di una mano non fatica a coprirle, ed era finita per l’animale, la cui vita è legata a un soffio. L’ingombrante involucro che gli toccava lavare, riempire, riscaldare accanto al fuoco o sotto il vello di una bestia morta, coricare la sera come un bambino o come un vecchio rimbecillito, serviva contro di lui da ostaggio alla natura intera, e soprattutto alla società degli uomini. Era con quella carne e con quella cute che avrebbe forse sofferto gli spasimi della tortura, e l’incepparsi di quei meccanismi gli avrebbe impedito un giorno di definire appropriatamente l’idea abbozzata. Se talvolta teneva in sospetto le operazioni della mente, che per comodità isolava dal resto della propria materia, era soprattutto perché lei, l’inferma, dipendeva dai servigi del corpo. Era stanco di quella mistura di fuoco instabile e di densa argilla. Exitus rationalis: una soluzione si profilava, non meno imperiosa del prurito carnale, un disgusto, una vanità forse, lo impelleva a compiere il gesto che tutto conclude. Scuoteva il capo, gravemente, come al cospetto di un malato troppo frettoloso nel reclamare un rimedio o un alimento. Ci sarebbe stato sempre tempo per perire con quel pesante supporto, ovvero per continuare senza di esso una vita immateriale e imprevedibile, non necessariamente più favorita di quella che conduciamo dentro la carne.

Rigorosamente, quasi a malincuore, il viaggiatore giunto in capo a una tappa di oltre cinquant’anni si obbligava, per la prima volta in vita sua, a ricalcare in spirito le strade percorse, distinguendo il fortuito dal deliberato o dal necessario, sforzandosi di sceverare tra il poco che sembrava emanare da lui stesso e ciò che apparteneva all’indiviso della sua condizione d’uomo. Nulla era perfettamente uguale, e nulla tutt’affatto contrario a ciò che aveva dapprima voluto o precedentemente pensato. L’errore nasceva ora dall’azione di un elemento di cui non aveva sospettato la presenza, ora da una svista nel computo del tempo, rivelatosi più retrattile o più estensibile che sugli orologi.

A vent’anni, si era creduto affrancato dalle consuetudini o dai pregiudizi che paralizzano i nostri atti e mettono i paraocchi all’intelletto, ma poi aveva passato la vita a racimolare soldo su soldo quella libertà di cui aveva creduto di possedere di prim’acchito il totale. Non si è liberi quanto si desidera, quanto si vuole, quanto si teme, fors’anche quanto si vive. Medico, alchimista, artificiere, astrologo, volente o nolente aveva indossato la livrea del suo tempo; aveva lasciato che il secolo imponesse al suo intelletto determinati tragitti.

Quell’uomo sul chi vive si era sorpreso a giudicare più odiosi i delitti, più imbecilli le superstizioni delle repubbliche o dei principi che minacciavano la sua esistenza o gli bruciavano i libri; inversamente gli era accaduto di esagerare il merito di un babbeo mitrato, con corona o tiara, il cui favore gli aveva permesso di passare dalle idee agli atti. La voglia di promuovere, di modificare o di guidare almeno un segmento della natura delle cose l’aveva trascinato a rimorchio dei grandi di questo mondo, qua e là erigendo castelli di carte o cavalcando fumi…

(Marguerite Yourcenar)
















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