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Male del nostro secolo (9/1)
Prosegue con una Lettera...:
All'amico Antiquario (11)
Quando Maria Rubens fece ritorno ad Anversa nel 1587, trovò la
popolazione dimezzata: la città che un tempo contava centomila abitanti era
ridotta a cinquantamila anime, come se la peste si fosse insinuata tra le sue
facciate di mattoni e i suoi frontoni.
Gli alberi
delle navi ancorate alle banchine non disegnavano più fitte ragnatele di ombre,
la polvere copriva telai stamperie in disuso, nelle taverne si trovava posto a
sedere.
Ma i Santi
– per non parlare di apostoli e discepoli, dottori e padri della vera Chiesa,
martiri, patriarchi, eremiti e mistici – erano ritornati in schiere compatte a
prendere possesso delle navate delle cappelle, altari e cori; mortificati dalla
stampa, glorificati nella pittura…
…Appena
cominciò a spuntare il giorno, il venerabile vegliardo Antonio, sorreggendo con il bastone le membra malferme, iniziò ad
incamminarsi, senza sapere nemmeno dove. E già il sole cocente ardeva dall’alto,
a mezzogiorno; ciò nonostante, egli non si lasciava distogliere dal Viaggio intrapreso,
dicendo fra sé:
‘Credo nel mio Dio, il quale, come mi ha
promesso, indicherà il suo servo’.
Non aveva
ancora finito di pensarlo, che vide l’uomo misto ad un cavallo, cui i poeti
diedero l’appellativo di ippocentauro (un tempo denominati fauni satiri o ippocentauri, ora evoluti in moderni ibridi ‘ippo-padani-articolati’); appena lo vide, si armò la fronte con l’araldo
segno della salvezza facendosi il segno della croce. …
E,
‘Senti’,
…disse…
Da che parte abita qui, il servo di Dio il cui nome Paolo
l’Eremita?’.
Quello,
bifolcando un dialetto strano fra i denti con un non so che di barbaro e
smozzicando le parole più che articolarle, con orribile pronuncia, cercava di
rivolgergli un discorso fra il grazioso ed il decoroso. E con la destra protesa
quasi tesa gli indicò l’itinerario desiderato, cercando suggerimenti con la
capra con cui accompagnato con un muso tondo e gonfio quasi come un melone, più che il prelibato e più raro melograno.
E così,
fuggendo velocemente per i campi pianeggiati, svanì agli occhi dello
stupefatto! Se questo sia stato simulato dal diavolo per spaventarlo, o, come
accade, il deserto, fertile di animali mostruosi, generi anche una tale bestia,
per me rimane incerto.
Dunque, proseguiamo…
Antonio stupefatto, rimuginando fra sé quel che aveva
visto, procedeva sempre di più con la ferma intenzione di avversare il diavolo
o il male… E senza far nessuna sosta, scorse in una valle sassosa un omuncolo,
non molto grande, con narici adunche e con corna aguzze sulla fronte.
La parte
inferiore del corpo terminava con piedi caprini a spillo, unghie ben curate e
dipinte, e un tatuaggio da gladiatore da Colosseo.
A questo
spettacolo, attonito, il buon ippo-gladio-guerriero tatuato e ornato con
piedi caprini a punta di spillo, alla vista dell’umile Antonio
servo di Dio
afferrò l’elmo di Scipio e lo umiliò come solo i diavoli sanno armeggiare ed
armare, oppure che dico, ornare ed infangare il lieto Sentiero dell’umile Santo
Eremita…
Poi, quasi
pentito, il suddetto animale meccanizzato gli offrì in pegno di pace,
quale sostentamento per il suo Viaggio, dei frutti di palma, poi dei calvi
freschi meloni, infine dei fichi non ancor del tutto maturi…
Quando Antonio ebbe coscienza di tale accortezza, si fermò e, chiedendogli
chi mai fosse, ottenne finalmente da questo ippo-gaudio-guerriero risposta in dialetto padano*
(*Padania: remota Regione longobarda un
tempo governata dai Romani, ora passata di nuovo alla antica autonoma
indipendenza dall’Impero, in perenne guerra tra loro come con tutto il resto
del mondo, rivendicano remote discendenze con i propri avi scesi dalle lontane
steppe della Mongolia Russa, e donde, anche i vicini Germani rivendicano oltre
vasti possedimenti, competenza di sangue rubato e non più misto da pandemiche ingerenze,
da questi connubi si è formato l’ippo-guerriero-padano… dal Santo a voi qui
narrato…):
‘Io sono
mortale, uno tra gli abitanti del deserto che i gentili, ingannati da vari
errori, venerano come fauni, satiri ed incubi; fungo da ambasciatore del mio
gregge; ti preghiamo di supplicare per noi il comune Signore, abbiamo saputo
che è già venuta la salvezza del mondo e la sua voce si sparsa su tutta la
terra’.
Mentre così
parlava, il longevo viandante rigava abbondantemente il volto di lacrime, un
poco il freddo un poco la paura di codesta improvvisa santa visione che la
grande gioia della conversione effondeva in contrasto alla spessa nebbiosa brezza
dionisiaca dismessa ricoprire ogni parola dal fauno che un tempo èra ed ora
tradotta non divenire come il Tempo della Ragione persa insegna, rovescio, o
ancor peggio, temporale tuono e folgore (il dio Thor non distante).
E con il
cuore colmo di amore raccomandava futura e più mesta comunione (da ciò la
famosa dottrina del due per uno simbolo d’offerta ad
ogni Fontana* dall’ippo-centauro pregata nonché vigilata, entro e non oltre i
saldi della dovuta ragione. *Fontana: ex filosofo pagano della nobile più
famosa scuola di Matteo, oracolo della chiesa evangelica della libera Fede
& Dio associati oltr’alpe).
Gioiva,
infatti, della gloria di Cristo e della distruzione di Satana sperando solo
nella purezza donde il proprio nobile nome, ed ove ognuno, nessun escluso può,
purificare corpo e ragione. Ed al tempo stesso, si meravigliava che potesse
comprendere il suo discorso, e, battendo il suolo con il bastone, diceva:
‘Guai a te, Alessandria, che al posto di Dio
veneri mostri! Guai a te, città meretrice, dove convennero i demoni di tutto
l’orbe! Che cosa dirai adesso? Le bestie parlano di Cristo!’.
Non avendo
ancora finito di dire ciò, ed ecco quell’animale fuggire quasi fosse dotato di
ali.
Ed affinché
cotal avvenimento narrato circa il pio Antonio non abbia a far
rinascere dubbi sulla sua autenticità (la quale, il traduttore o copista a voi
riproposto, esentata da qual si voglia errore dottrinale) nonché credibilità,
esso viene difeso da un fatto avvenuto al tempo dell’imperatore Costanzo, e di cui fu testimone il mondo intero.
Infatti, un
simile uomo, portato vivo ad Alessandria, aveva offerto un grande spettacolo al
popolo, annunziando anche la futura nascita d’un strano Apostata, con il quale si incontrarono presso Antiochia.
…Si narra
inoltre che da questo Giano, bestia ancor più feroce,
nacque il Fuoco della vera Ragione, alla cui fumosa vista, non solo il cieco Omero ne cantò l’epica avventura, ma anche la Memoria
irrimediabilmente persa avversare l’eterno Golia della limitata materia…
Una descrizione
dell’Iliade e dell’Odissea, e potremmo aggiungere anche dei primi o ultimi
Eremiti di questa Terra, è la rapida e naturale osservazione e successione
dell’uomo quantunque Eroe anche da Santo rivelato ma non certo mascherato; dacché,
penserete voi, i veri ippocentauri di nuovo evoluti e ad un remoto èvo ancorato,
così come la genetica dell’intera Natura o spirale della Storia, possano ancora
dar luogo alla Vita narrata conservata e studiata, e poi, purtroppo o troppo
spesso, anche bruciata.
È un
raffinamento delle fami primordiali e ha il meno possibile di ciò che è
meramente erudito e posto ai severi vincoli giuridici d’ogni materia osservata
cantata e pregata, soprattutto essa non è mai troppo fedele, troppo
professionale, e quando il libro è chiuso, troviamo arricchite le nostre
energie, perché siamo stati nel bel mezzo della corrente spirituale che neppure
lo storico o il libro possono svelare.…
Non abbiamo
mai visto cosa che, Odisseo e il Santo dopo, potessero aver visto mentre il
comune Pensiero era rivolto ad ugual medesimo Ciclope, giacché dobbiamo sempre
rilevare e rivelare che sussiste un Ciclope come un Golia…
Nell’Arte
così come la Fede che li accomuna al senso della Natura (e Dio) sussiste
qualcosa di negletto e di improvviso in tutti i consueti moti dell’Anima ‘cieca’
di fronte alle mostruosità della Storia, partorire nella propria ed altrui Coscienza
quella Verità aliena al linguaggio della materia, giacché dotata d’un
prometeico fuoco interiore con cui proseguire il cammino, il Fuoco dello
Spirito abdicato al rogo dell’istinto da cui la vera bestia e non più uomo.
Queste le
veneriamo ancora e con loro tutta la Natura, come ogni Sacro Bosco ed antica
quercia, così come ogni Selva, se siamo Santi o Eroi solo la Storia e Dio che
insieme ci ha creati lo potrà giudicare, non affidando neppure l’Infinita
nostra ed altrui Memoria all’ultimo poeta digitalizzato nel plastico silicio del
progresso divenuto falso oro.
Preferiamo
il mito d’un Universo posto all’età persa dell’oro…
Lo fissiamo
come una lontana stella…
Lo
preghiamo come una Natura irrimediabilmente persa…
Da lì lo
Spirito della Vita…
L’Anima-Mundi
rimpianta…
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