giuliano

sabato 1 agosto 2020

PIETRO PAOLO (10)




















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Male del nostro secolo (9/1)

Prosegue con una Lettera...:

All'amico Antiquario (11)












Quando Maria Rubens fece ritorno ad Anversa nel 1587, trovò la popolazione dimezzata: la città che un tempo contava centomila abitanti era ridotta a cinquantamila anime, come se la peste si fosse insinuata tra le sue facciate di mattoni e i suoi frontoni.

Gli alberi delle navi ancorate alle banchine non disegnavano più fitte ragnatele di ombre, la polvere copriva telai stamperie in disuso, nelle taverne si trovava posto a sedere.

Ma i Santi – per non parlare di apostoli e discepoli, dottori e padri della vera Chiesa, martiri, patriarchi, eremiti e mistici – erano ritornati in schiere compatte a prendere possesso delle navate delle cappelle, altari e cori; mortificati dalla stampa, glorificati nella pittura…




…Appena cominciò a spuntare il giorno, il venerabile vegliardo Antonio, sorreggendo con il bastone le membra malferme, iniziò ad incamminarsi, senza sapere nemmeno dove. E già il sole cocente ardeva dall’alto, a mezzogiorno; ciò nonostante, egli non si lasciava distogliere dal Viaggio intrapreso, dicendo fra sé:

‘Credo nel mio Dio, il quale, come mi ha promesso, indicherà il suo servo’.

Non aveva ancora finito di pensarlo, che vide l’uomo misto ad un cavallo, cui i poeti diedero l’appellativo di ippocentauro (un tempo denominati fauni satiri o ippocentauri, ora evoluti in moderni ibridi ‘ippo-padani-articolati’); appena lo vide, si armò la fronte con l’araldo segno della salvezza facendosi il segno della croce. …

E,  

‘Senti’,

…disse…

Da che parte abita qui, il servo di Dio il cui nome Paolo l’Eremita?’.




Quello, bifolcando un dialetto strano fra i denti con un non so che di barbaro e smozzicando le parole più che articolarle, con orribile pronuncia, cercava di rivolgergli un discorso fra il grazioso ed il decoroso. E con la destra protesa quasi tesa gli indicò l’itinerario desiderato, cercando suggerimenti con la capra con cui accompagnato con un muso tondo e gonfio quasi come un melone, più che il prelibato e più raro melograno.

E così, fuggendo velocemente per i campi pianeggiati, svanì agli occhi dello stupefatto! Se questo sia stato simulato dal diavolo per spaventarlo, o, come accade, il deserto, fertile di animali mostruosi, generi anche una tale bestia, per me rimane incerto.

Dunque, proseguiamo…




Antonio stupefatto, rimuginando fra sé quel che aveva visto, procedeva sempre di più con la ferma intenzione di avversare il diavolo o il male… E senza far nessuna sosta, scorse in una valle sassosa un omuncolo, non molto grande, con narici adunche e con corna aguzze sulla fronte.

La parte inferiore del corpo terminava con piedi caprini a spillo, unghie ben curate e dipinte, e un tatuaggio da gladiatore da Colosseo.

A questo spettacolo, attonito, il buon ippo-gladio-guerriero tatuato e ornato con piedi caprini a punta di spillo, alla vista dell’umile Antonio servo di Dio afferrò l’elmo di Scipio e lo umiliò come solo i diavoli sanno armeggiare ed armare, oppure che dico, ornare ed infangare il lieto Sentiero dell’umile Santo Eremita…




Poi, quasi pentito, il suddetto animale meccanizzato gli offrì in pegno di pace, quale sostentamento per il suo Viaggio, dei frutti di palma, poi dei calvi freschi meloni, infine dei fichi non ancor del tutto maturi…

Quando Antonio ebbe coscienza di tale accortezza, si fermò e, chiedendogli chi mai fosse, ottenne finalmente da questo ippo-gaudio-guerriero risposta in dialetto padano* (*Padania: remota Regione longobarda un tempo governata dai Romani, ora passata di nuovo alla antica autonoma indipendenza dall’Impero, in perenne guerra tra loro come con tutto il resto del mondo, rivendicano remote discendenze con i propri avi scesi dalle lontane steppe della Mongolia Russa, e donde, anche i vicini Germani rivendicano oltre vasti possedimenti, competenza di sangue rubato e non più misto da pandemiche ingerenze, da questi connubi si è formato l’ippo-guerriero-padano… dal Santo a voi qui narrato…):

‘Io sono mortale, uno tra gli abitanti del deserto che i gentili, ingannati da vari errori, venerano come fauni, satiri ed incubi; fungo da ambasciatore del mio gregge; ti preghiamo di supplicare per noi il comune Signore, abbiamo saputo che è già venuta la salvezza del mondo e la sua voce si sparsa su tutta la terra’.




Mentre così parlava, il longevo viandante rigava abbondantemente il volto di lacrime, un poco il freddo un poco la paura di codesta improvvisa santa visione che la grande gioia della conversione effondeva in contrasto alla spessa nebbiosa brezza dionisiaca dismessa ricoprire ogni parola dal fauno che un tempo èra ed ora tradotta non divenire come il Tempo della Ragione persa insegna, rovescio, o ancor peggio, temporale tuono e folgore (il dio Thor non distante).

E con il cuore colmo di amore raccomandava futura e più mesta comunione (da ciò la famosa dottrina del due per uno simbolo d’offerta ad ogni Fontana* dall’ippo-centauro pregata nonché vigilata, entro e non oltre i saldi della dovuta ragione. *Fontana: ex filosofo pagano della nobile più famosa scuola di Matteo, oracolo della chiesa evangelica della libera Fede & Dio associati oltr’alpe).




Gioiva, infatti, della gloria di Cristo e della distruzione di Satana sperando solo nella purezza donde il proprio nobile nome, ed ove ognuno, nessun escluso può, purificare corpo e ragione. Ed al tempo stesso, si meravigliava che potesse comprendere il suo discorso, e, battendo il suolo con il bastone, diceva:

‘Guai a te, Alessandria, che al posto di Dio veneri mostri! Guai a te, città meretrice, dove convennero i demoni di tutto l’orbe! Che cosa dirai adesso? Le bestie parlano di Cristo!’.

Non avendo ancora finito di dire ciò, ed ecco quell’animale fuggire quasi fosse dotato di ali.

Ed affinché cotal avvenimento narrato circa il pio Antonio non abbia a far rinascere dubbi sulla sua autenticità (la quale, il traduttore o copista a voi riproposto, esentata da qual si voglia errore dottrinale) nonché credibilità, esso viene difeso da un fatto avvenuto al tempo dell’imperatore Costanzo, e di cui fu testimone il mondo intero.




Infatti, un simile uomo, portato vivo ad Alessandria, aveva offerto un grande spettacolo al popolo, annunziando anche la futura nascita d’un strano Apostata, con il quale si incontrarono presso Antiochia.

…Si narra inoltre che da questo Giano, bestia ancor più feroce, nacque il Fuoco della vera Ragione, alla cui fumosa vista, non solo il cieco Omero ne cantò l’epica avventura, ma anche la Memoria irrimediabilmente persa avversare l’eterno Golia della limitata materia…

Una descrizione dell’Iliade e dell’Odissea, e potremmo aggiungere anche dei primi o ultimi Eremiti di questa Terra, è la rapida e naturale osservazione e successione dell’uomo quantunque Eroe anche da Santo rivelato ma non certo mascherato; dacché, penserete voi, i veri ippocentauri di nuovo evoluti e ad un remoto èvo ancorato, così come la genetica dell’intera Natura o spirale della Storia, possano ancora dar luogo alla Vita narrata conservata e studiata, e poi, purtroppo o troppo spesso, anche bruciata.




È un raffinamento delle fami primordiali e ha il meno possibile di ciò che è meramente erudito e posto ai severi vincoli giuridici d’ogni materia osservata cantata e pregata, soprattutto essa non è mai troppo fedele, troppo professionale, e quando il libro è chiuso, troviamo arricchite le nostre energie, perché siamo stati nel bel mezzo della corrente spirituale che neppure lo storico o il libro possono svelare.…

Non abbiamo mai visto cosa che, Odisseo e il Santo dopo, potessero aver visto mentre il comune Pensiero era rivolto ad ugual medesimo Ciclope, giacché dobbiamo sempre rilevare e rivelare che sussiste un Ciclope come un Golia…

Nell’Arte così come la Fede che li accomuna al senso della Natura (e Dio) sussiste qualcosa di negletto e di improvviso in tutti i consueti moti dell’Anima ‘cieca’ di fronte alle mostruosità della Storia, partorire nella propria ed altrui Coscienza quella Verità aliena al linguaggio della materia, giacché dotata d’un prometeico fuoco interiore con cui proseguire il cammino, il Fuoco dello Spirito abdicato al rogo dell’istinto da cui la vera bestia e non più uomo.




Queste le veneriamo ancora e con loro tutta la Natura, come ogni Sacro Bosco ed antica quercia, così come ogni Selva, se siamo Santi o Eroi solo la Storia e Dio che insieme ci ha creati lo potrà giudicare, non affidando neppure l’Infinita nostra ed altrui Memoria all’ultimo poeta digitalizzato nel plastico silicio del progresso divenuto falso oro.

Preferiamo il mito d’un Universo posto all’età persa dell’oro…

Lo fissiamo come una lontana stella…

Lo preghiamo come una Natura irrimediabilmente persa…

Da lì lo Spirito della Vita…

L’Anima-Mundi rimpianta…











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