giuliano

giovedì 27 agosto 2020

IL LUNGO VIAGGIO DELLA NOSTRA ANIMA (4)

 






















Precedenti capitoli del lungo...:


Viaggio della nostra Anima (3)


Il Viaggio prosegue...:


Qualche mede dopo (5)








…L’Anima vedendo dall’alto questo giro, trovò il tempo di posarsi su un olmo della pianura della Tessaglia ai piedi del quale un giovane pastore suonava il flauto per incantare i serpenti; nel frattempo, rimesso il treno sulla strada giusta, il capostazione trasse un sospiro di sollievo e telefonò secondo gli ordini aggiungendo un ronzio in più ai fili che passavano al di sopra del Plinios, fiume dolce, fiume verde e indifferente al resto della pianura che vive la stessa vita di schiavitù da quando è stata liberata; solo il Fiume, diceva l’Anima a se stessa, sogno dei sedentari di questa pianura, solo Lui porta al mare i loro sogni per lasciarli liberi, solo il Fiume, Anima di un paese piatto, fiancheggiato sa salici piangenti e platani centenari che nuotano nelle sue acque, conosce prima di gettarsi in mare, i turbamenti e i fremiti dell’adolescenza proprio come lei, l’Anima, prima dissolversi in una nuvola, riesce a vedere oltre il suo corpo morto, a contemplare lo spettacolo di un mondo che perderà ben preso…




Discese, passò oltre la valle di Tempe, la strada nazionale e la raffineria di zucchero con i suoi camion carichi di barbabiotele allineato davanti all’ingresso, e arrivò alla stazione di Larissa che il treno attraversò come una freccia…

 

Il corpo chiuso nel vagone non vede e scorge nulla…

 

Il corpo è senza Memoria…

 

La Memoria lo ha lasciato quel mercoledì sera alla dieci meno due…




Dal punto di vista clinico Z era morto; da quel momento nessun organo, nessun senso aveva più funzionato. Il corpo, il suo magnifico corpo di atleta, viveva inerte come quelle ruote di macchine rovesciate che non sono più collegate a niente e girano da sole nel vuoto.




Così era per il suo corpo il cui profondo rantolare accompagnava l’angoscia dei medici come un basso continuo. Questi erano numerosi, alcuni erano venuti dall’estero: dall’Ungheria, dalla Germania, dal Belgio; non potevano far niente. Si stupivano soltanto vedendo l’organismo ancora in vita mentre tutti i centri erano colpiti, l’organismo rifiutava di ammettere la propria morte; era troppo presto per morire, il suo corpo senza testa conservava una sua propria esistenza.

 

Ora ha accettato la sua morte!

 

Placato è in cammino verso la tomba.




L’Anima era afflitta, non per aver dovuto lasciare il corpo e assistere all’autopsia, per quanto non sia certo piacevole gettar via un vestito fuori uso e vederlo fare a pezzi davanti ai propri occhi. Eppure l’aveva sopportato, ma era afflitta perché un medico legale ‘fin dal primo momento, molto prima dell’autopsia e anche dopo quando ne furono conosciuti i risultati, diffuse la tesi della caduta sul selciato, escludendo in tal modo che la frattura fosse stata provocata da un colpo che aveva raggiunto Z. alla testa mentre era in piedi. L’urto violento che si era prodotto quando la testa aveva battuto sulla superficie dura della strada era stata dunque, la sola causa della frattura del cranio’.




 …Mestiere sinistro quello del medico legale, ma la politica non ha posto nella morte, il sangue freddo è una cosa, pensava l’Anima, ma è ben diverso fare della bassa politica su un cadavere, lasciamo la bassa politica ai vivi, e riserviamo l’alta politica ai morti…

 

Il treno correva come un diavolo, attraversava pianure e montagne come se stesse chiudendo una cerniera lampo su questo grosso caso, ma era una cerniera lampo rotta che si riapriva dietro man mano che davanti si chiudeva, perché nessun caso poteva venir chiuso così da un treno drogato che bruciava tutte le tappe.




Il caso rimaneva spalancato come le porte delle abitazioni in piena estate. Il treno fischiava e correva spaventato dalla sua colpevolezza; i parenti temevano il peggio, la moglie guardava dal finestrino senza vedere niente. Il suo Spirito era nel vagone vicino dove suo marito era solo, chiuso come in una prigione, senza acqua, senza luce, senza nutrimento, mentre i poliziotti, quelli si rimpinzavano…

 

Si alzò, da una parte c’era suo marito morto, dall’atra dormivano quelli che l’avevano ammazzato!

 



Non si poteva muovere, non poteva andare da nessuna parte, il treno diventò una prigione su ruote; non ne poteva più. Soffocava. Il segnale d’allarme? Non poteva rimanere con quest’ultima visione: Lui, sotto la tenda a ossigeno che respirava a fatica col polso sempre più debole e intorno i medici che non credevano più ai miracoli.

 

Le montagne lasciavano il posto alle montagne.

 

I campi ai campi.

 

Lei non vedeva nulla!




 Un po’ più in alto, dove l’aria aveva una densità diversa, il treno si fermò per lasciare via libera all’automotrice locale, certo non avevano avuto il tempo di annullare la corsa.

 

Lassù fra le montagne, i poliziotti scesero dal vagone per montare la guardia intorno al convoglio, là sulle montagne, su quelle alte montagne, l’Anima posata su un palo aspettava che i partigiani della libertà venissero ad impadronirsi del corpo.

 

Ad una stazione, quando il treno fu ridisceso in pianura, da qualche parte, la diesel fu sostituita da una locomotiva a vapore…




E ora l’Anima Falena, l’Anima Saturnia, l’Anima Nottua, l’Anima Esperia, si riempiva di fumo; i suoi bei colori dell’iride cominciarono ad annerirsi, le sue ali si appesantirono. Improvvisamente aveva bisogno di protezione. Aveva voglia di rientrare in una pelle dove niente avrebbe potuto toccare.

 

Stava cadendo la notte e l’Anima aveva avuto paura dell’oscurità, le ultime tre notti passate allo scoperto, l’avevano spossata, ma il corpo non sentiva nessuno dei suoi richiami e questo faceva disperare. Le batterie del corpo, le sue antenne, non funzionava più niente…

 

Una macchina da scrivere sfasciata, buttata sul mercato delle robe vecchie…

 

Una macchina sorda!

 

Muta!

 

Inferma!

 

Mutilata!




Un po’ così si sentiva l’Anima quando l’ardore del sole cominciò ad indebolirsi.

 

Una vecchia abbassò la catena del passaggio a livello.

 

Un trattore attraversò la strada, ora i radi villaggi con le luci brillavano ai piedi delle montagne, la notte era venuta ormai; le stazioni si proiettavano nell’oscurità come diapositive su un muro anonimo. Il treno non si fermava in nessun luogo, correva e fischiava come un demonio. Un treno che fischia nella notte, un treno, il treno, il vagone Z, un treno, il treno e il corpo muto, porta che si è rinchiusa sulla notte, e il corpo come un Albero colpito dalla folgore, e il corpo privato della carezza che lo resuscitavano in una bara di noce, una buona bara, ma che deserto là dentro senza la sua anima!




L’Anima sospira sorvolando Tatoi, i boschi del palazzo reale ben cintati perché i fagiani non possano fuggire.

 

Queste mani non toccheranno mai più una carne umana!

 

Queste mani ritorneranno allo stato di acqua.

 

Diverranno il terriccio che nutre i fiori.

 

Queste mani che reggevano mani di altri e che guarivano la sofferenza umana senza chiedere niente in cambio.

 

Questo viso non si tufferà più nel mare!

 

Queste labbra non baceranno più!




Corpo chiuso, lettera respinta al mittente con l’indicazione ‘partito senza lasciare indirizzo’, partito per la madre terra.

 

Corpo col sangue gelato nelle vene, col sangue che non circola più!

 

Fotografia ‘congelata’ sullo schermo nell’ora in cui le strade e i negozi sono più animati, in questo istante preciso tutto si compie.

 

Maggio è un mese crudele.

 

La terra riassorbe i suoi frutti, la prima e la seconda fioritura sono già finite, ora, pesante come le spighe di grano, ogni cosa ritorna al suo principio.




 Tutto è finito.

 

Ora scomparirà anche la Memoria.

 

Potrà rivivere in altri, nutrita da altro sangue. La sua, quella della sua Anima e del suo corpo diminuirà, si spegnerà. Eppure no! No! Non è possibile che tutto finisca, dove cade un eroe, si alza un popolo. È impossibile che io muoia.

 

Quando?

 

Come?

 

Non lo so!




 Anche tu ti ricorderai di me, corpo tenero e amato.

 

Te ne ricorderai sempre perché ti ho molto amato.

 

Ti ricorderai di me, tu che il mare colmava di gioia, che il sole sfiniva, tu che volevi fare l’amore anche a costo di fare a meno di me, tu, mio corpo, ti ricorderai di me. Ora che sarai disteso nel seno della terra, ricorderai che ti ho amato e che per questo non morirai mai. Amore mio, se potessi prenderti per mano in questo momento, mi parleresti, mi guarderesti. Sono stanza. Come? Perché tutto è finito in questa maniera? Senza che abbia potuto godere di te nel declino. Senza aver imparato a perderti un po’ per volta. Mi hai lasciato così improvvisamente che sono rimasta con un vuoto quadrato fra le tue braccia tutto angoli aguzzi tra cui soffia il vento. Senza di te, sono una cisterna vuota.

 

(V.V. Z L’orgia del potere)

 

 




 



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