Prima parte...
Prosegue con...:
Come
abbiamo visto, la presenza della figura animale nell’immaginario della specie
umana è talmente radicata e ancestrale da poter essere definita archetipica.
Illustri ricerche etologiche, psicologiche e pedagogiche dimostrano l’esistenza
di una tendenza umana innata verso l’alterità animale, che rivela il bisogno
intrinseco dell’uomo di conoscere, avvicinare l’animale. Da sempre gli animali
popolano l’immaginario degli uomini, ne animano i sogni, danno volto a paure,
desideri, frustrazioni; gli animali sono simboli, sono un contenuto
primordiale, un segno che può significare tutto.
L’immagine
animale è la più comune, la più universalmente diffusa e familiare all’uomo fin
dalla sua infanzia. L’icona animale, cioè il modo in cui noi ci figuriamo gli
animali, non si sovrappone, non aderisce alla loro immagine reale, ma va
piuttosto a costituire una sorta di mitologia zoomorfa che anima il bestiario
dei bambini e non si dissolve di fronte all’indagine zoologica dell’adulto. Oltretutto,
lo stesso modo di pensare gli animali, di esplorare la loro diversità è
comunque una sorta di ‘interpretazione’ della realtà zoologica, un’attività
conoscitiva in cui entrano in gioco filtri culturali e stereotipi.
La scienza etologica
ci apre una finestra da cui poter osservare e comprendere il mondo animale: ci dà
la possibilità di individuare errori di prospettiva e di rimediarvi, spogliando
l’animale del corredo di caratteristiche attribuitegli. Ma nonostante
quest’opera di razionalizzazione, le qualità immaginarie degli animali non temono
il pericolo di estinzione: sopravvivono alle descrizioni e ai teoremi
scientifici, e pure all’estremo riduzionismo che descrive gli animali come meri
aggregati biologici o oggetti.
Il processo di rivisitazione scientifica del mondo animale non impedisce a occulti messaggi del nostro immaginario sedimentato di ripeterci che la volpe è astuta, il leone coraggioso, la civetta messaggera di morte ecc. Ci troviamo quindi di fronte a due aspetti della simbolizzazione animale: la sua irriducibile presenza nelle rappresentazioni collettive e l’alto grado di attribuzione alla figura animale di caratteri che spesso non gli appartengono strettamente. Di tali elementi dobbiamo tener conto quando analizziamo le forme di relazione uomo-animale, e le diverse ‘organizzazioni’ che tale rapporto implica nella sfera della comune evoluzione…
(S. Tonutti)
…Quando si
parla di un pericolo per il genere umano in quanto tale, non si intende tanto
una minaccia di tipo fisico, quanto piuttosto di tipo metafisico. Da un punto
di vista storico, questo potrebbe significare un esaurirsi della produzione
intesa nel senso più profondo; la creazione nel campo dell’arte, della poesia,
della filosofia e anche della storiografia. In teologia scompare la domanda
sulla salvezza, in biologia si estingue il ramo di una grande discendenza, in
una direzione dello sviluppo che non va valutata da un punto di vista umano.
Lo specifico dell’uomo sta nella libertà del volere, il che vuol dire: nell’imperfezione. Sta nella possibilità di rendersi colpevole, di commettere un errore. La perfezione, al contrario, rende superflua la libertà; l’ordine razionale acquista la nettezza dell’istinto. Una delle grandi tendenze della pianificazione del mondo mira evidentemente a una tale semplificazione. Possiamo leggerlo nella natura come in un libro illustrato. A un punto di svolta del destino nel quale va formandosi un nuovo ramo della discendenza, ci si chiede quale potere abbia l’umana volontà sull’inevitabile.
Se vogliamo
o meno entrare nella nuova dimora non è cosa che si possa decidere, perché non
si tratta tanto dell’entrata di un uomo, ma di quella di un eone; la casa si
volge e si allontana come un campo oroscopico al di sopra di uomini e popoli, e
cioè in forma invisibile, ma appunto per questo con irresistibile cogenza.
Un’altra questione riguarda ciò che possiamo portare con noi.
Esiste
certamente anche un’eredità, e non solo una trasformazione.
Se le caratteristiche fondamentali del genere umano, soprattutto la libera volontà, possano essere portate nella nuova dimora, se possano esservi introdotte come un’eredità o se diventino un elemento rudimentale: ciò varia a seconda di come si giudica. Tale parte assegnata al giudizio porta un elemento nuovo nell’evoluzione. Si sono spesso verificate trasformazioni geologiche come la nostra, rivoluzioni che hanno prodotto mutamenti nelle stratificazioni, e i mondi incantati che ne furono originati tradiscono il gioco di una forza potente dello spirito della terra. Tale forza conferisce alle creature un modello e un’impronta attraverso le grandi spinte in cui la creazione si ripete, così come l’antico fuoco della terra si ripete nell’eruzione dei vulcani. Per la prima volta ora una creatura, vale a dire l’uomo in quanto figlio della terra, è dotato di una parte di questa forza. Egli partecipa a un processo geologico, non semplicemente nel senso che lo registra e lo osserva, ma nel senso che contribuisce a determinarne la formazione. La sua parte è modesta se confrontata con le trasformazioni di natura geologica cui contribuisce, e tuttavia è di qui che scaturisce la sorgente della sua nuova, inaudita potenza, ma, insieme, anche del suo pericolo e della sua responsabilità.
Che
l’organizzazione non sia primariamente connessa alla vita, si desume dal fatto
che può essere introdotta nei settori più diversi del mondo dei viventi e che
può dar forma a qualsiasi elemento, realizzando in tal modo una sola e unica
tendenza.
Se questa tendenza si chiama ‘volare’ o ‘nuotare’, compaiono ali e pinne, oppure queste vengono trasformate in modo geniale, nel senso che le ali diventano pinne, come negli alcidi o nei pinguini, o le pinne diventano ali, come nei pesci volanti. Se si pensa alla straordinaria ricchezza che questi sforzi proteiformi dispiegano, soprattutto in epoche di grande fecondità, solo il mondo dei giochi offre un termine di paragone soddisfacente.
L’importanza
che in questi casi acquistano anche i vantaggi tattici degli armamenti o la
concorrenza economica fa appunto parte delle regole del gioco. Se si valutasse
il processo esclusivamente dal punto di vista dell’utilità, si perderebbe molto
della sua bellezza e della sua ricchezza. Il mondo presenterebbe un aspetto
monotono, simile a quello dei nostri paesaggi di industria.
Ma non è
questo il caso.
La dissipazione assume tratti fantastici se in essa vengono coinvolte grandi entità, come il mondo dei trilobiti, dei sauri o i grandi Stati dell’antico Oriente. La fecondità dell’organismo pare inesauribile, sede autentica della vita, ma inesauribile sembra anche la fantasia dell’organizzazione. Spesso si ha l’impressione che l’organismo opponga resistenza all’organizzazione. Già gli organi di struttura più semplice sembrano sottrarsi a essa per costituirsi; il bios tende essenzialmente a preferire formazioni sferiche, ovali, a forma di calice o di goccia, oppure, ancora, gli stati fluidi.
Per effetto
dell’organizzazione si introducono invece modelli lineari, a raggiera,
rettangolari.
Ciò risulta
evidente ogni qual volta in un popolo venga introdotta una forma di Stato, che
sia il favo di un’arnia, o la veduta aerea di una città industriale che sorge
nel mezzo di una foresta. Il popolo, in questo senso, è
una forza distinta che sta sul fondo.
La
distinzione che Rivarol premette alle sue massime politiche fornisce
effettivamente un punto cardine:
‘La potenza è la forza organizzata, l’unione dell’organo con la forza. L’universo è pieno di forze che non cercano altro che un organo per diventare potenze. I venti, le acque sono forze; applicate a un mulino o a una pompa, che sono i loro organi, divengono potenza. Questa distinzione tra la forza e la potenza dà la soluzione del problema della sovranità nel corpo politico. Il popolo è forza, il governo è organo e la loro unione costituisce la potenza politica’.
Sono
osservazioni di una mente politica acuta, che ama fare confronti con la fisica.
Viene però da chiedersi: l’universo brulica davvero di tali forze ‘che non
cercano altro che un organo?’. Queste forze aspirano proprio a sottomettersi al
giogo che l’organizzazione impone all’organismo?
L’acqua dei monti ha davvero bisogno di essere costretta nei canali e negli sbarramenti?
Il vento
vuole davvero lasciarsi imprigionare nelle vele e nelle pale dei mulini?
L’energia
elettrica della terra vuole essere isolata e condotta attraverso i fili
metallici per dare luce e calore alle città?
Il toro chiede l’aratro e il popolo lo Stato?
Chi vuole esercitare un dominio deve certamente pensarla così, ma nell’universo si può osservare in maniera altrettanto evidente una tendenza a sottrarsi a tale dominio. C’è un brulicare altrettanto vivace di piani, idee, tendenze formative, dèi, eroi, argonauti cosmici alla ricerca inesausta di forze da incatenare, costringere, attaccare davanti al proprio carro. In questa prospettiva, l’universo offre l’immagine di un’eterna caccia, cui i grandi signori prendono parte armati di reti e di funi; chi cade nelle loro mani può ritenersi ancora fortunato se deve limitarsi semplicemente a servirli senza farsi carico dei loro conflitti.
(E. Junger)
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