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Martirio Verde (66)
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Martirio Verde (secondo atto) ovvero quando la Terra piatta (68)
...Erano, cioè, ancora troppo
fanciulleschi e troppo giocosi per trovare un qualche valore nello snobismo.
Gli Irlandesi accolsero l’istruzione a modo
loro, come qualcosa con cui giocare. L’unico alfabeto che avevano conosciuto
sino allora era ogham, un rozzo insieme di linee basate sull’alfabeto romano,
con il quale incidevano laboriosamente gli angoli di pietre verticali per
trasformarle in monumenti. Queste iscrizioni simili a rune, che continuarono ad
apparire durante i primi anni del periodo cristiano, non suggerivano certo ciò
che stava per accadere, dal momento che, nel volgere di una generazione, gli
Irlandesi avrebbero padroneggiato il latino e il greco e si sarebbero sforzati
di acquisire un’infarinatura di ebraico.
Concepirono delle grammatiche irlandesi, e
trascrissero per intero la propria letteratura orale indigena. Tutto questo si
rivelò abbastanza semplice, anche troppo, una volta che ebbero capito il
trucco. Cominciarono ad inventare delle lingue. I membri di una remota setta
segreta, formatasi già verso la fine del quinto secolo, erano in grado di
scrivere l’un l’altro adoperando una forma di latino inusitato ed ermeticamente
erudito chiamato Hisperica Famina,
non dissimile dal linguaggio-sogno del Finnegans
Wake, o dai linguaggi inventati da J.R.R. Tolkien per i suoi gobbi e
folletti.
Combinarono le nobili lettere degli alfabeti
greci e romani con la semplicità talismanica e magica dell’ogham, per produrre maiuscole
iniziali e titoli che inchiodavano l’occhio alla pagina, suscitando reverenza
nel lettore.
Per il corpo del testo svilupparono due calligrafie differenti; la prima in un
carattere maestoso ma arrotondato chiamato ‘semionciale
irlandese’ e la seconda in un carattere facile da scrivere detto ‘maiuscola irlandese’, più leggibile, più
scorrevole e – diciamolo pure – molto più allegra di qualsiasi grafia inventata
precedentemente.
La cosa degna di nota e interessante dal
punto di vista di una Storia di cui abbiamo perso Memoria in questa nuova èra,
è che per ornare i testi dei loro libri più preziosi, gli Irlandesi cercarono
istintivamente un modello, anziché nelle rozze linee dell’ogham, nella loro
matematica preistorica e nelle tracce più antiche dell’esistenza dello spirito
umano in Irlanda, ossia le tombe megalitiche della valle del Boyne. Queste tombe furono edificate in Irlanda nel 3000
a.C. circa, la stessa epoca della costruzione di Stonehenge in Britannia.
Misteriose al pari di Stonehenge, sia per
quanto riguarda la loro origine sia per la complessità dell’ingegneria, queste
grandi tombe a tumolo rappresentano la più antica architettura irlandese, e
sono rivestite dalle indecifrabili forme, a zigzag e a losanga caratteristiche
dell’arte primitiva irlandese. Questi imponenti tumoli che raccontano una
storia il cui senso possiamo solo congetturare, fornirono per lungo tempo ai
fabbri irlandesi la loro ispirazione artistica. Nelle ampie linee delle
affascinanti incisioni del Boyne
possiamo infatti discernere l’origine dei magnifici gioielli e degli altri
oggetti in metallo realizzati, all’inizio del periodo patriziano, dai fabbri, i
quali detenevano nell’ambito della società irlandese il rango di indovini.
Questa intricata profusione di lavori in metallo si presenta come una serie di
variazioni sul tema originale…
Di quale tema si trattava?
L’equilibrio nello squilibrio!
Prendiamo ad esempio l’arguto coperchio della
scatola bronzea appartenente al tesoro del Somerset proveniente da Galway: fa
mostra di una precisione matematica, eppure è deliberatamente decentrato;
forgiato da un fabbro abile nell’uso del compasso, e dotato di ironia. Il suo
fascino è Infinito poiché, in quanto variazione/ripetizione sul tema della
circolarità, non ha fine… Sembra che dica ‘il cerchio non esiste’, esiste
soltanto la spirale che si configura senza fine, non esistono linee rette, ma
solo curve…
(T.
Cahill, Come gli Irlandesi salvarono la civiltà)
Esiste un’espressione presso un antico
scrittore cabalistico sull’uomo che cade all’interno della sua stessa
circonferenza: ora ad ogni generazione ci
troviamo più lontani dalla Vita stessa e l’Anima-Mundi che forma la sua
essenza, e cadiamo sempre di più in preda di quell’influenza cui si riferiva
Blake quando scrisse:
I Re ed il Parlamento (e tutti i
loro cortigiani) mi sembrano cosa diversa dalla vita umana (dalla realtà e
verità umana)…
Perdiamo sempre più la libertà man mano che
fuggiamo da noi stessi, e non solo perché le nostri menti sono stravolte dalle
frasi astratte e dalle generalizzazioni, riflessi su uno specchio che sono
un’apparenza della vita, ma perché abbiamo capovolto la scala dei valori e
crediamo che la radice della realtà non stia al centro, ma da qualche parte in quella vorticosa circonferenza. E in
che modo potremmo creare come gli antichi, se innumerevoli considerazioni di
probabilità esterne o di utilità sociale distruggono il potere creativo, solo
apparentemente irresponsabile che è la Vita stessa?
…Ogni argomento come abbiamo letto non
casualmente circa le valide argomentazioni di Cahill ci riconduce a qualche concezione filosofica-religiosa, e alla fine l’energia creativa degli uomini
dipende dalla loro fede di possedere, nel loro intimo, qualcosa di immortale e
di incorruttibile (là ove regna sovrana
la corruzione sia materiale che spirituale), e che ogni altra cosa non è
che un’immagine in uno specchio formare
la spirale appena detta…. Sino a che questa fede non sarà soltanto formale,
un uomo trarrà le sue creazioni da un’energia piena di gioia, senza cercare
tante prove per un impulso che può essere davvero sacro, e senza ricorrere ad
alcun fondamento fuori dalla vita stessa…
L’arte, nei suoi momenti più alti, non è una
creazione volontaria, ma deriva da un sentimento potente, dalla pura essenza
intesa quale Anima-Mundi di vita, ed ogni sentimento è figlio di tutte le età
passate (come una Spirale donde la vita)
e sarebbe diverso se anche un solo istante fosse stato trascurato. E davvero
non è proprio quel piacere della bellezza e dell’armonia che dice all’artista
che egli ha immaginato quel che forse non morirà, ed è esso stesso soltanto un
piacere delle forme perenni e tuttavia cangianti in spirali di vita, nelle sue
stesse membra e nei suoi tratti?
Quando la vita l’ha donato, non ha forse dato
nient’altro che se medesima?
Riserva forse mai altra ricompensa, perfino
ai santi?
Se uno fugge verso il deserto, non è quella
luce chiara che cade sull’Anima quando tutte le cose insignificanti sono state
allontanate, altri che la vita che l’ha sempre circondato, ora finalmente
goduta in tutta la sua pienezza?
Se un uomo trascorre tutti i suoi giorni in
buone opere sinché nel suo cuore non resti emozione alcuna che non sia colma di
virtù, la ricompensa che implora non è forse vita eterna?
Allo stesso modo, anche l’artista ha le sue
preghiere e il suo monastero, e se non si allontana dalle cose temporali, dallo
zelo del riformatore e della passione della rivoluzione, quell’amante gelosa
non gli rivolgerà che un’occhiata di scherno…
(W. B.
Yates, Anima Mundi)
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