Precedenti capitoli:
Lo sciatore (13/1)
Prosegue in...:
Meditazioni di visioni apocalittiche (15)
I Dèmoni camminano per la montagna!
I Santi edificano il progresso!
Va! Santo politico e ipocrita acclamato dalla
folla: corri a romperti il collo per valli città e successi, edifica e riempi
il salvadanaio onde il soldino d’un tempo ti ha mutato in cinghiale del
progresso, neppure il maiale quello rinomato della Fattoria sopporta
l’indolenza accompagnata dall’indecenza così ben allevata e propagandata.
O meglio: lavorata!
Va! Lavora! Vendi l’arma del progresso la stiva
ne abbonda, poi accogli paradossale stupore per ogni ipocrisia ben stampata e
ciarlata, o meglio allevata, con cui giustifichi demoniaca ‘dottrina’!
O meglio: la Vita!
Va! Rotola il muso per il futuro altrui grugno per
ogni principio nella piazza acclamato in nome e per conto della rinomata
Fattoria: semina morte in nome del futuro consenso rivenduto al porto per conto
d’ogni merce saporita spacciata qual prelibatezza della ricchezza ben allevata e
concimata.
Pianto Tragedia e Guerra per ogni Terra seminata!
Va! Vendi la miglior arma del consenso edifica
paradossale impropria ‘dottrina’ come piaccia ai bimbi, e si stampi il tuo nome
sui giornali.
Ignoro chi sia quello scettico antico che lanciò attraverso i secoli quest’insulto all’alpinismo moderno (ma ancor più scettico riguardo chi lo abbia adattato e riproposto ai tempi ove medesima ‘materia’ ci accomuna o divide e mai sia detto circa Sentiero Natura e Cima, bensì, in ciò che di più Elevato e Spirituale aneliamo rompendoci l’osso del collo e non certo sulla Vetta, accompagnati dalla più certa e seria quanto solenne unanime promessa d’esser perseguitati dalla ‘materia’ così apostrofata dall'ipocrisia fuggita…).
È certo che
Quintino Sella, grande e fortunato
ricercatore di citazioni classiche, conobbe questa sentenza e si astenne dal
citarla in alcuno di que’ suoi memorabili discorsi sull’alpinismo. Ma, non so perché,
dal momento in cui, reduce dalla nostra impresa, cominciai ad accarezzare il
progetto di raccontarla ai contemporanei ed ai posteri, sempre mi sta dinanzi
minacciosa questa citazione, che ha in sé quel tanto di verità cruda che ci
vuole per far sorridere i nostri avversari, ed anche per far dubitare un
alpinista dalla scrupolosa coscienza.
La ragione
della persistenza di quest’idea credo però di trovarla nella natura delle
accoglienze avute quando tornai da questa salita. Vi assicuro che ne udii delle
belle! Vi fu chi, informatosi della nostra gita, e saputo che trattavasi del Canalone…, rispose rassicurato:
Oh, se non
è che un Canalone qui ne abbiamo di
più sicuri!
Un altro,
un amico benevolo, ma pessimista, dopo avermi squadrato da capo a piedi, mi
disse commosso che era lieto di vedermi ancora vivo e tutto d’un pezzo, perché
i veri Canaloni acclamati hanno un’anima
ben più profonda ed una Vista eccelsa almeno quanto il sonno ‘comatoso’ quanto
un crepaccio...
Nei dovuti
intervalli di Tempo così ben meditato…
Un’anima pia mi confessò di aver fatto un voto
per la mia maledizione affinché fossimo definitivamente interdetti!
Altri, molto
più decisi e certamente più energici di questi e ben nutriti, pretendevano che,
quando noi si ritorna dai monti, dovrebbero attenderci alla stazione due Carabinieri,
e quella certa vettura fatta a celle, per trascinarci a quella casa da cui l’Alpi
si vedono attraverso le grate, da lungi.
Altri
propose di formare por noi e per alcuni colleghi una sezione speciale,
appartata, in un manicomio. Vi fu chi parlò d’interdizione! Per me passi, ma,
via, per un padre di famiglia com’è Vaccarone,
sarebbe un vero scandalo!
Insomma, le
accoglienze avuto furono quali si converrebbero a chi abbia commesso un
misfatto, o, peggio, una corbelleria. Pochi quelli che ci ricevettero bene, e
questi pochi tutti alpinisti, e della specie più pericolosa, di quelli che
ritornavano allora allora da salite assai più rischiose che la nostra; ma già,
l’approvazione di costoro conta poco, perché essi avranno pensato come il poeta…
In me, come
in ognuno di voi, sono due persone ben distinte, costrette a vivere quasi
sempre assieme, ad odiarsi, e a disapprovare sistematicamente le azioni l’una
dell’altra. Quando vado in montagna, io mi sbarazzo per quei pochi giorni della
mia prima persona, che in materia alpina è alquanto scettica, benché io non
possa disconoscere che essa è la parte più seria e posata di me stesso, né
negare che talvolta mi abbia dato anche de’ buoni consigli.
Ma bisogna
pure che al ritorno dai monti mi riunisca a lei, che ha un intuito finissimo, e
capisce subito da che luoghi io venga. Come è da prevedersi essa disapprova
altamente ciò che si è passato in sua assenza ed a sua insaputa, e quando poi
ha dato un occhiata a’ miei appunti ed alle mie fotografie, addio la pace di
famiglia: mi costringe a confidarle tutto. Ed allora, ahimè! nella stretta
intimità dell’animo, mi prende per un orecchio, e mi tiene un discorsetto che
suona a un dipresso così:
Ma non ha ancora finito lei, signor Guido (perché
malgrado l’intimità e la lunga convivenza ci trattiamo con molto sussiego), ma
non ha ancor finito con quella sua smania di esporsi ai pericoli? Ma che gusto
ci trova lei a rischiare la vita! Oh! questo poi no! Mi lasci dire, a rischiare
la vita per una piccola ambizione che non rende nulla né a lei né ad alcuno?
Non par vero! Un giovane serio come è lei ! — Grazie ! — Smetta, e faccia
qualche cosa di più utile e più serio. Veda, la patria ha bisogno di cittadini
che si occupino di cose positive, e di un interesse generale, e non sa che
farsi di egoisti profondi come sono gli alpinisti, quelli della sua risma. S’occupi
di affari, di politica, prenda moglie magari, ma la smetta con questo
alpinismo. Creda a me, nessuno le saprà grado quando si sarà rotto qualche
costola su un colle più o meno vergine.
Lo chiedo a
voi.
Che cosa
rispondere a questa voce, che ha tutte le apparenze della serietà e del buon
senso?
Potrei ben
dirle che al di fuori delle consuete occupazioni l’uomo giovane ha bisogno di
appassionarsi per qualche cosa, che l’uomo non vive di solo pane, che i momenti
passati in montagna fra le fatiche e le difficoltà ritemprano in pochi giorni
la fibra fisica ed intellettuale, e mi danno forza a sopportare per tutto il
resto dell’anno pazientemente la sua compagnia noiosa e la vita che lei,
personificazione del dovere, mi costringe di fare. Ma qui, in pianura, chi
finisce per aver ragione è sempre lei, che si sente spalleggiata dall’opinione
pubblica, altamente venerata.
Quindi
generalmente il predicozzo finisce lì, con un po’ di musoneria reciproca; ne
segue una pace armata, che dura fino all’estate seguente, e si rinvia la nuova
discussione a otto o dieci mesi, quando si rinnoverà la scappata.
Ma, per
quanta calma si abbia, per quanta fede ed entusiasmo si nutra, credetelo che l’accumularsi
di tutte queste critiche, di tanti rimbrotti finisce per lasciare in fondo all’animo
un’amarezza e un dubbio che difficilmente si dilegua, e che vi pesa tanto che
sentite il bisogno di discolparvi di gridar forte, per convincere gli altri, e,
insieme agli altri, anche un pochino voi stessi.
Quest’amarezza
si mitiga quando si pensa che vi sono ancora persone per bene e colte che s’interessano
seriamente e con amore alle vicende del nostro ‘Club’, quando si vede che vi ha
ancora una classe egregia di persone che interviene ai Congressi alpini, che
scrive e discute delle cose nostre, e persino, benché in numero minore, forse,
legge ancora i nostri Bollettini e le Riviste. .
E questo un
vero conforto pel povero accusato.
Egli è a
voi, giudici parziali e benigni, che apro l’animo, ed espongo la difesa mia e
del mio complice. Non invoco a nostra discolpa i precedenti di escursioni molto
più pericolose e difficili compiute da altri; mi limiterò a narrare il fatto, a
descrivere, come meglio saprò, l’ambiente in cui si svolse, le nostre
disposizioni d’animo prima, durante e dopo di esso, e giuro di dire tutta la
verità null’altro che la verità.
Voi avrete
a giudicarmi per una salita che taluno ritenne rischiosa, e per un articolo che
molti troveranno noioso; per la prima chiedo un’assolutoria, per il secondo
invoco almeno le Circostanze attenuanti.
Nessun commento:
Posta un commento