giuliano

lunedì 22 novembre 2021

BOSCHI (25)

 











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Come ho più volte detto, non si può misurare il valore di nessuno di quegli elementi di perturbazione climatica, innalzamento o abbassamento della temperatura, aumento o diminuzione dell'umidità, né si può dire che in una stagione, in un anno o in un ciclo fisso, lungo o breve che sia, si equilibrano e si compensano a vicenda. A volte, ma certamente non sempre, sono contemporanei nella loro azione, sia che la loro tendenza sia nella stessa direzione o in direzioni opposte, e quindi la loro influenza è a volte cumulativa, a volte conflittuale; ma, nel complesso, il loro effetto generale è quello di mitigare gli estremi del caldo e del freddo atmosferici, dell’umidità e della siccità.

 

Servono come equalizzatori di temperatura e umidità, ed è molto probabile che, in analogia con la maggior parte delle altre opere e lavori della natura, essi, in periodi certi o incerti, ristabilire l’equilibrio che, sia come masse senza vita, sia come organismi viventi, possono aver temporaneamente turbato.

 

Con la questione dell’azione delle Foreste sulla temperatura e sull’umidità atmosferica è intimamente connessa quella della loro influenza sulle precipitazioni, che possono influenzare aumentando o diminuendo il calore dell’aria e assorbendo o esalando gas non combinati e vapore acqueo. Essendo il bosco un assetto naturale, si presume che eserciti un’azione conservativa, o almeno compensativa, e di conseguenza che la sua distruzione debba tendere a produrre perturbazioni pluviometriche oltre che variazioni termometriche.

 

E questa è l’opinione forse del maggior numero di osservatori.




 Infatti, è quasi impossibile supporre che, in determinate condizioni di tempo e di luogo, la quantità ei periodi di pioggia non dipendano, più o meno, dalla presenza o meno di Foreste; e senza insistere sul fatto che la rimozione della Foresta ha diminuito la somma totale di neve e pioggia, possiamo ben ammettere che ha diminuito la quantità che cade annualmente entro limiti particolari.

 

Diverse considerazioni teoriche rendono questo probabile, l’argomento più ovvio, forse, essendo quello tratto dal fatto generalmente ammesso, che l’estate e anche la temperatura media della foresta è inferiore a quella dell’aperta campagna alla stessa latitudine.

 

[….] Nelle pagine precedenti abbiamo visto che l’azione elettrica e chimica della Foresta, benché oscura, esercita probabilmente un’influenza benefica, non certo dannosa, sulla composizione e sullo stato dell’atmosfera; che serve da protezione contro la diffusione delle esalazioni miasmatiche e dei veleni malarici; che svolge una funzione importantissima come riparo meccanico dai venti esplosivi ai terreni e alle colture a ridosso di esso; che, come conduttore di calore, tende ad eguagliare la temperatura della terra e dell’aria; che i suoi prodotti morti formano un mantello sulla superficie, che protegge la terra dal caldo e dal freddo eccessivi; che l’evaporazione dalle foglie degli alberi viventi, mentre raffredda l’aria intorno a loro, diffonde attraverso l’atmosfera un mezzo che resiste alla fuga di calore dalla terra per irraggiamento.




 Abbiamo visto, inoltre, che il Bosco è ugualmente utile come regolatore dell’umidità terrestre e dell’umidità atmosferica, impedendo con la sua ombra il prosciugamento della superficie da parte dei venti aridi e dei raggi cocenti del sole, intercettando una parte delle precipitazioni, e riversando nell’atmosfera una grande quantità di vapore acqueo; che se non aumenta la quantità di pioggia, tende a uniformarne la distribuzione sia nel tempo che nel luogo; che conserva un equilibrio igrometrico negli strati superiori della superficie terrestre; che mantiene e regola il flusso di sorgenti e ruscelli; che controlli lo scarico superficiale delle acque di precipitazione e di conseguenza tenda a prevenire l’innalzamento improvviso dei fiumi, la violenza delle piene, la formazione di torrenti distruttivi, e l’abrasione della superficie per azione dell’acqua corrente; che impedisce la caduta di valanghe e di sassi, e smottamenti distruttivi degli strati superficiali delle montagne; che è una salvaguardia contro l’allevamento delle locuste, e infine che fornisce nutrimento e rifugio a molte tribù di vita animale e vegetale che, se non necessarie all’esistenza dell’uomo, sono favorevoli al suo razionale godimento.

 

Infine, nelle regioni ben boscose e nei paesi abitati dove una debita proporzione di suolo è dedicata alla crescita di foreste distribuite con giudizio, le tendenze distruttive naturali di ogni tipo vengono arrestate o compensate, e quindi, uomini, uccelli, animali, pesci e allo stesso modo i vegetali trovano una costante uniformità di condizione più favorevole alla regolare ed armoniosa convivenza di tutti loro.




I boschi inoltre impediscono la caduta di valanghe e di sassi, e smottamenti distruttivi degli strati superficiali delle montagne; e infine fornisce nutrimento e rifugio a molte tribù di vita animale e vegetale che, se non necessarie all’esistenza dell’uomo, sono favorevoli al suo razionale godimento.

 

Con l’estirpazione della Foresta, tutto è cambiato, in una stagione, la terra si separa con il suo calore per irraggiamento in un cielo aperto, in un’altra riceve un calore smodato dai raggi non ostruiti del sole. Quindi il clima diventa eccessivo, e il suolo è alternativamente arso dai fervori dell’estate, e bruciato dai rigori dell’inverno. I venti cupi spazzano senza resistenza sulla sua superficie, portano via la neve che lo riparava dal gelo e asciugano la sua scarsa umidità.

 

La precipitazione diventa tanto irregolare quanto la temperatura; le nevi che si sciolgono e le piogge primaverili, non più assorbite da un terriccio vegetale sciolto, si precipitano sulla superficie ghiacciata e si riversano nelle valli verso il mare, invece di riempire un letto ritentivo di terra assorbente e accumulare una scorta di umidità per nutrirsi primavere perenni. Il suolo è spogliato della sua copertura di foglie, spezzato e allentato dall’aratro, privato delle radichette fibrose che lo tenevano insieme, essiccato e polverizzato dal sole e dal vento, e infine stremato da nuove combinazioni.




 La faccia della Terra non è più una spugna, ma un mucchio di polvere, e le piene che le acque del cielo riversano su di essa si precipitano veloci lungo le sue pendici, portando in sospensione grandi quantità di particelle terrose che ne accrescono il potere abrasivo e la meccanica forza della corrente, e, accresciuta dalla sabbia e dalla ghiaia degli argini cadenti, riempiono i letti dei torrenti, li deviano in nuovi canali e ostruiscono le loro uscite. I rivoli, mancando l’antica regolarità di approvvigionamento e privati ​​dell’ombra protettrice dei boschi, si riscaldano, evaporano, e così si riducono nelle loro correnti estive, ma si gonfiano a impetuosi torrenti in autunno e in primavera.

 

Da queste cause, vi è un costante degrado degli altipiani, ed un conseguente innalzamento dei letti dei corsi d’acqua e dei laghi per la deposizione delle sostanze minerali e vegetali trasportate dalle acque. I canali dei grandi fiumi diventano impraticabili, i loro estuari sono ostruiti e i porti che un tempo riparavano grandi flotte sono intasati da pericolosi banchi di sabbia. La Terra, spogliata della sua gleba vegetale, diventa sempre meno produttiva e, di conseguenza, meno capace di proteggersi tessendo una nuova rete di radici per legare insieme le sue particelle, un nuovo tappeto erboso per ripararla dal vento e dal sole e pioggia battente.

 

A poco a poco diventa del tutto sterile.




Il lavaggio del suolo dalle montagne lascia spoglie creste di roccia sterile, e la ricca muffa organica che le ricopriva, ora spazzata giù nei terreni umidi e bassi, promuove un rigoglio di vegetazione acquatica, che genera febbre, e forme più insidiose di malattie mortali, con il suo decadimento, e così la terra è resa non più adatta all’abitazione dell’uomo.

 

FORESTE D’ITALIA

 

Secondo le statistiche più recenti, l’Italia ha il 17,64 per cento di bosco, una proporzione che, considerando il carattere del clima e della superficie, potevano essere vantaggiosamente raddoppiati.

 

Prendendo l’Italia nel suo insieme, si può dire che essa è eminentemente adattata, per clima, suolo e formazione superficiale, alla crescita di una variegata e rigogliosa vegetazione arborea, e che nell’interesse dell’autotutela, la promozione dell’industria a tutela della Foresta è tra i primi doveri del suo popolo.

 

Vi sono nelle valli del Piemonte occidentale dove l’abbattimento dei boschi ha prodotto conseguenze geograficamente ed economicamente disastrose come nel sud-est della Francia, e vi sono molte altre contrade delle Alpi e degli Appennini dove l’imprudenza umana è stata quasi altrettanto distruttiva. Alcune di queste regioni devono essere abbandonate all’assoluta desolazione, e per altre l’opportunità della restaurazione fisica sta rapidamente svanendo.

 

Ma ci sono ancora milioni di miglia quadrate che potrebbero essere piantate con profitto con alberi da foresta, e migliaia di acri di colline aride e aride, in vista di quasi tutti i capoluoghi di provincia italiani, che potrebbero essere facilmente e presto rivestiti di boschi verdeggianti.




La moltitudine di denominazioni geografiche in Italia che indicano l’antica esistenza delle Foreste mostra che anche nel Medioevo esistevano boschi dove ora non si trovano alberi forestali. Ci sono centinaia di nomi di città medievali derivati ​​da abete, acero, carpino, castagno, faggio, frassino, pino, quercia e altri nomi di alberi.

 

Le Alpi Orientali, l’Appennino Occidentale e le Alpi Marittime tutelarono le proprie foreste molto più tardi; ma anche qui la mancanza di legname, e il danno alle pianure e la navigazione dei fiumi da parte dei sedimenti portati dai torrenti, portarono alla legislazione per la protezione delle Foreste, da parte della Repubblica di Venezia, in vari periodi tra il XV e il XV secolo. e il XIX secolo.

 

Non troviamo nella legislazione Forestale veneta molte prove che gli argomenti geografici fossero presi in considerazione dai legislatori, che sembrano aver avuto un occhio solo alle considerazioni economiche.

 

Secondo Hummel, la desolazione del Carso, l’altopiano a nord di Trieste, oggi uno dei quartieri più aridi e aridi d’Europa, è dovuta all’abbattimento dei Boschi, secoli fa, per costruire le marine di Venezia.

 

Dove il miserabile contadino del Carso ora non vede altro che nuda roccia spazzata e perlustrata dalla furiosa Bora, la furia di questo vento era un tempo domata da possenti Abeti, che Venezia abbatteva sconsideratamente per costruire le sue flotte.




 Dall’antico statuto di Genova del XVII sec., e successivamente quello di Venezia, apprendiamo (anche in data odierna) il comportamento adottato di entrambi questi governi, che, come molti altri, se da un lato approvarono leggi che obbligavano i proprietari delle terre di montagna a ripiantare i boschi, dall’altro,  sembrano essere poco attenti circa la comune necessità del Bosco, quindi tendono a privilegiare opposte forme edilizie simmetriche al turismo, simmetriche all’industria del legname, le quali necessitano dei suddetti incensanti continui disboscamenti, privando l’intera comunità, e non solo montana, del beneficio del Bosco. Adottando tal forma di mal governo ne continuano a chiedere la necessaria sussistenza tutte le volte che una improvvisa imprevista calamità affligge la Regione, dacché osserviamo, che il prevenire meglio del dover curare, soprattutto quando taluni amministratori locali beneficiano - in senso del tutto privato - di tal meccanismo calcolato di intervento, arricchendosi a spese dello Stato.

 

Sebbene nessun paese abbia prodotto scrittori più abili dell’Italia sul valore della Foresta e sulle conseguenze generali della sua distruzione, tuttavia la specifica importanza geografica dei Boschi, se non come protezione contro le inondazioni, non è stata così chiaramente riconosciuta in quel paese come negli Stati confinanti a nord e ad ovest.


Il concerto d’azione su tale argomento, tra una moltitudine di gelose egoistiche piccole sovranità, era ed è ancor presente a tutt’oggi, e nient’altro che l’unione permanente di tutti gli Stati italiani sotto un unico governo può rendere praticabile l’istituzione a tutela di necessari accordi per la conservazione e il restauro delle Foreste, e la regolazione della loro sopravvivenza per un diverso principio applicato di Economia a breve scadenza.


(G. P. Marsh)










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