giuliano

domenica 28 novembre 2021

LA VISTA (29)

 










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Dogmatismo e Dogmatica  







[ *Ed io a lui:

 

Privilegiando nella volontà tradotta dell’artista una ‘luce’ con la quale miriamo un aspetto della stessa nella totalità dell’Opera compiuta da quando nato il pittogranma di cui futura parola, riducendo però la vastità della prospettiva evidenziata ad una tecnica figlia del suo e nostro tempo. L’evoluzione detta non scorre al contrario nella scelta di un singolo aspetto che fanno della luce, con la sua micro e macro suddivisione, anima dell’arte, riducendo ad un formalismo la bellezza di quanto ammirato ed evoluto, ma bensì nel puntinato di quanto ugualmente scorto adeguando i parametri nell’ottica più congeniale alla volontà del termine il quale sottintende, altrimenti ridurremmo l’esperienza della puntinata visione ad un accademico principio, di cui io e la mia guida riconosciamo in cotal salita e discesa, la volontà di comprendere più di quanto nell’enunciato raccolto e postulato…




 Adottando lo stesso principio formale ci adeguiamo quanto dal Gould postulato e lo adattiamo alla nostra ‘Gallerie di stampe’ ed esuliamo dal punto prospettico di questa in infiniti crescendi e certe prospettive della stessa evoluzione letta ed ammirata. Giacché il Seraut  svela non volendo la manifesta coscienza dello scienziato ponendo il nostro essere ad un nuovo (quanto antico) confino, di cui ogni sapere, e ciò che ne deriva, formare quelle ortodossie o eterodossie in seno ad ogni dottrina, riproponendo ugual espressioni di intolleranza…; ma al contrario, riprospettiamo ed adeguiamo il traguardo per ogni opera maturata dalla e nella ricerca per ogni nuova teoria in conformità alla vastità prospettica la qual vuole conferire al dono dell’universale sapere… verità agognata… Rapportando la lunga stasi documentata, e non solo dal Gould, ad una singola evoluzione in merito alla stessa prospettiva la qual però, come detto, esula e sfugge (come direbbe Godel) dal progressivo contesto in cui enumerata…




Infatti nella logica di una immobilità postulata muoviamo e rileviamo Pensiero di una perenne stasi dallo gnosticismo ampiamente rivelata… La progressione nasce e muove l’intento dallo scienziato quanto dal pittore detto preso qual esempio, per conferire alla ‘Galleria di stampe’ certezza di stasi nel momento in cui la luce, così come per il Brunelleschi la prospettiva, divengono immagine ed arte confacenti al dono della vista più completa nella dimensione cui la stessa prospetta… Però, pur essendo punti di fuga in statici principi protratti nei secoli, riconosciamo in cotal evoluzioni un circoscritto intento delimitare le scientifiche dottrine reclamate e suddivise e giammai specchio prospettiva e luce di universale ingegno.




 Mi spiego ancor meglio: se il puntinato e la sua manifestazione nella duratura o limitata stasi assieme alla prospettiva con il suo punto di fuga e la luce per il post impressionista rappresentano evoluzioni nella materia che sottintendono, abbiamo perso, però, quella capacità di rapportare il tutto dal tutto nato all’universale essere evoluto motivo e principio di questo e/o altro studio, giacché questo intende (o fors’anche ed ancor meglio sottintende) nel progresso del detto ingegno anche corrispondenza e certa appartenenza alla spirale di cui specchio… 

Delimitando ed enunciando il confino tra stasi ed il successivo cammino nato in ragione di quanto fin qui raccolto al fossile di cui specchio da quando il Tempo… Ragion per cui se ad oggi il pixel adotta ugual evoluzione dello scienziato da un artista nato ed evoluto, in difetto però, della medesima stasi che rapporterà e tradurrà quanto di concretamente ‘accertato’ entro i più reali termini di quanto non propriamente ‘assommato’ o meglio ‘risolto’ dalla stessa geologica dottrina la quale spiega il conformarsi della vita da una cellula nata e poi fino ad un pensiero prima glutterato e poi più ampiamente cogitato… 




Poi di nuovo frammentato in ‘pittogramma’ di limitato contenuto alla parete di cui compone statico e puntinato motivo… cui il pixel conferisce immagine appropriata… alla luce nata… Riducendo l’universale evoluzione detta ed il simmetrico presunto suo sapere ad un puntinato contenuto enunciato, però, nella stasi di un battito di ciglia qual certa e reale comprensione circa il tutto… In quanto successioni graduali di una stasi protratta nel senso gnostico del Tempo e non certo punti di equilibrio di saggia evoluzione, e con questo penso di aver tradotto l’arcana parola rilevata, in quanto lo abbiamo più volte detto, in verità e per il vero, se pur il Tempo nello Spazio scorre ed enumeriamo i secoli e l’uomo un Secondo rispetto alla consistenza di quanto presidiato, da quando cioè, pone parola e pensiero, in verità siamo fermi in stasi protratte nel fattore dello stesso (tempo)… 

Così non facciamo che dar ragione della nostra universale pazzia nell’aver confermato che non è sufficiente prospettiva e luce per svelare qual si voglia mistero ma una capacità di coniugare ed elevare la dimensione a ciò di cui non visto, solo percepito, nel contesto che fanno della vera evoluzione un gradino più elevato per la globale comprensione… nella stasi cui l’opera compone la propria visione… Giuliano Lazzari; L’Eretico Viaggio; punti di equilibrio ]


  

Una proiezione del medesimo principio (orientato però in una direzione diversa) è offerta dalle fotografie realizzate attraverso tre filtri luminosi e il successivo congiungimento delle tre immagini mediante una lanterna magica oppure mediante la loro scomposizione per mezzo di un retino, con successiva stampa in tre colori (la comune fotografia tricromatica).

 

Gli esempi qui citati dimostrano come gli strumenti da noi presi in esame siano effettivamente delle organoproiezioni. Ma se le cose stanno davvero così (e non per una coincidenza casuale, bensì in virtù dell’essenza stessa della produzione tecnica), occorre ritenere che tutti gli strumenti siano tali e non soltanto “taluni” e che nella natura medesima dell’utensile sia insita la necessità di essere la proiezione di questo o quell’organo.

 

In tal caso, dovremo porci una duplice domanda: in primis, proprio tutti i nostri organi hanno la loro proiezione nella tecnica umana?

 

E, in secundis: davvero ogni strumento è la proiezione di uno dei nostri organi?




 Com’è evidente, la risposta alla prima questione non potrà essere che negativa. La nostra tecnica si evolve continuamente. Non intendo con questo affermare che essa si evolva senza soluzione di continuità in tutta la durata storica, ma solo che appaiono strumenti che in una certa fase della storia e presso una data cultura non esistevano; inoltre, compaiono strumenti costruiti secondo nuovi principi.

 

E non c’è motivo di credere che una tale produzione debba essere limitata e non possa proseguire indefinitamente. Di conseguenza, ogni stadio dell’evoluzione tecnica non è definitivo e, pertanto, in un dato momento storico non tutti gli organi e non tutte le parti degli organi trovano la loro proiezione nella tecnica.

 

Il compito storico della tecnica consiste nel continuare deliberatamente con le proprie organoproiezioni, fondandosi sulle soluzioni fornite inconsapevolmente dalla germinazione corporea dell’anima.




Come la natura, – dichiara du Prel – risolve i suoi compiti organici in base al principio della dispersione minore di forze, delineandosi come archetipo della tecnica, così quest’ultima dovrà imitare la natura, come del resto ha sempre fatto inconsciamente. Ma, per raggiungere la soluzione ideale dei fini che si propone, essa dovrà innalzarsi fino all’imitazione consapevole della natura […] Solo se la tecnica prenderà a imitare consapevolmente la natura, potrà sorgere la speranza che la sua evoluzione non dipenda dal caso, simile a una caccia a occhi bendati e che si realizzi la profezia di Francis Bacon, barone di Verulam: ‘Insieme all’invenzione andrà perfezionandosi anche l’arte d’inventare’.

 

E questa è la risposta alla prima domanda; una risposta dal carattere meramente preliminare, poiché il suo contenuto si amplierà in misura considerevole non appena prenderemo in esame anche la seconda delle questioni da noi poste, vale a dire: davvero tutti gli strumenti sono la proiezione dei nostri organi?

 

Fu proprio quest’interrogativo (concepito in maniera erronea) a spingere Ernst Mach a replicare alla teoria sulla produzione tecnica di Kapp, affermando che essa ‘avvolge di una fitta nebbia il pensiero di Spencer e che per suo tramite ‘si potrà pervenire soltanto a una ‘filosofia’ fantastica’ della tecnica. ‘È incerto – obietta Mach – quale organo si proietti nella vite, nella dinamo, nel rifrattometro a cristallo e così via. Quel che è certo è che attraverso lo studio della tecnica possiamo arrivare a comprendere taluni organi del nostro corpo.




La risposta a questa domanda, così com’è stata posta, non può essere che negativa.

 

Innanzitutto, siamo ancora ben lungi dal conoscere tutti gli organi del nostro corpo. Il nostro corpo non può essere considerato come qualcosa di noto; ciononostante, questo non impedisce all’immaginazione creativa di proiettare nella tecnica anche quelle parti del corpo o quegli organi che risultano ancora sconosciuti all’anatomia macroscopica e microscopica, nonché alla fisiologia. Di conseguenza, non solo è ammissibile, ma addirittura auspicabile attendersi dalla tecnica quegli strumenti il cui prototipo organico non è stato ancora rinvenuto.

 

Inoltre, molti dei nostri organi sono rudimentali, non si sono ancora completamente sviluppati o finanche formati, dal momento che la corrente vitale si è allontanata da loro, fluendo via verso altri esseri. Ciò tuttavia non impedisce a tali organi di esistere, almeno in linea di principio, nel nostro corpo o, piuttosto, nel principio vitale del nostro corpo.




Per conservare l’integrità del nostro organismo è necessario che esso si stilizzi in una direzione determinata, ovvero nello sviluppo degli organi è fondamentale una certa unilateralità. Ma questo non significa che, anche nell’ambito degli strumenti che prolungano o non prolungano il nostro corpo secondo il nostro arbitrio e in base alle esigenze del momento e che possiamo unire a esso o staccare, sia necessario anche un certo grado di specializzazione, se la consideriamo nella sua interezza.

 

In virtù dell’arbitrarietà dell’unione o della non unione di un dato strumento al corpo, in virtù della loro incomunicabilità reciproca (senz’altro maggiore di quella tra gli organi del corpo), gli strumenti sono caratterizzati da un minor livello di coordinamento e, quindi, da una grande eterogeneità di funzioni.

 

Per esprimersi più esattamente, gli strumenti sono creati dalla vita nella sua profondità, non al livello di una specializzazione superficiale.

 

Ognuno di noi nel suo profondo è potenzialmente dotato di una pluralità di organi che non si sono rivelati nel suo corpo, ma che tuttavia possono manifestarsi in forma di proiezioni tecniche.




 E viceversa: la vita può realizzare tecnicamente la proiezione di un dato organo prima che quest’ultimo diventi noto da un punto di vista anatomico e fisiologico, rivelandosi in noi stessi o, perfino, in altri organismi, in altre manifestazioni vitali manifestamente non umane e in seguito forse anche nell’uomo in forma di embrione.

 

Se lo studio degli organismi è la chiave che apre all’invenzione tecnica, al contrario le invenzioni tecniche possono essere interpretate come una sorta di reagente della nostra autoconoscenza.

 

La tecnica può e deve risultare una provocazione per la biologia, così come la biologia per la tecnica. Noi scopriamo in noi stessi e, in generale, nella vita gli strumenti tecnici finora non realizzati e nella tecnica – gli aspetti ancora ignoti della vita.

 

La linea della vita e quella della tecnica fluiscono parallele; ma i punti corrispondenti dell’una o dell’altra possono fare un balzo in avanti e distanziarsi.




 E ciò ci consente di fare congetture su queste due linee, su distanze maggiori di quelle che ci sono date effettivamente, per la linea della vita nella coscienza e quella della tecnica nella realtà.

 

Così, per esempio, i presupposti per il volo umano sono insiti nello studio del volo degli uccelli; o meglio, fu proprio quest’ultimo che instillò nell’uomo fin dai tempi più remoti (già all’epoca di Minosse) la convinzione che l’aeronautica fosse possibile.

 

In altri casi, non sono ancora stati conseguiti risultati tecnici, benché essi si profilino all’orizzonte. Ad esempio, fondandosi sulla nostra conoscenza degli organi dei pesci elettrici (il pesce siluro, la torpedine, l’anguilla e l’ossirinco, il pesce sacro degli Egizi), si può e si deve prevedere la possibilità di fabbricare armi elettriche come prolungamento del corpo. Compito che non è stato ancora realizzato – se eccettuiamo le fantasie di Jules Verne nel romanzo Ottantamila leghe sotto i mari (sic! V.P.), dove si descrive il fucile elettrico del capitano Nemo.

 

(P. Florenskij; La proiezioni degli organi)








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