giuliano

domenica 6 novembre 2022

LETTERE (6)

 









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la Parabola al completo! 


& Lettere (8)







Alla signora Ezra S. Carr  

Yosemite 3 aprile 1871 

& per Conoscenza A Shara….

 

 

Oh, signora Carr, se lei potrebbe essere qui per socializzare in questa gloria di mezzogiorno! Sono nelle Yosemite Falls superiori e riesco a malapena a calmarmi per scrivere, ma dal mio primo battesimo, ore fa, sei stata così presente che devo cercare di correggere il tuo pensiero di cui mi hai scritto. Nel pomeriggio sono salito qui in montagna con una coperta e un pezzo di pane per passare la notte in preghiera fra le zampe di questo autunno. Ma cosa posso dire di più se non desiderare  che tu possa ispirare la tua anima ai raggi di questo cielo?

 

L’argento della luna illumina questa gloriosa creazione che chiamiamo ‘cascate’ e ha posto alla sua base un magnifico doppio arco prismatico. Il tessuto della caduta è delicatamente visibile all’esterno come la sostanza di sommesse nuvole, e le stelle brillano fiocamente attraverso il loro velo. Nel solido corpo ad albero delle cascate c’è un gran numero di grotte, nere e profonde, con evoluzioni di bianchi acrobatici spruzzi, convolutivi vicini a davanzali di sporgenti comete, sopra e sotto i loro lati, come cristalli in una grotta. E ogni atomo del magnifico essere dalla sottile cresta argentea che non offusca le stelle alle frecce interne temprate che colpiscono come fulmini nel suono e nell’energia, tutto si tramuta in vita e spirito: in ogni fulmine e urlo simile ad un ululato si avverte la mano di Dio.

 

Oh, di quale musica mi benedice ora e per sempre!




Il sole della scorsa settimana ha rivelato ed intonato le più grandiose note più dell’intero anno.

 

Ho detto che mi sarei fermato qui fino al mattino e avrei pregato un’intera benedetta notte con le cascate e la luna, ma sono troppo bagnato e devo scendere. Un’ora o due fa sono uscito in qualche modo su una piccola cresta che si estende lungo la parete dietro le cascate. Suppongo di essere stato in trance, ma posso affermare con certezza che ero nel corpo, perché è gravemente malconcio e bagnato.

 

Mentre guardavo oltre l’orlo sottile della cascata e sotto la parete fino al ciglio della roccia, alcuni pesanti getti d’acqua mi colpirono facendomi sbattendo violentemente contro la parete. Improvvisamente tutto si è oscurato, ed è calato un sipario composto da scure comete. Mi accovacciai, trattenendo il respiro, ed ancorato ad alcuni spigoli di roccia, interpretai il battesimo con - ottimistica - seppur moderata buona fede.

 

Quanto poco sappiamo di noi stessi, delle nostre più profonde attrazioni e repulsioni, delle nostre affinità spirituali!

 

E quanto è interessante l’uomo posto nelle sue relazioni con lo spirito simmetrico a questa roccia e a questa acqua!




Quanto significativo diventa ogni atomo del nostro mondo tra le influenze di tutti quegli esseri invisibili e del tutto spirituali nonché angelici che affollano queste pure dimore di schiuma cristallina e granito viola.  Sommo altare di inviolati Dèi.

 

Non posso trattenermi dal parlare a questo piccolo cespuglio al mio fianco e alle gocce di spruzzo che vengono sui miei appunti, e dei singoli granelli di sabbia del pendio su cui sono seduto. Ruskin afferma che l’idea di oscenità è essenzialmente connessa con tutto ciò che lui chiama ‘materia morta’ e non organizzata. Non credo in ciò che scrive, e se dimorasse per un po’ tra gli invisibili arcani Geni di queste montagne, e non in lussuosi alberghi, dimenticherebbe tutte le differenze condite con dotte citazioni da vocabolario, tra il puro e l’impuro, e perderebbe ogni memoria e significato del termine diabolico generato dal peccato.

 

Bene, devo scendere. Sto ignorando tutta la fisiologia dei dottori nel sedere qui in questa umidità universale. Addio a te e a tutti gli esseri che ci circondano. Farò una gloriosa passeggiata giù per la montagna in questa luce bianca e sottile, sulle ciglia aperte ingrigite di Selaginella e attraverso le spesse grotte di ombra nera nelle querce vive, tutte piene di lance innevate di luce lunare. 

[J.M.]




Una delle esperienze più memorabili di John Muir fu l’arrivo di Ralph Waldo Emerson nella Yosemite Valley, il 5 maggio 1871,  Muir aveva trentatré anni ed Emerson sessantotto, ma la disparità dei loro anni non si dimostrò di ostacolo nell’immediato inizio di una calda amicizia. Il miglior resoconto del loro incontro è contenuto in un memorandum di commenti fatto da Muir venticinque anni dopo, quando l’Università di Harvard gli conferì una laurea honoris causa.

 

‘Sono stato fortunato’

 

…disse 


‘nell’incontrare alcuni dei più eletti dei vostri uomini di Harvard, subito li ho riconosciuti come i migliori interpreti e più che degni rappresentanti della nobiltà da Dio dispensata. Emerson, Agassiz, Gray, mi hanno influenzato più di ogni altro. Sì, la maggior parte dei miei anni sono trascorsi nella parte più selvaggia del continente, quasi invisibile, nella contemplazione delle Foreste e delle amate montagne. Questi uomini furono i primi a trovarmi e a salutarmi come un fratello. Prima di tutto, e il più grande di tutti, è arrivato Emerson. Vivevo allora nella Yosemite Valley quale grandioso altare della Sierra, da cui potevo fare escursioni nelle montagne adiacenti. Non avevo molti soldi e allora gestivo un mulino che avevo costruito per segare legname venduto per farne cottage.




Quando è arrivato nella Valle, ho sentito la gente dell’albergo dire con enfasi solenne: “Emerson è qui”. Ero eccitato come non lo ero mai stato prima, e il mio cuore pulsava come se un angelo diretto dal cielo si fosse posato sulle rocce della Sierra. Ma così grande era il mio timore e la mia riverenza, che non osavo andare da lui o parlargli. Mi sono esposto lontano dalla calca di persone che si stavano radunando per incontrarlo, per anch’io, essere presentato e mi riuscì di stringergli la mano. Poi seppi che fra tre o quattro giorni se ne sarebbe andato, e in preda alla disperazione gli scrissi un biglietto e lo portai al suo albergo dicendogli che Il Capitano e Tissiack gli avevano chiesto di trattenersi più a lungo.

 

Il giorno dopo chiese del Vagabondo della valle e fu indirizzato alla piccola segheria. Arrivò al mulino a cavallo accompagnato dal signor Thayer poi smontò ed entrò nel mulino.

 

Avevo uno studio attaccato al timpano del mulino, a strapiombo sul ruscello, nel quale lo invitavo, ma non era di facile accesso, essendo raggiunto solo da una serie di assi inclinate irruvidite da stecche come una scala per galline; ma salì coraggiosamente e gli mostrai la mia collezione di piante e schizzi tratti dalle montagne circostanti che sembravano interessarlo molto, e lui fece molte domande. Venne a trovarmi più volte, e lo vedevo tutti i giorni mentre stava nella valle, e uscendo fui invitato ad accompagnarlo fino al Mariposa Grove of Big Trees.




Gli dissi: “Andrò a compiere un ‘miracolo’, signor Emerson, se mi promettete di accamparvi con me nel Boschetto. Accenderemo un falò glorioso, e i grandi tronchi marroni delle Sequoie giganti saranno illuminati in modo impressionante, e la notte sarà epica e gloriosa”.

 

Si entusiasmò come un ragazzo, il suo perenne dolce sorriso divenne sempre più profondo, e gli rispose: “Sì! Sì! Ci accamperemo, ci accamperemo assieme”; e così il giorno dopo lasciammo Yosemite e cavalcammo per venticinque miglia attraverso le foreste della Sierra, le più nobili sulla faccia della terra, mi fece parlare tutto il tempo, mentre lui parlava pochissimo. I colossali abeti bianchi, l’abete Douglas, il Libocedrus e il pino da zucchero, i re e i sacerdoti delle conifere della terra lo riempirono di timore e di gioia. Quando ci fermammo a pranzare, invitò diversi membri del gruppo a raccontare storie o recitare poesie, e parlò, sdraiato sul tappeto di aghi di pino, dei suoi giorni da studente ad Harvard. Ma quando nel pomeriggio siamo arrivati ​​alla Taverna Wawona’…

 

Qui finisce il memorandum, ma la continuazione si trova nel suo volume ‘I nostri parchi nazionali’ a conclusione del capitolo su ‘Le foreste dello Yosemite’:




Nel primo pomeriggio, quando abbiamo raggiunto la stazione di Clark, sono stato sorpreso di vedere il gruppo rallentare e quando gli chiesi se non stavamo salendo nel boschetto per accamparci dissero: “No, non sarebbe né confortevole né conveniente sdraiarsi la notte all’aria aperta. Il signor Emerson potrebbe prendere freddo; e sa, signor Muir, sarebbe una cosa terribile”.

 

Invano insistetti che solo nelle case e negli alberghi si prende il raffreddore, e che nessuno si fosse mai sentito accampato freddo in questi boschi, che non ci fosse un solo colpo di tosse o starnuto in tutta la Sierra. Poi ho immaginato il clima, il fuoco ispiratore che avrei acceso, ho elogiato la bellezza e la fragranza della fiamma della Sequoia, ho raccontato come i grandi alberi sarebbero stati intorno a noi trasfigurati in una luce viola, mentre le stelle ci guardavano tra le grandi cupole; finendo per esortarli a venire ad immortalarli per farne una notte epica e leggendaria. Ma l’abitudine della casa non può essere superata (il bene immobile viene comunemente detto, e ciò cui entrambi, privati dai beni privati…!), né la strana paura dell’aria pura della notte, sebbene fosse solo aria fresca di giorno con un po’ di fresca rugiada. Quindi erano preferiti la polvere del tappeto persiano e gli odori inconoscibili.

 

E pensare sia questa la miglior scelta della cultura e non solo di Boston, giacché qui ove rinnovo la comune vilipesa Memoria in nome e per conto di Madre Natura, siamo comunemente definiti Vagabondi ignoranti con l’aggiunta di altre troppe calunnie….




Triste e più epico commento del detto e non detto alla cultura del glorioso trascendentalismo (e non solo di questo).

 

Abituato a raggiungere qualsiasi luogo per cui fossi partito, stavo salendo da solo sulla montagna per accamparmi e aspettare l’arrivo della festa il giorno successivo. Ma poiché Emerson sarebbe ripartito presto, ho deciso di fermarmi con lui. Non disse quasi una parola per tutta la sera, eppure era un grande piacere semplicemente stare con lui, scaldandosi alla luce del suo viso come ad un fuoco. Al mattino risalimmo il sentiero attraverso una nobile foresta di pini e abeti fino al famoso Mariposa Grove, e ci fermammo un’ora o due, per lo più nella abitudinaria maniera turistica, - guardando i giganti più grandi, misurandoli con un nastro, camminando attraverso tronchi e annoiati dal fuoco. Ed anche se il signor Emerson era solo gironzolava come se fosse incantato. Mentre attraversavamo un bel gruppo, disse: “C’erano dei giganti a quei tempi”, riconoscendo l’antichità della specie.

 

Il poco tempo misurato fu presto speso, e mentre le selle venivano regolate, esortai di nuovo Emerson a rimanere. “Tu sei una Sequoia”, gli dissi. “Smettila e fai conoscenza con i tuoi fratelli maggiori”. Ma aveva superato il suo periodo migliore, ed era ora un bambino nelle mani dei suoi amici affettuosi ma tristemente civilizzati, che sembravano pieni di conformismo antiquato come di audace (e solo apparente) indipendenza intellettuale.

 

Era il pomeriggio del giorno e il tramonto della sua esperienza di questa vita.




Il gruppo montò a cavallo e se ne andò apparentemente con meravigliosa soddisfazione, quasi trascinandolo via come si farebbe con un vecchio tronco, tracciando il sentiero attraverso ceanothus e cespugli di cornioli, intorno alle basi dei grandi alberi, su per il pendio della conca di sequoie e oltre lo spartiacque. L’ho seguito fino al bordo del boschetto. Emerson indugiò e quando raggiunse la cima del crinale, dopo che tutto il resto della comitiva era finito e sparito dalla vista, girò il cavallo, si tolse il cappello e mi fece un ultimo saluto.

 

Mi sentivo solo, così sicuro che Emerson fra tutti e più di tutti loro sarebbe stato il più ansioso ad ammirare le montagne e cantarle una ad una. Osservando per un po’ il punto in cui era scomparso, quasi senza arrendermi, tornai nel cuore del boschetto, feci un letto di pennacchi di sequoia e felci lungo il ruscello, raccolsi una scorta di legna da ardere e poi camminai fino al tramonto…, lo confesso molti anni dopo l’incontro, giacché rimasi per un po’ afflitto da quello strano morbo depressivo il quale sopraggiunge quando pensi una cosa e scorgi la realtà di tutt’altro panorama…




Gli uccelli, i pettirossi, i tordi, i silvia, ecc., che erano rimasti nascosti alla vista, mi vennero intorno, ora che tutto era tranquillo, e fecero festa chiacchierando tutto il giorno e la notte in lunghi monologhi intervallati da Frammentati Consigli di Stato all’altare così imbandito. Antiche Poesia e lunghe prediche condite con sermoni e inni alati. Puntuale giunge, al mio stato d’animo afflitto e depresso, il loro rimprovero qual divino medicamento, ovvero la loro poesia, la divina cura, e da chi sia dettata o comandata rimane un atroce vago mistero di cui parlai a lungo con la mia Shara, mistero condito dalla fame saziata con un tozzo di pane d’uno strano presentimento, l’eterna certezza d’una Lingua non del tutto né intuita e neppure ben compresa, un vago antico ricordo un Giardino e un diverso Dio, per sussurrare che il suo Pensiero devi aver intuito e l’uomo…

 

…Anni fa John Muir scrisse ad un amico…

 

…Sono irrimediabilmente e per sempre un alpinista… la civiltà del presunto progresso è una lieve febbre, inizia con una leggera influenza poi diviene universale pandemia; nonostante tutta la malvagità che mi è stata lanciata contro non mi ha offuscato i gelidi occhi, mi preoccupo di vivere solo per vederli riflessi nello sguardo della fredda bellezza della Natura… che similmente specchiandosi nei miei parla e detta l’eterna sua Poesia…   

 

Con quale gloria ha adempiuto la promessa della sua perenne aspirazione:

 

la Natura!  








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