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& con ciò che rimane (3/4)
Ingegnere, le porto il
suo bicchierino perché questa sera abbiamo acceso anche il camino, può godersi
il caldo tepore non concesso ad ugual signore nascosto nel folto del bosco.
Tali sono i pensieri non
detti, perché quando servo tutti questi forestieri ospiti illustri di oggi e di
ieri, il Tempo non muove le labbra, concede solo un inchino quando offro il
solito bicchierino.
Il Tempo rimane nascosto
tra le pieghe del volto, non è mai esistito, come l’uomo uscito all’alba di un
mattino, un pazzo e la sua bestia attorno allo stesso urlo: un torrente corre
come un lupo per morire in un diverso sogno del futuro.
Il Tempo per noi mai è
esistito… condizione del Segreto Dio.
Il loro Dio, invece, ci
gira in tondo, che noia che rovina la loro mattina. Ma quando viene la sera,
complice il vino e un buon bicchierino, il nostro Dio ci dà il triste compito
di vegliare le piccole ore di questi uomini, ospiti lungo il nostro umile e
povero cammino.
Scrutarli scoprirli e
dipingerli come poveri diavoli assopiti.
Allora le ombre, le luci,
i colori, appaiono immutati nei contorni di codesti panorami. Conservate di
certo memoria della illustre galleria, quella del grande museo, dove ogni
turista o studioso che sia si inchina ai volti, accarezza i profili scolpiti
nella storia.
Volti dipinti in grandi
fastose e preziose cornici, volti ritratti con la tristezza fra le mani, gli
occhi vivi come fossero imprigionati… nei loro stessi profili distinti,
fortunati destini…. Come fossero imprigionati nell’incertezza del Tempo per
conferire lustro ad una illustre pagina di storia, dove la loro presenza è come
una inutile grammatica a evidenziarne la parola.
La parola, sempre la
stessa, nel grande libro della memoria che la contiene.
Non cambia di molto il
grande tomo, ed assieme a quello molti altri sono stati scritti con ugual e
ripetuta rima, sono tutti in fila come tanti profili della grande biblioteca,
catalogati come vuole e ordina il Tempo, perché qualche solerte archivista ha
sentenziato che vi è differenza fra il primo e l’ultimo di questa … preziosa
galleria del nobile Creato.
Anche noi, nell’umile vallata abbiamo il nostro museo e ricca biblioteca. Conserviamo anche noi il Tempo nella modesta apparenza di un campanile che conta ogni ora, nulla si muove di quanto già visto sul borgo e per l’intero panorama, il grande suo meccanismo in ogni stagione contempla il Tempo: per noi nulla è mutato e nulla mai appare all’orizzonte del sacro altare.
Il Tempo lo scorgiamo fra
i rami ed i colori del nostro dolore, quando vediamo il progresso ed il suo
grande rumore dettare una incompresa strofa nella Prima Poesia e mutarne il
senso dell’originale opera, nostra eterna ricchezza di un’incompresa Rima nel
bosco della vita.
Lo scorgiamo vestito da
turista: ammira l’arte convinto della vita, ha un desiderio innato quello della
materia, lo ha creato ed ogni cosa vuol rendere confortevole e piegare
l’elemento a suo piacere. Convinto di possedere la vita vuol concederla anche a
chi lo ha solo pensato, così da poter mutare l’eterno scenario in spettacolo di
morte come bianco sudario.
Come il Dio un Tempo
inchiodato in cima ad un Teschio quale inutile frammento del grande Universo
venuto ad ingannare il prezioso Tempio. Noi per il vero mai dimentichiamo quel
Cristo, non abbiamo posto croci lungo il vostro cammino, lungo il difficile
sentiero su fino alla cima della grande montagna, dove se osservi
attentamente…, il suo volto si vede… Non è certo opera di un pittore di un
musico, di una scriba, il Tempo ha modellato e scolpito la sua pietra antica,
inciso il volto segnato da tante… troppe ferite.
Ogni elemento al suono
delle ore, lontano dal vostro prezioso museo,
compone la difficile preghiera: il vento modella la roccia, l’acqua
scava ogni solco del suo viso quasi fosse un eterno sorriso, il fuoco dipinge
una smorfia, e la terra, infine, gli dona un nuova corona quando il sole apre
ogni petalo delle antiche spine, dopo l’ultima neve di un lungo martirio
scoprendo il volto ancor più bello sul rogo cui l’uomo destina la prematura
fine, sacrificio e limite di questo nostro confine: un Dio e la sua opera,
l’uomo e la materia.
Ad ogni stagione vediamo contempliamo e preghiamo la segreta novella, l’orologio un inutile contorno, il campanile un obbligo nel divenire.
Io, oste di ogni
forestiero, quando dissi la mia preghiera all’alba di un mattino, perché dal
mondo ero fuggito, raccolsi una pietra mentre una parola strana, esiliata da un
libro, mi guardava e osservava, come chi cerca un amico in una fitta bufera
dello stesso mattino.
Se pur il cielo era
sereno e la nebbia pendeva fra gli alberi, sospesa come una preghiera che
aspetta, l’uomo decifrò il suo contorno per ricomporla in prosa come una eterna
poesia. Nell’invisibile ora di quel mattino, come dicevo, il cielo era sereno,
ma una bufera il lupo temeva, ecco perché al contrario di come è scritto in
ogni libro, lui seguiva silenzioso il mio cammino.
Chiedeva un po’ della mia
pazzia, lui fuggito da un libro per mostrare la forza del suo Dio, lui figlio
di un torrente, lui che parla con il vento, lui che terrorizza schiere di
agnelli ed il loro pastore per ricordare che la natura mai muore.
Loro inventarono il
Diavolo dalla forza segreta nata da un letto
di fiume e padrona del bosco, divenuta eresia di ogni elemento costretto e
rinchiuso dentro un libro letto,
signore dell’umano Creato, lui invece, falso ed inutile principio… lupo
dell’ovile.
Quel lupo, per il vero,
mi insegnò che Dio nasce ogni giorno quando il mattino mostra il suo bel
contorno, la sua parola azzanna ogni certezza, crea nel Tempo la poesia, così
io, in sua compagnia, ricompongo di nuovo… la rima. Non l’avrei fatto fossi
stato un po’ più saggio, avrei belato nell’ovile e un mio ritratto avrebbe
ornato saziato e allietato la pecunia del buon Pastore custode della materia
perché sfama ogni preghiera.
Quando l’alba si presenta con infiniti colori di una Dèa antica mostra il suo Tempo, ed ogni uomo ha la grande premura di riconoscere il segno della sua venuta. Poi ci furono altri Dèi frammenti di sagge poesie, solo per mostrare il miracolo di bellezza: padri amanti e figli di una perduta e sconosciuta ricchezza.
Il lupo fuggito mi indicò
un campo fiorito dove il sentiero è custodito, lui che vide lo spirito di chi
un giorno senza Tempo passò per quel sentiero eterno ritorno alla materia del
Creato, compose pagine di parole, e a lui, donò uno strano comandamento:
conservare e custodire la forza di ogni elemento.
Il lupo di certo mai
dimenticò quell’eretico, perché il fiuto è più acuto della vista, dono antico e
privilegio raro, riconoscere fra immense schiere di viandanti chi possiede
l’istinto Primo: spirito assorto in una valle fiorita Pensiero dell’Universo
Creato, mentre la neve e il freddo scolpiscono il profilo dell’invisibile
martirio nel desiderio di un sogno partorito. Di loro rimarrà cenere al vento,
di loro forse neppure la parola ed una eterna croce della storia, la Terra trema nella muta preghiera privata
della stagione della sua èra, chi ogni elemento adora nel silenzio taciuto
della parola braccata, fors’anche eresia, nel Libro Grande custodita senza più la Rima nominata vita.
Io, per quanto impaurito
in quella Prima ora del giorno di un’epoca mai narrata dall’inutile storia, io…
rimasi stupito, incantato, come fossi stato di nuovo creato. Come fossi nato
all’alba di una mattina e il Tempo si fosse ritirato… d’improvviso dalla mia
difficile vita.
Da allora non passò Tempo
e Materia dal miracolo antico, ed io, all’alba di quel mattino vidi nascere la
Terra così come un Dio la crea. Ogni cosa cresceva ed anche quando trascorre il
difficile cammino dell’inverno, ogni elemento vedo nascere dal freddo dal
gelo…, dal nulla apparente giacere fermo e immobile come chi dorme un sonno
tranquillo e tutto crea in quel sogno di Dio.
Ogni cosa vidi nascere come Eterno Principio. Come se l’Universo sorgesse ogni mattino, e durante il resto del giorno, Dio e i suoi Dèi composero le storie e le rime di infinite poesie, mai viste e pregate dal Secondo Dio, mutò il sogno in Diavolo braccato dell’eretica parola, perché dicono che tutto abbia creato nella Genesi divenuta miracolo nel Secondo da un profeta sempre narrato.
Sette dì per il vero
abbisognò lo strano padrone, come fosse il guardiano dell’intero bosco, per
comporre le strofe del Creato da lui narrato, poi abdicò le repliche del
difficile suo mestiere ad un uomo saputo, grasso e pasciuto taglialegna, si
scorge verso la tarda mattina e dicono anche prima della sera.
Arriva un po’ ubriaco ed
anche armato, perché va raccontando per ogni sentiero ed ogni osteria che c’è
un pazzo barbuto in compagnia di un grande lupo. Nessuno mai li ha visti, forse
perché avvolti nella nebbia, forse perché l’ululato della bestia confonde
quell’uomo armato di accetta con lo schioppo a tracolla ed il vino in mezzo
agli occhi, ogni cosa vede doppia, e la paura domina la sola certezza di
sconfiggere il Diavolo senza il dono e la forza di una preghiera antica.
Ora il fuoco tiene
stretto tra le mani, barcolla in compagnia di uno strano ghigno piantato fra i
denti: vuole sconfiggere ogni schiera e spirito che dimora invisibile nei
boschi, fors’anche un esercito nascosto in muta attesa a conferma dell’oscura e
terribile presenza non ancora abbattuta…, lui padrone del fuoco e del vento,
perché così è sempre stato detto…, spazzerà via ogni immonda eresia dal Bosco
dove una volta dimorava la Vita, così è scritto nel libro e nel versetto da un
Profeta narrato. Non è certo la Prima Rima neppure Poesia.
Vuole sconfiggere il male antico, braccare l’ululato, bruciare il Diavolo incompiuto padrone di un invisibile mondo sconosciuto. Forse quel lupo non è solo, può essere accompagnato dal male con lui cresciuto nel ventre suo, saturo e sazio di ogni immondo peccato dopo aver profanato e divorato ogni verità narrata e pregata.
Altri ancora potrebbero
dimorare nascosti, non visti, come strane parole lette in taluni libri il cui
significato appare oscuro arcano, e dentro ad una rima si potrebbe celare una
strana parola forse una bestemmia per sempre maledetta. Un’eresia…, nascosta da
una bella e nobile prosa come il più bell’albero della foresta.
Un significato strano, un
messaggio arcano, ed io, comandato dal padrone del bosco… debbo vigilare su
questo strano mistero. Se qualcosa vedo contrario al nostro comune dire,
contrario al tempo, debbo abbattere fino alla radice e poi maledire. Poi
bruciare sul rogo e disperdere le ceneri al vento.
Sono io che semino la
storia in questa difficile ora.
Sono io signore della
guerra.
Se il Sovrano e il suo
Papa mi comandano il Tempo.
Non vi è nessun miracolo
all’alba di ogni mattina, questa certezza vado pregando con la mia accetta. E
se qualche pagano officia un rito strano, nessun perdono salverà il misero e
povero suo ricordo.
L’albero dove dimora quell’anima impura debbo abbattere per il decoro della nostra misera natura. Doppio il volto che ora mi guarda scolpito nella pietra della cima, forse perché il sangue ne ho bevuto una lontana mattina, mentre inchiodavo un uomo sul legno e più lo guardavo e più ridevo, così mi era stato ordinato da chi padrone della Storia e del Tempo nel Tempio dove per il vero dimora, laggiù in quel Teschio ho così taciuto e purgato l’eretica parola… onde evitare indegna miseria dove regna la Materia per il popolo che recita… la giusta e retta preghiera.
Il martirio fu ordinato
come suo eterno principio, il miracolo del solo ed unico Dio. Quell’uomo
inchiodato è solo uno Straniero di questo (suo) Creato, ed io, perso nel folto
bosco con la morte fra le mani sono l’illusione e la certezza del Tempo, scorre
non concedendo l’onore e il privilegio della parola a quella pianta che so già
morta, a quella foglia o strana poesia che sia….
Mentre il vero miracolo
creato all’alba di una mattina ora vedo più fragoroso di prima, corre a
precipizio dall’infernale ghiacciaio, bianco sudario di tanti chiodi che il
Tempo e la ricchezza… nominarono alpinista. Tanti ne sono morti con la piccozza
fra le mani, quel maledetto li ha privati della vita.
Ma è solo una cima!
Io, per il vero, vedo il
suo volto inquieto mentre vomita un torrente di parole, fiume maledetto si è
gonfiato dopo le piogge di quella Prima Eresia. Diavolo maledetto, ogni giorno
imprigionerò e sconfiggerò…. questo Straniero. Mi impossesserò della sua forza
e dominerò ogni sua ricchezza.
Ora mi assale, il tempo
si fa grigio, il volto mi osserva cattivo e impietrito, come volesse
pronunciare una invisibile sentenza in questo mattino. Il torrente sembra un
diavolo, come un lupo inferocito, ed io vedo tutto annerito e nessun Dio a
vegliare il mio cammino.
Doppia la mia fatica ed il cielo vedo confuso, e là dove c’era un limpido azzurro, ora una grande macchia nera, il sentiero credo aver smarrito mentre si prepara bufera, e in cima ad una cresta… mi sembra vedere due strane figure: un uomo e un lupo mi guardano, un unico sorriso muto, di due che sono mi paiono… Uno.
Debbo bere e sconfiggere
questa bestemmia lungo la difficile via. Poi la nebbia li porterà via, e con
loro ogni certezza di quella vista. Torno su i miei passi, questa l’unica
salvezza a quella vita.
Corro dal prete, e,
complice un fiasco di vino, racconto la strana avventura di quell’invisibile
mattino: lui mi narra il miracolo di una santa e promette alla mia eterna fede
una preghiera a vegliare le misere sere. Promette una litania, e mi comanda di
tagliare il legno del più alto fusto del bosco, da quello debbo incidere una
Croce qual pegno di amore. Perché il Demonio ho incontrato lungo il cammino e
il racconto per sempre deve essere benedetto dell’invisibile mio martirio.
Farà incidere il mio nome
su quella grande Croce, affinché ogni viandante in questa strana… e doppia
geografia, sappia pregare la vera rima, la solo ed eterna poesia della vita.
…. Altra Eresia… giammai
sia concessa.
.... Altra Parola… giammai dimora nell’eterno
libro della storia… e il Tempo non gli conceda forza.
Questa la Grammatica
della vita.
… Ma ora scusatemi, io
sono solo un umile servo… nell’albergo di un Tempo.
…Servitore della Storia…
e muto alla Parola…
(G. Lazzari, Lo Straniero; Il taglialegna...)
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