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L’apparizione
del numero 1 dei Peabody Museum Papers segna un nuovo inizio nelle
pubblicazioni del Museum of American Archæology and Ethnology.
D’ora in
poi, afferma il prof. FW Putnam, i documenti speciali, finora pubblicati in
connessione con le relazioni annuali, saranno emessi in una forma ottavo
separata ma simile a intervalli irregolari, man mano che si ottengono i mezzi
per stamparli. Parte 1 del vol. 10 di questa nuova serie, appena ricevuta,
consiste in un interessante e ponderato saggio storico su una reliquia dell’antico
Messico dal titolo “Standard o copricapo”, della signora Zelia Nuttall,
accompagnato da tre tavole a colori.
Una
traduzione tedesca in quarto del Dr. AB Meyer è apparsa nell'ultimo volume
degli Abhandlungen und Berichte des K. Zoologischen und
Anthropologisch-Ethnographischen Museums zu Dresden. Si tratta principalmente
di un notevole pezzo di antica piuma messicana intarsiata d’oro del tempo di
Montezuma, che fu uno dei primi doni ricevuti e inoltrati da Cortes all’imperatore
Carlo V.
Successivamente fece parte della famosa collezione Ambras di armatura storica, figurante in vari cataloghi di quella collezione come un “cappello moresco”, un “grembiule indiano” e un “copricapo messicano”, ed è ora conservata nel Museo Imperiale di Storia Naturale di Vienna. Fu accuratamente restaurato dal defunto Prof. F. von Hochstetter, che ne pubblicò nel 1884 una descrizione come “stendardo” o “stendardo a forma di ventaglio”, basando questa identificazione principalmente sulla somiglianza che presentava con un “gonfalone a forma di ventaglio”.
Oggetto
raffigurato dietro il ritratto di un guerriero messicano nella collezione
“Bilimek” acquisita dal Museo nel 1878.
Nel
presente saggio Mrs. Nuttall fornisce abbondanti testimonianze che il pezzo di
piume in questione era un copricapo che in passato presentava tutti gli
attributi di colore, forma e insegne del dio della pace Huitzilopochtli, il
dio-eroe e divinità totemica dei messicani. Tale copricapo avrebbe potuto
essere indossato solo al momento della conquista di Montezuma, ‘il
rappresentante vivente del dio’, come ‘sommo pontefice e capo guerriero’.
Un
copricapo emblematico esattamente simile, sottolinea, è raffigurato sulla
cosiddetta ‘pietra sacrificale’ indossata da Jiz-oc, uno dei predecessori di
Montezuma.
Si sostiene inoltre che il dipinto del guerriero “Bilimek” debba essere considerato come un rebus e non come un ritratto. L’‘oggetto a forma di ventaglio’ è lo stemma di piume di Quetzal, caratterizzante l’alto rango del guerriero, che era anche sacerdote, ed è rappresentato come rivestito di una pelle umana.
La casa = calli,
pezzo di corda = mecatl, e frecce = tlacochtl, raffigurate in modo simile,
danno, insieme alle insegne piumate del Quetzal
quando decifrate con l’ausilio del segno complementare associato, i valori
fonetici: (1) il cognome Calmecahua; (2) il titolo Tlacochcakatl = signore
della casa delle frecce o capo supremo sia della pace come della guerra; e (3)
la designazione tribale Quetzalapanecatl, nativo di Quetzalapan, località
vicino al Messico conquistata dai messicani nel 1512.
Il
quetzal
conserva la sua bellezza anche da morto.
Così (anche se spennato come vuole l’indole dei più) lo descriveva tecnicamente l’ornitologo Ridgeway, che poté osservare solo esemplari impagliati: Le penne delle ali sono in gran parte nascoste dalle copritrici, lunghe, sfrangiate, di color verde-dorato, simili a penne d’oca, le cui estremità, oltrepassano il bordo esterno delle ali, e spiccano mirabilmente sul cremisi che si intravede fra esse. Le estremità delle nere remiganti, lasciate scoperte dalle penne copritrici contrastano col verde del dorso, ai cui lati si tengono quando sono in posizione di riposo.
Le scure
penne centrali della coda sono interamente nascoste dalle lunghe copritrici
superiori di essa, le quali sono di color verde-dorato con iridescenza azzurra
o viola con sfrangiature soffici e sciolte. Le due copritrici mediane più
lunghe superano in lunghezza l’intero corpo dell’uccello e si estendono ben
oltre della coda, che ha lunghezza normale.
Sciolte e
sottili, esse s’incrociano al di sopra della punta della coda, e quindi,
gradatamente divergendo, formano un lungo ed aggraziato strascico curvilineo,
il quale pende verticalmente quando l’uccello sta appollaiato vivacemente in
orizzontale quando esso è in volo.
Le penne caudali esterne, di color bianco puro, contrastano col ventre cremisi quando si guardi l’uccello frontalmente o dal basso verso l’alto. Completano lo splendore della livrea i riflessi azzurro-violacei del piumaggio, che ha brillantezza metallica.
Il
quetzal non
è più grande di un piccione; ma, per colore e bellezza, esso supera ogni altro
volatile. Stupefacente è la lunga coda. In sé, essa è nera e bianca, ma di
sotto si diparte a cascata una serie di penne verdi, una più lunga dell’altra. Queste
penne lunghe oltre un metro, di color verde-dorato, sono quelle che i sacerdoti
aztechi usavano per i loro fantastici copricapi, e che, per l’appunto, ornavano
il grande copricapo di Montezuma ricevuto da Hernàn Cortés.
Tutti noi
stavamo là seduti, inconsapevoli, sulle prime del costante gocciolio dell’acqua.
Era pomeriggio, ormai, e, al dire di Chon, le nubi stavano calando sulla
montanagna per ‘dormire’.
Il
quetzal
sembrava non curarsi di noi: pesantemente appollaiato sul ramo, appariva
immobile. Unico indizio di vita, il basso chioccolio da metronomo che ne faceva
sussultare il corpo, e il rapido battito della lunga coda che accompagnava ogni
verso.
Poi lo
spettacolo finì.
Una nube più grossa delle altre ci calò lentamente davanti come un sipario, oscurando la foresta. Fradici, ci alzammo per riprendere il sentiero del ritorno. Ma il sentiero adesso era un ruscello gorgogliante. Gli uccelli cessarono di cantare per andare in cerca di qualche riparo asciutto. Le farfalle volarono a rifugiarsi sotto le foglie più grandi. Gli immensi alberi diventarono ombre indistinte. Sopra lo sgocciolio, ora lieve ora scrosciante, della pioggia si levava un unico suono: il fracasso delle scimmie urlatrici.
Il 13 agosto 1521, venne distrutta nel
corso della conquista, fra le fiamme degli incendi e il fetore della morte,
‘una delle più belle città del mondo’. La vita azteca, tuttavia, non trapassò
immediatamente in una sorta di limbo culturale.
La vita in
quanto continuità biologica, proseguì.
Le
abitudini degli uomini sono difficili da cambiare: il cibo e la sua preparazione,
le attività artigiane continuarono, e, allo stesso modo, vasti e attivi
rimasero i mercati. Ma i tributi provenienti a dorso di portatore, dai villaggi
sottomessi di regioni come il Guatemala, furono ormai solo quelli richiesti dai
conquistatori. Gli uccelli che un tempo fornivano le sgargianti penne per i
costumi e gli scudi di guerra non li voleva più nessuno. Così, tra i primi
articoli a scomparire dai mercati reali furono le penne del quetzal.
Membro della famiglia dei trogonidi, questo uccello, famoso per le splendide penne caudali verde-oro misuranti un metro di lunghezza, viveva, e vive, nelle foreste pluviali centro-americane, in una regione compresa fra il Messico meridionale e, attraverso il Chiriquì, il Panamà settentrionale.
Delle 75.632 specie di uccelli classificate
dai naturalisti, il quetzal è forse la specie in
assoluto più magnifica. Questo uccello ha una lunga storia di associazione
coll’uomo delle Americhe; una storia che rimonta agli Olmechi, il popolo della gomma,
di secoli precedenti i più noti Maya. Penne
di quetzal erano scolpite come motivo di
decorazione architettonica, mentre le penne vere fungevano da simbolo di distinzione
per vari tipi di elaborati copricapi.
Gli Aztechi
lo chiamavano ‘quetzaltolotl’, ed è possibile
che esso vivesse in cattività, con altri uccelli, nelle uccelliere reali, che fornivano
ai tessitori di mosaici di piume le penne della muta. Il
quetzal era anche un articolo di tributo. L’elenco azteco dei tributi a
noi conservato riporta 371 villaggi tenuti a rendere un tributo annuo alla
capitale messicana di Tenochtitlàn, e, fra questi, molti sono quelli obbligati
a fornire una quantità enorme di penne caudali di quetzal.
Nell’antica mitologia azteca fu associato al serpente, e ne nacque Quetzalcoatl, il ‘Serpente piumato’, cioè il dio del cielo, superiore a tutte le divinità. Il mito diventò leggenda.
Col tempo,
sviluppandosi il tema, il dio del cielo fu immaginato di pelle bianca; poi si
narrò che, adirato per la condotta del suo popolo, il dio era salpato verso
oriente su una zattera, giurando che sarebbe tornato per ‘Ce Actl’ ossia,
secondo il calendario azteco, nel 1519.
Ora avvenne che Cortés arrivasse coi
suoi armati proprio alla data fissata da ‘Quetzalcoatl’
per il proprio ritorno; e così, sfruttando la serie di coincidenze (malefiche),
Cortés poté gettare una testa di ponte – cinquecento uomini contro migliaia! -,
che, col tempo, avrebbe non solo distrutto le civiltà maya e azteca, ma altresì
avviato la completa conquista dei due continenti americani. Tutto in base ad un
equivoco, che fece intendere a Montezuma (nipote del primo Montezuma, detto l’‘Irato’)
l’annunziato ritorno del ‘Sepente Piumato’.
(Victor Von Hagen, Alla ricerca del sacro Quetzal;
la foto che chiude il post tratta dall'Amazzonia agosto 2022)
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