Precedente capitoli
circa la dimora
della... (21)
Prosegue per chi suona
& ancora con...:
Francesco e i porci (23)
Oggi
più che mai è bene riscrivere questa ampia pagina di storia per sempre scomparsa
e da me documentata, giacché ora e mi confesso ancora, anch’io fui partecipe,
se pur indirettamente ed in buona fede, del male; di questo sentimento resi
partecipe con i miei scritti l’intera umanità giacché furono adoperati per fini
diversi da come il Sacro debba essere interpretato e studiato, ed il mio
intento tradurre ciò a cui assisto, ma forse non del tutto compreso, giacché
osservavo con l’occhio dello scienziato d’un occidente irrimediabilmente
malato, e se pur esperto, la dotta ignoranza ha influito con il suo costante
spirito maligno, malvagio, ed ora questo
breve foglio un ‘tomo’, affinché si possa ben interpretare come lo stesso mio
‘atto’ possa ricongiungersi in ugual medesimo Rito per tutta quella folla di
pellegrini indottrinate nelle certe finalità avverse al male.
Il
‘male’ comparve anni dopo con l’arrogante apparenza del progresso mascherato e
ugualmente uncinato, ove non ebbi tempo nel ciclo cui partecipe, di ben
intenderlo come il correttamente interpretarlo nello sventurato disegno su un
identico foglio ove non volendo anch’io scrivevo; e per espiare questo karma ed
elevare la sacralità disgiunta da ogni politica, per rendere al Sacro donde
scrivo, ‘penso e medito’ circa siffatta funzione la quale contiene, in verità e
per il vero, l’eterna ispirazione della lotta avversa al male…
Ed ogni pellegrino può ritornare a questa vita con la saggia comprensione ed ispirazione di non avervi partecipato, di non essere in nessun modo partecipe; siamo noi i demoni di questa Terra che aspirano alla cima, e di cui nella cieca salita immersa nella fitta nebbia della Storia come un Iliade non ancora Odissea, difficilmente riusciamo a scorgere demoni e dei di nuovi e falsi miti qual irreversibili climi assisi sulla vetta.
Molti
si sono succeduti e molti verranno ancora nel ciclo in cui scritta l’intera
degenerazione a cui destinato il karma della vita, ed ora riflettendo che
anch’io non volendo ne ho preso parte, debbo riscrivere di quanto fui
partecipe, comprendere e far comprendere giacché ne ho finalmente colto
l’universale senso; altrimenti l’Anima come lo Spirito non si potranno mai
liberare e volgere all’Infinita loro appartenenza ed immateriale consistenza
affine alla sacralità da me studiata, dacché proprio in questa se pur difficile
prospettiva e più certa dimensione del Viaggio al di sopra d’ogni circoscritta
dottrina, apparentemente già compiuto e
da compiersi ancora, debbo completare quanto e per sempre iniziato.
La grandezza del Sacro è riconoscerne la ‘forma’ come protratta e posta nella ristretta condizione del Tempo e della Materia, ed affiorare appena impercettibile alla superficie qual Elemento non certamente disgiunto al bene di cui la Natura formare la Terra. Fui ostile nel comprenderlo anche se mosso da sentimento di bellezza, ma saper riconoscere la via maestra, seppur come disse il Poeta talvolta smarrita, non basta una vita intera.
Questa
mia preghiera per tutti i pellegrini e con loro il Sacro rappresentato
avversare il male neppur scritto, giacché lo stesso ora assume nuova icona, e
se una uncinata figura a stella rossa e nera, si profila qual morbo passato ed
anche lui rinato, in verità quel disegno sempre scaturito dall’uomo, ieri come
oggi quantunque qual più elevato compito nell’avversato, ricomporne l’improprio
araldo su cui scritto Tempo e Materia.
Così
il male in questa èra detta, degenerata per sua Natura trionferà, ed io non
posso che meditare uguale identica preghiera per la cerimonia finalmente
compresa in tutta l’infinita eterna sacralità, funzione del bene che ad ogni
animo del pellegrino infonde giusta serenità; l’ingordigia la brama di materia,
la volontà di possedere ogni terra porteranno alla completa disfatta di ciò che
l’intera preghiera contiene e conteneva, ed il rinnovarla può far risorgere la
speranza di tutti coloro che come foglie d’autunno mi fanno riflettere lungo
questo difficile cammino, in ogni Stagione di cui l’infinita linfa della vita -
ora vedo scorgo e medito - per ogni foglia assumere profilo volto e colore del
sincero animo apparentemente morto e rinato per ogni Primavera qual oro e luce
di Vita.
Che questo mio gesto racchiuso nella volontà possa ricondurle e farle risorgere per ogni Primavera di universale pacifica speranza, e vederle di nuovo ridere giocare i gioire come l’intera felice Natura che mi circonda…
Giacché
il vero ‘male’ ora più invisibile e potente di prima, non si scorge, domina e
pervade consuma e scruta ogni elemento della Natura, ed io proprio a Lei dedico
questa mia [preghiera], perché a differenza del male principiare ogni opera
dell’uomo moderno privato del Sacro, l’immateriale di cui partecipe e con cui
mi ricongiungo al primordiale Sogno di un più probabile Dio, farà risorgere
tutte quelle Anime passate e presenti, le quali come me non ebbero modo di
scorgerne l’infausto disegno, uncinato o a forma di stella, appartenente ad un
improprio pianeta e sole in moto inverso per quanto creato, non meno del
presente universo, che sappiano pur partecipandovi ma non ben consapevoli,
scrutarne il profondo abisso che ogni nuovo mito condurrà alla finale
degenerazione detta…
Ho colto l’occasione per chiedere alcuni favori. Ho chiesto il permesso di fotografarlo. Oh, certo, potrei arrivare di nuovo con la mia macchina fotografica, così ho chiesto di essere autorizzato a vedere l’intero Tashi-lunpo e di disegnare e fotografare nella città del chiostro a mio piacere.
Sì,
assolutamente; Ho già ordinato ai Lama di mostrarti tutto.
Ed
infine ho chiesto un passaporto per i viaggi futuri nel suo paese, per un
ufficiale del Labrang e alcuni uomini affidabili come scorta. Ed anche questo
mi è stato concesso, e tutto doveva essere in ordine quando fissai il giorno della mia partenza. Tutte
queste promesse sono state mantenute nei minimi dettagli, e se la Cina non
avesse tenuto il Tibet più saldamente che mai negli artigli del drago, il Tashi Lama sarebbe stato sicuramente
abbastanza potente da aprirmi ogni porta.
I pellegrini di tutte le parti del Tibet avevano visto con i propri occhi come ero stato accolto. Avevano un rispetto illimitato per il Tashi Lama, riponevano in lui la più sincera fiducia e così ragionavano: chiunque sia questo straniero deve essere un eminente lama nel suo paese, altrimenti il Panchen Rinpoche non lo avrebbe mai trattato come suo pari. Poi questi pellegrini tornarono alle loro tende nere in province lontane e riferirono ad altri ciò che avevano visto, e quando arrivammo con la nostra piccola carovana tutti sapevano chi eravamo.
Diciotto
mesi dopo, i capi e i monaci dissero:
Bombo Chimbo, sappiamo che sei un
amico del Tashi Lama e siamo al tuo servizio.
Ci
vorrebbero enciclopedici volumi per descrivere un monastero come Tashi-lunpo in tutti i suoi dettagli, il
suo intricato conglomerato di edifici in pietra collegati tra loro da passaggi,
corridoi, scale e terrazze, o separati da stretti vicoli profondi o piccole
piazze aperte; le sue numerose sale del tempio con innumerevoli immagini; celle
dei monaci, aule, cappelle mortuarie, cucine, fabbriche, magazzini per
provviste e materiali; la sua complicata organizzazione negli affari spirituali
e temporali, le sue feste e cerimonie.
Una simile descrizione poteva essere compilata solo da un’intima conoscenza della gerarchia e della Chiesa lamaista, e questa conoscenza poteva essere raggiunta solo dallo studio ardente di un’intera vita; per coloro che penetrano profondamente nei misteri del lamaismo devono acquisire una conoscenza approfondita del buddismo e delle sue relazioni con il bramminismo e l’induismo e comprendere l’influenza che il sivaismo ha esercitato sulla religione dei tibetani e devono conoscere gli elementi dell’antica religione di Bon e il suo sciamanesimo, che hanno insinuato e corrotto la forma lamaistica del buddismo.
Tale
compito va oltre lo scopo di questo lavoro per molte ragioni, non ultimo perché
ho solo una vaga concezione degli elementi essenziali del lamaismo. Mi
accontenterò quindi di rappresentare il sistema dottrinale e filosofico dal suo
lato pittoresco, descrivendone le ordinanze esteriori che ho avuto
l’opportunità di osservare personalmente. Scriverò i nomi foneticamente, senza
tutte le dovute consonanti che rendono incomprensibile una corretta traduzione
per coloro che non hanno dedicato molto tempo allo studio della lingua
tibetana.
La Biblioteca si chiama Kanjur-lhakang, e qui la bibbia dei tibetani in 100-10 108 fogli, il Kanjur, è conservata, studiata e spiegata. Contiene una raccolta di opere canoniche che furono tradotte dagli originali sanscriti nel IX secolo. La sala è buia come una cripta sotterranea, i suoi pilastri di legno dipinti di rosso sono appesi con quadri senza cornice, dipinti con minuziosi dettagli artistici, e sulle pareti anche una miriade di divinità rappresentate con vivi colori. Nella parte superiore, una fila di altari, con immagini di divinità nelle nicchie e figure di Tashi Lamas e altri grandi sacerdoti. Prima di questi, anche le lampade al burro stanno bruciando e le ciotole lisce e brillanti sono riempite fino all’orlo di offerte. L’illuminazione è scarsa e mistica come ovunque in Tashi-lunpo, sembra che i monaci abbiano bisogno dell’oscurità per rafforzare la loro fede nell’incredibile e soprannaturale letteratura che leggono e studiano.
Questa
volta Muhamed Isa mi ha accompagnato
e il Tashi Lama mi ha accolto nella
stessa camera da tetto semiaperta della prima occasione. Era affascinante come
non mai, e di nuovo rivolse la conversazione circa i paesi lontani da questo
Tibet accuratamente isolato. Questa volta parlò principalmente di Agra,
Benares, Peshawar, Afghanistan e della strada da Herat al Passo Khyber.
Che cosa si trova ad ovest di Yarkand?
…chiese.
Il Pamir e il Turkestan.
E a ovest di quello?
Il Mar Caspio, che è navigato da
grandi piroscafi.
E ad ovest del Mar Caspio?
Il Caucaso.
E dove vai quando continui a
viaggiare verso ovest?
Nel Mar Nero, in Turchia, Russia,
Austria, Germania, Francia e poi in Inghilterra, che si stende nell’oceano.
E cosa c’è a ovest di questo oceano?
America, e oltre un altro oceano, e
poi di nuovo Giappone, Cina e Tibet.
Il mondo è immensamente grande,
…disse
pensieroso, e annuì con un sorriso amichevole.
Gli ho chiesto di venire in Svezia, dove sarei diventato la sua guida. Poi sorrise di nuovo: gli sarebbe piaciuto recarsi in Svezia e a Londra, ma alti doveri sacri lo tenevano costantemente incatenato alle mura del convento di Tashi-lunpo.
Il
21 febbraio ho trascorso quasi tutto il giorno in luoghi del monastero che non
avevo mai visto prima. Abbiamo vagato attraverso stretti corridoi tortuosi e
vicoli in profonda ombra, tra alte case di pietra bianche, in cui i monaci
hanno le loro celle. Una delle case era abitata da monaci studenti dei dintorni
di Leh, Spittok e Tikze, e noi
andammo nelle piccole celle scure, appena più grandi della mia tenda. Lungo uno
dei lati più lunghi c’era il letto, un materasso coperto di rosso, un cuscino e
una coperta di fregio. Gli altri mobili erano costituiti da alcune scatole di
libri, vestiti e articoli religiosi. Si aprirono sante scritture. Un paio di
borse contenevano sale, un piccolo
altare con idoli, vasi votivi e lampade a burro accese, e questo è tutto.
Qui è buio, fresco, umido e ammuffito, tutt’altro che piacevole; proprio come una prigione. Ma qui l’uomo che ha consacrato la sua vita alla Chiesa e si erge a un livello superiore rispetto agli altri uomini, trascorre i suoi giorni apparentemente migliori. I monaci di rango inferiore vivono due o tre in una cella.
Un
lama mi ha dato informazioni su un’usanza straordinaria. Alcuni monaci
acconsentono al proprio libero arbitrio di essere murati in grotte o caverne
buie per lo spazio di tre, sei o al massimo dodici anni. Vicino a un piccolo
monastero, Shalu-gompa, un giorno di viaggio da Tashi-lunpo, c’è un monaco che
ha già trascorso cinque anni nella sua grotta, e ne resterà altri sette. Nella
parete della grotta c’è un’apertura di una campata di diametro. Quando i dodici
anni sono finiti e l’eremita può tornare alla luce del giorno, striscia
attraverso questa apertura.
Insinuai che questa era una costrizione fisica, ma il lama rispose che il miracolo ha luogo e, inoltre, il monaco chiuso è diventato così emaciato nei dodici anni da poter facilmente passare attraverso la piccola apertura. Uno dei monaci del monastero si reca ogni giorno alla grotta con tè e acqua, ma non deve parlare al prigioniero o l’incantesimo si spezzerebbe. Solo una luce sufficiente penetra attraverso l’apertura per consentire all’anacoreta di distinguere il giorno e notte. Per leggere le sacre scritture, che ha portato con sé nella caverna, deve usare una lampada a olio e di tanto in tanto viene posta una nuova scorta di olio nell’apertura. Dice le sue preghiere per tutto il giorno e divide la notte in tre tempi, di cui due di sonno e uno di lettura. Durante i dodici anni non può lasciare neppure una volta la sua grotta, non guardare mai il sole e mai accendere un fuoco. Il suo abbigliamento non è il solito abito da monaco, ma una camicia di cotone sottile e una cintura intorno al corpo; non indossa pantaloni, copricapo o scarpe.
Tra gli altri argomenti astrusi, questo penitente deve studiare una composizione su un qualche tipo di magia, che lo rende insensibile al freddo e quasi indipendente dalle leggi di gravità. Diventa leggero e quando arriva l'ora della liberazione, viaggia a piedi alati: mentre impiegava dieci giorni per viaggiare da Tashi-lunpo a Gyangtse, ora può coprire la distanza in meno di un giorno. Subito dopo i dodici anni di prova, deve riparare a Tashi-lunpo per far esplodere un corno sul tetto, e poi ritorna a Shalu-gompa. È considerato un santo finché vive e ha il rango di un Kanpo-Lama. Non appena ha lasciato la sua grotta, un altro è pronto per entrare nell’oscurità e sottoporsi alla stessa prova. Questo lama era l’unico in questo quartiere quindi confinato in una grotta, ma ci sono eremiti in abbondanza, vivono in caverne aperte o piccole capanne di pietra e mantenute dai nomadi che vivono vicino a loro. In seguito abbiamo sentito parlare di lama fanatici che rinunciano al mondo in modo molto più rigoroso.
Ho
fatto visite giornaliere al monastero e così ho acquisito una conoscenza
approfondita della vita solitaria dei monaci. Gompa significa ‘la dimora
della solitudine’…
(G. Lazzari, Un mondo perduto)
Nessun commento:
Posta un commento