giuliano

mercoledì 15 marzo 2023

PRIMA DELLA PAROLA (28)

 










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…Sull’altopiano tibetano vivono oltre cinquecento specie di uccelli, suddivise dagli ornitologi in tre vaste regioni naturali assai diverse per altitudine, clima e vegetazione: quella settentrionale – più estesa ma povera di specie -, comprendente l’altopiano desertico del Cianthàn (tib. Byang-thang) e la regione del lago Kokonor; quella occidentale, meridionale e centro-orientale, corrispondente a un altopiano esterno che comprende il lago Nam (tib. gNam-mtsho), sulle cui rive sud-orientali si estende una riserva di uccelli acquatici e migratori; e l’acrocoro sud-orientale del Kham ( tib. Khams). Gli studi sull’avifauna tibetana sono lontani dall’essere esaurienti. Il diplomatico e tibetologo scozzese Hugh Richardson - che visse in Tibet per nove anni - riteneva probabile che altre specie di uccelli sarebbero state rinvenute nei bacini superiori dei fiumi che percorrono l’altopiano tibetano e scendono a sud attraverso la barriera himalayana.

 

Durante il suo ultimo viaggio in Tibet, nel 1950Richardson scoprì nella valle del Lhotrak (tib. lHo-brag, un distretto della provincia meridionale dell’Ho-kha, confinante con il Bhutan) un atipico tratto di bosco deciduo, rifugio di diversi uccelli da lui in precedenza avvistati soltanto sul versante meridionale dell’Himalaya.




Secondo le credenze popolari tibetane, gli uccelli sono forieri di fertilità, e Richardson osservava che il fogliame degli alberi nei boschetti che circondano Lhasa raggiunge il suo massimo sviluppo soltanto dopo l’arrivo della maggior parte degli uccelli migratori. Anche nel ‘Bya chos rin-chen ’phreng-ba’‘La preziosa ghirlanda degli insegnamenti degli uccelli’ agli uccelli indiani e tibetani viene attribuita la funzione di fecondare il suolo. A tale compito si aggiunge tuttavia quello - dichiarato e ben più importante dal punto di vista della finalità dell’operetta - di fecondarlo spiritualmente trasmettendovi l’etica buddhista; è evidente il parallelo fra la migrazione degli uccelli dall’India in Tibet e i viaggi compiuti dai maestri indiani nel Paese delle Nevi per diffondervi la dottrina buddhista con la collaborazione dei maestri e traduttori tibetani.

 

Protagonisti della ‘Preziosa ghirlanda degli insegnamenti degli uccelli’ sono il cuculo e il pappagallo, ai quali si uniscono altri uccelli indiani e tibetani.




In India il cuculo compare come uccello regale nel ‘kunala-jataka’, il cinquecento-trentaseiesimo dei racconti in pali relativi alle esistenze anteriori del Buddha cui ho già fatto riferimento. In Tibet il cuculo - spesso chiamato ‘uccello turchese’ e ‘re degli uccelli’ - è tradizionalmente considerato sovrano dei pennuti, privilegio che nella ‘Preziosa ghirlanda degli insegnamenti degli uccelli’ condivide con l’avvoltoio. L’importanza assegnata al cuculo dai tibetani ha origini remote; prima dell’occupazione cinese, sul finire di ogni primavera - quando questo uccello migra in Tibet dalle regioni meridionali del Mon - un funzionario governativo soleva recarsi proprio nella valle di Yarlùn per accendere lampade a burro e porre cibo nel cortile di una cappelletta nei pressi della più antica dimora dei re tibetani, allo scopo di accogliere degnamente il cuculo che proveniva dal versante meridionale dell’Himalaya.

 

Nella letteratura tradizionale tibetana il cuculo appare nei Rotoli dei ministri, titolo dell’ultima sezione del bKa ’-thang-sde-lnga (La quintuplice serie di rotoli), un testo redatto originariamente nell’VIIII-IX secolo quindi nascosto, poi riscoperto ed edito a cura di O-rgycln-gling-pa (1 323/29-1 360/67) verso la metà del XIV secolo. 

(Lo bue)





Per meglio comprendere divario e Natura leggiamo qualche Frammento….



Nella lingua degli dèi e nella lingua di serpenti e demoni nelle lingue di vampiri e uomini, e nei linguaggi di ogni essere vivente, per quanti siano, in tutte le lingue io la dottrina ho insegnato.

 

Dunque, un tempo, anticamente - in questa fortunata èra -, sulla cima del monte Raratna-rga, chiamato ‘Prezioso [e] Piacevole’, ai confini tra India e Tibet, luogo di meditazione del grande realizzato Saraha – montagna ove dimoravano inoltre molti di coloro che si realizzano segretamente - appariva un bianchissimo splendore.

 

Là leoni e leonesse sedevano con aria altera ed esibivano criniere turchesi. Sui fianchi del monte - perfetti nella loro vastità a levante e a mezzogiorno – dimoravano uccelli di buon augurio, capeggiati dal gallo cedrone, e animali selvatici, quali cervi, baral e gazzelle, che saltavano per divertimento con animo tranquillo.

 

Mezzogiorno, ponente e settentrione erano abbelliti da foreste di alberi di sandalo e di numerose altre specie, come l’agalloco, il mirabolano chebulo, il mirabolano bellerico, il mirabolano emblico, il noce e la betulla. Belle erano nella loro eleganza le turchesi di rupi magnifiche ai quattro angoli di questo monte. lvi uccelli regali, come l'avvoltoio, re degli uccelli, e garuda, dimoravano esibendo la destrezza delle loro ali.

 

Su ogni lato della base del monte c’era abbondanza d’acqua: laghi e laghetti, polle sorgive, prati, sorgenti zampillanti dalla roccia, acque di ghiacciaio e freschi torrenti; qui il prezioso monte era adorno di vari uccelli acquatici, oche selvatiche, dam-bya e gracchi corallini, e sulle cime degli alberi era adorno di diversi uccelli dei boschi, pavoni, pappagalli parlanti, tordi e corvi.

 

Il nobile Avalokitesvara, allo scopo di insegnare la dottrina agli alati uccelli, si trasformò nel grande cuculo, re degli uccelli. Quindi rimase immobile in concentrazione giorno e notte per vari anni nel folto di un grande albero di sandalo. A un certo momento il dotto pappagallo giunse al cospetto del grande uccello e gli rivolse queste parole:

 

“Oh, grande uccello prezioso, perché da ormai un anno a questa parte, nella fresca ombra di un albero di sandalo, il [tuo] corpo siede accovacciato immobile, la parola non proferisce verbo, alla maniera di un muto, [e] il comportamento [è quello] di chi ha la mente corrucciata?

 

Mentre, grande uccello, emergi dalla tua contemplazione, ti prego di accettare i frutti che sono l'essenza dei semi!”

 

Così parlò.

 

Allora il grande uccello gli rispose con queste parole:

 

“Ahimè, ascolta! Oh pappagallo, esperto nel parlare, dacché io ho scrutato questo oceano del ciclo dell’esistenza, non ho trovato nulla che avesse una sostanza. Ho visto che la fine di questo corpo, che è nato, è di morire: a togliere la vita per [procurarsi] cibo e abiti ci si avvilisce.

 

Quanto ai castelli, ho visto che la fine di ciò che è stato costruito è di crollare: a innalzare terra e pietre con le mani ci si avvilisce. La fine delle ricchezze accumulate è di essere portate via dal nemico: a celare quanto l’avarizia ha accumulato ci si avvilisce.

 

La fine di parenti e amici uniti è di separarsi: ad affezionarsi ci si avvilisce.

 

Il destino dei figli che si sono cresciuti è di diventare nemici: a prendersi cura dei nati dal [proprio] corpo facendosene carico ci si avvilisce.

 

Parenti uniti e amici cari, figli cresciuti e ricchezze accumulate, sono tutti impermanenti, simili a illusioni. Poiché non c’è nulla che abbia una qualsiasi sostanza, ho rinunciato a ogni attività; poi, per realizzare lo scopo ultimo, nella fresca ombra di un albero di sandalo io son rimasto da solo, silenzioso:  senza distrarmi ho meditato in concentrazione.

 

A tutti quelli portati dalle ali, ai grandi uccelli, questo mio discorso tu riferirai!”

 

Così parlò.

 

Allora il pappagallo, esperto nel parlare, modulò un segnale a tutti gli uccelli e uccellini.

 

Tutti gli uccelli, gli uccelli indiani - guidati dal pavone -, gli uccelli tibetani - guidati dall'avvoltoio -, gli uccelli acquatici - guidati dall'oca -, gli uccelli dei boschi - guidati dal pappagallo -, gli uccelli di buon augurio – guidati dal gallo cedrone -, gli uccelli domestici – guidati dal gallo dal petto rosso -, e così via, si adunarono.

 

Poi vennero insieme alla presenza del grande uccello per chiederne gli insegnamenti. Quindi gli uccelli indiani, capeggiati dal pavone, sedettero in fila a destra; gli uccelli tibetani, capeggiati dall’avvoltoio, sedettero in fila a sinistra. Allora quel pappagallo, esperto nel parlare, si fece avanti in mezzo alle file e si prosternò tre volte gettandosi completamente a terra.

 

Poi rivolse questa richiesta:

 

“Oh, grande uccello prezioso, tu, tediato e disgustato del ciclo dell'esistenza! Ti preghiamo di pensare un poco a noi: noi, esseri oscurati dall’ignoranza, poiché [i frutti delle] azioni malvagie accumulate in passato sono maturati, siamo attaccati a questa sofferenza e la desideriamo. Chiedo la santa dottrina che libera dalla sofferenza. Chiedo la lampada che rimuove l’ignoranza. Chiedo gli insegnamenti della medicina che rimuove i tormenti emotivi. Per l’adunanza di uccelli qui riuniti in assemblea, pensando a quella, la santa dottrina chiedo”.

 

Così implorò.

 

Il grande uccello sbatté le ali tre volte.

 

Poi fece questo discorso:

 

“Cucù!

Uccelli qui riuniti, ascoltate senza distrarvi, cù!

Io farò in tre parole un discorso franco, cù!

Riflettete seriamente su impermanenza e morte, cù!

Non commettete alcuna azione nociva, cù!

Producete buoni pensieri virtuosi, cù!

Nella vita presente e futura la [triplice] Gemma è il rifugio, cù!

La sua venerazione è la radice delle benedizioni, cù!

Supplicatela ininterrottamente, cù!

La felicità di questa vita è un sogno, cù!

Lasciate perdere ogni attaccamento a qualunque cosa, cu!

Quanto alle azioni, mettete zelo [nel] compierle, cù!

Con ciò si realizzerà una felicità duratura, cù!

Gli elementi prodotti sono del tutto relativi, cù!

Ponete la vostra mente in uno stato di non azione, cù!

L'intento del Vittorioso è proprio questo, cù!

Per sette giorni meditate su tali precetti, cù!

Poi venite al mio cospetto, cù!”

 

Così parlò!

 

(Bya chos rin-chen  ’phreng-ba zhes bya-ba

bzhugs-so)


[Prosegue con il capitolo completo]







 

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