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Giochi di specchi (4/5)
Per
due anni e passa sfuggì alla cattura, aggirandosi ai margini dei pensieri della
gente come un cauchemar, e quando il mistral soffiava radente sui tetti e
ululava nei camini, dicevano che era lui che agitava gli spiriti della foresta.
Se spariva una gallina davano la colpa all’enfant, nonostante nessuno l’avesse
mai visto consumare carne o potesse dire che sapeva cos’era; se pioveva troppo
o troppo poco o se il grano era infestato dalle ruggini o le viti dagli afidi,
le persone si segnavano e maledicevano il suo nome.
Non
era un bambino. Era uno spirito, un demone reietto come gli angeli ribelli,
muto, allucinato e folle.
I
contadini raccontavano di averlo visto fare capriole nei prati illuminati dalla
luna, nuotare come un ratto nei fiumi, crogiolarsi al sole d’estate e correre
tra le chiazze di neve che ricoprivano le colline d'inverno, incurante del
freddo.
Lo
chiamavano il Nudo. L’Animal o semplicemente il Selvaggio.
Intanto,
lui frugava, scavava e seguiva il suo fiuto.
Essenzialmente, doveva solo sfamarsi e se razziava i campi come una qualsiasi altra creatura della foresta, correva i loro stessi rischi, finire in una trappola o farsi sparare addosso o bloccarsi spaventato dall’improvviso agitarsi di stracci di uno spaventapasseri. Comunque sia, la sua dieta non era certo adeguata, come si può immaginare, essendo costituita quasi interamente da vegetali, e in inverno pativa come gli uccelli. Però sopravviveva. E cresceva.
Bazzicando
fra le aie, le concimaie e i fienili, si fece più audace, più rapido, più forte
e i contadini cominciarono ad aizzargli contro i cani, ma lui era più furbo di
qualsiasi cane e troppo scaltro per mettersi nei guai. Aveva forse capito che
la gente era la sua tribù, così come istintivamente un orso si unisce agli altri
orsi invece che alle volpi, ai lupi o alle capre?
Sapeva
di appartenere al genere umano?
Doveva
saperlo.
Non conosceva le parole per formulare la frase, né aveva modo di pensare al di là del momento presente, ma crescendo divenne sempre meno una creatura della foresta e sempre più dei pascoli, degli orti, del limitare indistinto dove gli alberi e il maquis lasciavano il posto alle coltivazioni.
Poi arrivò l’inverno del…, che fu
particolarmente rigido. A quell’epoca, diffidando della foresta di La Bassine e
sempre vagando alla ricerca di nuove fungaie, uva selvatica o bacche e delle
larve che estraeva dai tronchi marcescenti degli alberi, si era spostato verso
la cima dei monti, dall'altra parte della piana fra Lacaune e Roquecézière, per
poi ridiscendere nuovamente lungo il letto del Lavergne fino ad arrivare nei
pressi del villaggio di Saint-Sernin. Erano i primi di marzo, forse aprile, e
il freddo ancora stringeva ogni cosa nella sua morsa. Quando scese la notte, si
fece una tana con i rami di pino, e dormì un sonno interrotto dai brividi e
dalla fame che gli artigliava lo stomaco.
Alle
prime luci del giorno si alzò e prese ad aggirarsi qua e là fra le zolle di
qualche campo spoglio in cerca di qualsiasi cosa da mettere sotto i denti,
tuberi, cipolle, stoppie e rimasugli di raccolti ormai vecchi, quando il suo
sguardo fu attratto da qualcosa che si muoveva leggero nell’aria: del fumo, che
si alzava sopra gli alberi dall'altra parte del campo. Era accovacciato a
quattro zampe a scavare.
Il terreno era bagnato. Un corvo lo irrideva dagli alberi. Senza pensarci, senza sapere quello che stava facendo e perché, si alzò e trotterellò verso il fumo e la casetta da cui proveniva.
Lì
viveva il tintore del villaggio, François Vidal, che era appena uscito dal
letto e stava accendendo il fuoco per scaldare l’ambiente e prepararsi del
porridge per colazione. Non aveva figli, era vedovo e viveva solo. Appese a
seccare alle travi dell’unica stanza le erbe, i fiori e le piante di palude che
impiegava per le sue preparazioni; era l’unico in tutta la regione capace di
produrre un bon teint di porpora in
lana d’agnello, utilizzando una sua tintura e un suo mordente, ed era per forza
di cose estremamente riservato.
I
suoi concorrenti volevano carpirgli i segreti?
Certo
che lo volevano.
Lo
spiavano?
Non poteva affermarlo con certezza, ma ne sarebbero stati capacissimi. Comunque, uscì in cortile verso il rozzo capanno in cui teneva la vacca, per darle da mangiare e mungerla, con l’idea di usare la panna per il suo porridge. Fu allora che vide qualcosa, l’ombra scura di un animale, muoversi in posizione eretta contro la terra bruna e lo sfondo degli alberi spogli.
Non
era prevenuto. Non erano arrivate fino a lui le voci da Lacaune o dal villaggio
vicino. E quando i suoi occhi misero a fuoco l’immagine e il cervello la
registrò, vide che non si trattava di un animale, ma di un bambino, un
fanciullo, sporco, nudo ed esposto alle intemperie e bisognoso.
Tese
la mano.
Quindi
seguì una prova di volontà. Visto che il fanciullo non reagiva, Vidal gli
mostrò le mani, a palmo in su, per far vedere che era disarmato, parlandogli
con voce bassa e suadente, ma il fanciullo sembrava non comprendere o non
sentire. Da piccolo, Vidal aveva una sorellastra sorda, e in famiglia avevano
elaborato un loro sistema di segni per comunicare con lei, che il resto del
villaggio bollava come un mostro; in piedi al freddo, guardando il bambino
nudo, quei segni cominciarono a tornargli alla mente. Se come sembrava il
fanciullo era sordomuto, magari ai segni avrebbe risposto. Le mani del tintore,
che mostravano le macchie del suo lavoro, si mossero in rapidi gesti eleganti,
ma senza nessun risultato. Il fanciullo rimase impalato, gli occhi che
passavano dal volto del tintore alla casa, la baracca, il fumo che si
appiattiva e saliva nel cielo.
Alla fine, temendo di farlo fuggire, Vidal indietreggiò lentamente verso la casa, indicando la porta con un gesto accogliente, poi vi entrò lasciando la porta spalancata a mo’ di invito.
Finalmente,
mentre il tintore era chino sul focolare e la vacca (Rousa) che non era stata
munta, muggiva con un verso che pareva un segnale intermittente e lontano di un
evento meteorologico sui colli, il fanciullo si avvicinò alla porta aperta e
Vidal riuscì a vederlo bene.
Di
chi era quel bambino, si chiese, che se ne andava in giro così come un animale,
la sporcizia dei boschi incrostata in ogni poro della pelle, i capelli un
groviglio di ramoscelli, lappole e foglie secche, le ginocchia e le piante dei
piedi ricoperte di calli?
Chi
era?
Era
stato abbandonato?
Poi vide la cicatrice sulla gola del bambino e capì. Gli indicò il fuoco, la pentola annerita e il porridge di grano che vi si rapprendeva dentro, e intanto pensava alla sorella morta.
Circospetto,
un passo esitante dopo l'altro, il bambino si avvicinò al fuoco. E con
altrettanta circospezione, temendo che un movimento improvviso lo facesse
fuggire dalla porta e tornare fuori nei campi, Vidal aggiunse legna nel camino
finché le fiamme si levarono alte e dovette togliere la pentola, che mise a
raffreddare sulla piastra davanti. La porta era sempre aperta. La vacca
muggiva. Esprimendosi a gesti, il tintore offrì al ragazzo una ciotola di
porridge, profumato e fumante, pensando, una volta conquistata la sua fiducia,
di andare a prendere il latte e chiudere la porta. Ma il fanciullo non
dimostrava alcun interesse per il cibo. Si muoveva in continuazione, oscillando
avanti e indietro sui talloni, gli occhi fissi sul fuoco. A Vidal venne in
mente che forse non sapeva cosa fosse il porridge, non conosceva ciotole e
cucchiai né la loro funzione. Così gli fece dei gesti, mimando l’atto di
mangiare come un genitore con un bebé, portandosi il cucchiaio alla bocca e
assaggiando il porridge, masticando ostentatamente e deglutendo e addirittura
passandosi una mano sulla pancia con un sorriso soddisfatto.
Il fanciullo rimase immobile. Se ne stava lì, a dondolarsi, affascinato dal fuoco, e così sarebbero rimasti per tutto il giorno se improvvisamente il vecchio non avesse avuto un’ispirazione. Magari c’erano cibi più semplici e meno elaborati, pensò, cibi della foresta e dei campi, che il bambino avrebbe accettato senza timori, bacche e cose simili. Si guardò attorno: non aveva bacche. Non era la stagione.
In
un cesto addossato alla parete di fondo c’era però qualche patata che aveva
portato su dalla cantina pensando di friggerle nel lardo per cena.
Con
molta cautela, muovendo il corpo e le mani in modo da non allarmarlo, si alzò
in piedi e lentamente, così lentamente da sembrare lui stesso un bambino che
giocava alle belle statuine, attraversò la stanza verso il cesto. Sollevò il
coperchio di vimini, e continuando la sua pantomima, alzò il cesto mostrandone
il contenuto.
Era quello che ci voleva. Il bambino si avvicinò immediatamente, a pochi centimetri di distanza, emanando un odore di selvatico, come di muschio, e rovistò con le mani sul fondo del cesto fino a raccogliere fra le braccia tutte le patate, una dozzina o forse più, che poi buttò tra le fiamme tutte insieme.
Il
volto era animato, gli occhi vivaci. Dalle labbra gli sfuggivano brevi
gridolini soffocati, incomprensibili.
Nel
giro di pochi secondi, il tempo che Vidal ci mise per andare alla porta e
chiuderla, il fanciullo aveva allungato una mano fra le braci per prendere una
delle patate ancora crude, scottandosi le dita. Iniziò ad addentarla all’istante,
come se non avesse idea di cosa fosse la cottura. Appena ebbe finito, si sporse
e ne prese un’altra e poi un’altra ancora, ripetendo la stessa sequenza di
gesti, solo che ora le patate erano annerite fuori ma dure all’interno e le sue
dita visibilmente ustionate.
Sgomento, Vidal provò a insegnargli a usare le molle, ma il fanciullo lo ignorò, anzi, peggio, il suo sguardo lo trapassava come se neanche esistesse. Il tintore gli offrì formaggio, pane, vino, ma lui non mostrava il minimo interesse, e solo quando gli venne in mente di versargli una ciotola d’acqua dalla caraffa che si trovava sul tavolo il bambino reagì. In un primo momento cercò di lappare l’acqua direttamente dalla ciotola, ma poi capì, se la portò alle labbra e la scolò fino all’ultima goccia; ne voleva ancora e Vidal, affascinato né più né meno che se una volpe si fosse alzata su due zampe e fosse andata a sedersi al tavolo con lui, continuò a versargliene finché non ne ebbe abbastanza. Dopo di che, nudo e sudicio, il ragazzo raccolse gambe e braccia al petto e cadde in un sonno profondo sulle pietre vicino al camino.
Per
un bel pezzo, il tintore rimase semplicemente seduto lì, a contemplare quell’apparizione
piombata nella sua vita. Di tanto in tanto si alzava ad alimentare il fuoco o
per accendere la pipa, ma non mise mano a nessun lavoro, quel giorno. Pensava
alla sorellastra, Marie-Thérese, una bambina minuscola con un volto
incredibilmente espressivo; riusciva a dire più lei con il volto di quello che
molte persone sanno fare con la lingua. Era nata dal primo matrimonio del padre
con una donna che, dopo il parto di quell’unica figlia imperfetta, era morta di
febbre puerperale e la madre di Vidal non l’aveva mai accettata. Era sempre l’ultima
a ricevere il cibo e la prima a beccarsi uno schiaffo o uno scappellotto quando
c’era qualcosa che non andava, e così cominciò ad allontanarsi per conto suo,
senza gli altri fratelli, finché una sera non tornò a casa.
Lui aveva otto o nove anni, quindi lei doveva averne più o meno dodici. Trovarono il suo corpo in fondo a un burrone. La gente diceva che doveva essersi smarrita nel buio ed essere caduta, ma lui già allora, da bambino, non ci credette.
In
quel momento Rousa muggì e lui sobbalzò.
Ma
dove aveva la testa per lasciarla con le mammelle che scoppiavano? Si alzò alla
svelta, si infilò la giacca e andò da lei. Quando tornò, il bambino era
addossato contro la parete opposta, accovacciato e impaurito, e lo guardava
come se non si fossero mai visti. Era tutto sottosopra, il tavolo rovesciato, i
candelieri per terra, le piante, che aveva raccolto e messo accuratamente da
parte, strappate dalle travi dove le aveva appese e sparpagliate qua e là.
Cercò di calmare il fanciullo, parlandogli con le mani, ma non ci fu verso, a
ogni suo movimento ne corrispondeva uno del bambino che, la schiena schiacciata
contro il muro, manteneva la distanza fra loro, bilanciandosi sui piedi, pronto
a lanciarsi verso la porta se solo avesse saputo che cos’era una porta. E le
mascelle, le mascelle sembrava che stessero masticando qualcosa. Che cos’era?
Cos’è che stava mangiando, un’altra patata? In quel momento il tintore vide la
coda nuda di quella cosa che pendeva come un filo di bava dall’angolo della
bocca del fanciullo, e i denti gialli che spolpavano quella pallotta di pelo
grigiastro.
Se fino a quel momento aveva provato compassione, vicinanza e pietà, adesso il tintore provava solo disgusto. Era un vecchio, cinquantaquattro anni che era al mondo, e Marie-Thérese era morta da quasi mezzo secolo. Quelli non erano affari suoi.
Neanche
un po’. Guardingo, circospetto, tutti i sensi all’erta come se si trovasse
chiuso in gabbia con una belva famelica, indietreggiò verso la porta, sgattaiolò
fuori e se la chiuse alle spalle.
Più tardi nel pomeriggio, mentre una pioggia fredda si abbatteva sulle strade di Saint-Sernin scrosciando sui campi, il bambino selvaggio venne consegnato alla scienza, e tramite la scienza alla celebrità.
Dopo
aver fatto rotolare uno dei grossi calderoni di ferro che usava per le tinture
contro la porta in modo da bloccarla, Vidal era andato dritto da Jean-Jacques
Constans-Saint-Estève, il commissario di governo di Saint-Sernin, per fare la
denuncia e affidargli la responsabilità della creatura rinchiusa a casa sua. Al
commissario, un uomo che viaggiava in lungo e in largo per il distretto, erano
giunte voci provenienti da Lacaune e dintorni ed era ansioso di vedere il
fenomeno con i suoi occhi.
Ecco l’occasione, pensava (ammesso che quella creatura non fosse solo una frottola per bambini o una scimmia africana fuggita da qualche serraglio privato) di mettere alla prova la teoria del Buon Selvaggio di Rousseau. Quali idee innate aveva? Conosceva Dio e la Creazione? Qual era la sua lingua, la lingua che tutti gli uomini avevano portato con sé dall’Eden? O erano i versi degli uccelli e degli animali? Non stava più nella pelle. Il cielo si andava facendo scuro e non aveva cenato, ma cos’era la cena in confronto a ciò che significava quell’opportunità?
Prese
Vidal per un braccio.
Portami da lui gli disse.
Quando
il commissario, conclusa l’udienza con Vidal, corse fuori con lui sotto la
pioggia per guardare quel prodigio con i suoi occhi, rimase sorpreso nel vedere
la gente per strada, tutti diretti dove stava andando lui.
È vero, cittadino commissario?
chiedevano
le persone.
Hanno catturato il bambino selvaggio?
Ho sentito,
…disse
qualcun altro, e ormai era una folla, uomini, donne e bambini che arrancavano
sotto la pioggia verso la casa di Vidal,
che ha sei dita per mano...
E per piede
…gli
fece eco un altro.
E che ha gli artigli come un gatto per arrampicarsi sui muri.
È in grado di fare salti di cinquanta
metri.
Sangue,
si ciba di sangue che succhia dalle pecore a mezzanotte.
Sciocchezze, sciocchezze,
…disse una delle donne del villaggio,
Catherine Thibodeaux, sbucata alle sue spalle, il capo coperto per il
temporale,
è soltanto un bambino abbandonato.
Dov’è il curato?
Andate a chiamare il curato.
(T. C. Boyle)
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