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l'11 OTTOBRE 1875 (31)
L’avidità
della natura umana per il guadagno e la prosperità materiale è così grande che
siamo soliti stimare il valore di tutte le imprese secondo il criterio dell’utilità;
e troppo spesso si dimentica che ogni generazione è destinata a svolgere il
compito di acquisire e raccogliere la conoscenza di cui potrà beneficiare solo
la generazione successiva.
Se,
quindi, la questione polare è priva di valore per i nostri interessi materiali,
è quindi priva di valore per la scienza?
E,
posto che per il momento esso sia privo di valore in termini di guadagno e di
ricchezza, deve continuare così per sempre?
Non che abbiamo il diritto, anche da questo punto di vista più ristretto, di negare l’utilità dell’esplorazione polare, come sembra aver fatto Cook quando disse:
Mai da quelle regioni deriverà alcun
vantaggio per la nostra razza,
…ma
teniamo piuttosto presente ciò che ci dice Sir
James Ross:
Il profitto maturato in Inghilterra,
ogni anno dopo il viaggio (1818) di
mio zio (Sir John Ross) nella baia di North Baffin, fu più che sufficiente a coprire tutte le
spese del viaggi di scoperta intrapresi dal
1818 al 1838.
Scoresby con la sua
sola nave guadagnò un milione di talleri catturando balene, e gli americani
ebbero per molti anni un profitto netto di otto milioni di dollari dalla pesca
nei mari ghiacciati dello stretto di Behring.
Ci
furono anche, è vero, perdite molto considerevoli, poiché, nel 1830, diciannove navi inglesi impegnate nella pesca delle
balene furono ‘assediate’ nel ghiaccio della baia di Melville e quasi tutte distrutte; nel 1871, ventisei navi americane furono fatte a pezzi nello
stretto di Behring, e ben settantatré in ogni anno successivo al viaggio (1818) di Sir John Ross.
Non intendiamo tuttavia affermare che il progresso delle scoperte polari sia sempre seguito da un corrispondente aumento delle catture di pesci nei mari artici. Al contrario, la cattura di animali d’acqua o di terra diminuisce costantemente, e anche se si scoprisse un mare aperto a 82° NL, in cui le balene dovrebbero essere individuate in grande abbondanza, come purtroppo lo sono i banchi di ghiaccio, la baleniera con il suo un equipaggiamento scadente non sarebbe mai stata in grado di seguirle fin lì.
I
paesi delle pellicce, un tempo produttivi quanto le miniere del Perù, non sono
in grado di espandersi ulteriormente; anche i tesori delle zanne dei mammut
sono diventati rari, e per portare trenta tonnellate di lignite dal nord-est
della Groenlandia una nave deve spendere settanta tonnellate di carbone solido
nel transito, oltre a passarvi l’inverno.
Che
i tè della Cina, le sete del Giappone, che le spezie delle Molucche non
scenderanno mai fino a noi dai campi di ghiaccio è cosa nota da tempo. Nessuno
oggi pensa più al valore commerciale dei passaggi Nord-Ovest e Nord-Est. I modi
di sfuggire ai pericoli e ai capricci del ghiaccio sono nati dallo sforzo di
scoprire vie di commercio, che erano fuori dalla portata dei cannoni degli
spagnoli al tempo in cui aspiravano al monopolio del commercio mondiale.
La ricompensa di 25.000 fiorini, offerta dal governo olandese per la scoperta di un passaggio a Nord-Est, e quella di 20.000 sterline dal Parlamento inglese per il passaggio a Nord-Ovest, non sono mai state pagate, perché mai reclamate, né vengono, in misura minima, probabilmente mai rivendicate.
Nessuno
oggi pensa più al valore commerciale dei passaggi Nord-Ovest e Nord-Est.
Tuttavia,
indipendentemente dai risultati materiali, l’esplorazione polare non presenta
alcun oggetto indegno per l’indagine scientifica:
una regione del globo di 120.000
miglia quadrate di estensione mai esplorata dall’uomo.
La questione polare, in quanto problema di scienza, mira a determinare i limiti della terra e dell’acqua, a perfezionare quella rete di linee con cui la scienza comparata cerca di circondare il nostro pianeta, fino ai poli. Il compimento di questo lavoro servirà a scoprire quelle leggi fisiche che regolano i climi, le correnti dell’atmosfera e mare e le analogie della geologia con la terra come la vediamo.
Ma
come raggiungere questo obiettivo?
Dapprima
sembrerebbe che i metodi di navigazione sui ghiacci avessero avuto un tale
successo, che la loro continua applicazione garantisse risultati ancora
maggiori. Il graduale avanzamento per mezzo delle navi, dal Circolo Polare al
73°, 75°, 79° o anche all’82° NL, è stato il risultato ed è la ricompensa di
fatiche di tre secoli. Ma raggiungere gradi più alti, da 82° a 90°, dipende da
condizioni diverse dal semplice tempo.
Che
una maggiore esperienza e audacia abbiano eliminato molti degli inconvenienti e
dei pericoli associati alla navigazione nell’Artico è indubbiamente vero, ma è
altrettanto vero che, nel complesso, la sicurezza e la comodità della
navigazione sui ghiacci sono aumentate più costantemente dei suoi successi.
Hudson, Baffin e soprattutto Scoresby, e anche alcuni balenieri del XVII secolo, raggiunsero latitudini che da allora non sono più state superate, e in molti casi questo progresso fu dovuto non a una maggiore audacia ed esperienza, ma piuttosto al caso e ai capricci dell’uomo.
Il
ghiaccio, che “alla baleniera spesso permetteva sguardi al suo interno, che
erano negati all’esploratore scientifico”.
La
maggiore perfezione dei nostri mezzi ci permette di condurre spedizioni polari
con maggiore facilità. Invece di dissipare le nostre forze inviando numerose
navi, anche piccole flotte, che a volte ammontano a quindici navi (spesso non
più grandi delle barche di una moderna nave polare), fin dai tempi di Sir John Ross, equipaggiamo solo una o
due navi, saldamente costruite per lo scopo speciale a cui un più nobile
principio e giammai la fine d’ogni forma vita conosciuta e/o sconosciuta: dotate
di energia a vapore e di tutto ciò che è necessario; e invece di inviarle per
brevi crociere estive, le riforniamo, le mandiamo in mare per diversi anni e,
con un’alimentazione adeguata e l’aiuto della scienza medica, proteggiamo gli
equipaggi dal flagello dello scorbuto.
A quei tempi, quando anche i ricchi vivevano durante l’inverno mangiando carne salata, e gli scudieri inglesi erano obbligati all’inizio dell’inverno, a causa della scarsità di cibo per il bestiame, uccidere e salare una parte della sua mandria, viveri conservati e antiscorbutici erano impossibili per un Hudson, un James, un Fox, nei loro inverni tra i ghiacci. Quelli introdotti da Ross - allora chiamati ‘carne di asino’ - sono stati notevolmente migliorati da allora, e attraverso di essi lo scorbuto, che portava via interi equipaggi di navi, ha perso i suoi antichi terrori.
Il
tenente Weyprecht, dopo essersi
soffermato sulla predominanza dell’esplorazione nelle spedizioni polari,
esprime il desiderio che le grandi nazioni civilizzate si uniscano nelle
contemporanee spedizioni artiche per scopi magnetici, indagini elettriche e
meteorologiche:
Per ottenere risultati scientifici decisivi, un certo numero di spedizioni dovrebbero essere inviate in diversi luoghi delle regioni artiche per effettuare osservazioni, allo stesso tempo, con strumenti simili e secondo istruzioni simili.
Coloro che ritengono questi risultati troppo insignificanti rispetto alle energie e ai sacrifici che vengono spesi per ottenerli, e che preferirebbero che tali sforzi fossero trasferiti, oltre che nei più che calcolati benefici economici, altresì estesi anche a quelle regioni ancora sconosciute della terra, le quali potrebbero divenire nuove dimore dell’uomo; e che ovviamente, ne pongono ogni veto, lecito e/o illecito, contro l’ulteriore proponimento di suddetto scopo a vantaggio della Conoscenza; a tutti loro ‘enunciamo’ quindi ‘motiviamo’ un più elevato principio morale ed etico, sancito da un Ideale comune in nome dell’intero Ecosistema; del quale la questione artica ne presenta un indubbio traguardo scientifico posto tra ‘presente passato e futuro’ della medesima Terra da ognuno abitata, e ovviamente la Natura che l’ha forgiata con ogni forma di Vita; quindi il proprio o improprio predominio adottato da ogni Stato civilizzato che solca medesimi Mari Oceani e estremi limiti della ugual medesima Esistenza!
PRIME OSSERVAZIONI
Le
osservazioni meteorologiche della spedizione e la rotta del Tegetthoff sono
state abilmente analizzate dal Vice Ammiraglio Barone von Wüllersdorf-Urbair nelle Mittheilungen dell’Accademia
Imperiale delle Scienze di Vienna, e mentre rimando il lettore curioso a questi
rapporti per una discussione più approfondita delle stesse, allego i paragrafi
più importanti del il rapporto dell’Ammiraglio sulla rotta del Tegetthoff:
In
circostanze normali una nave va alla deriva trascinata dalla banchisa; è
imprigionata e obbedisce necessariamente alla forza del vento e delle correnti
marine. Il suo andamento corrisponde quindi all’effetto combinato di queste
forze. Ma poiché la Tegetthoff non si trovava in mare libero, ma veniva spinta
per la maggior parte del tempo in mezzo alla banchisa, la nave non solo
obbediva al movimento generale del ghiaccio, che dipendeva dalla direzione del
mare, dei venti, e dalle correnti marine, ma fu influenzata anche dalla
vicinanza alle coste e dal maggiore o minore accumulo di ghiaccio.
In
quanto la Tegetthoff con il suo scafo e i suoi alberi presentava una maggiore
superficie al vento, il lastrone su cui era imprigionata avrebbe
necessariamente ricevuto un eccesso di movimento nella direzione del vento. Se
questo eccesso formasse un angolo con la direzione del movimento del ghiaccio,
il lastrone della nave devierebbe dalla parte della minore resistenza e
andrebbe alla deriva secondo la risultante tra vento e resistenza. Potrebbe
quindi darsi che la rotta della nave deviasse dal vento, anche in direzione
opposta ad esso. Ma queste anomalie non erano certo grandi, e non potevano
essere ben valutate, perché le deviazioni che così si verificavano dipendevano
dalla direzione del vento, dalla densità e dalla massa del ghiaccio, da cause
infatti, che non potevano essere manifestate alla luce del sole. relazioni
numeriche.
Se confrontiamo le dichiarazioni riportate nel Meteorological Journal, per quanto riguarda la deriva e la pressione del ghiaccio, si è visto che il massimo di entrambi si è verificato in quelle parti del mare in cui la nave si trovava nell’azione del ghiaccio proveniente dal Mar di Kara, e che il massimo lì si sono verificate deviazioni nella rotta della nave.
Per
quanto riguarda un’altra deviazione anomala della rotta della nave, non si può
dubitare che essa dipenda dalla vicinanza della Terra di Francesco Giuseppe,
verso la quale le masse di ghiaccio si spostavano sotto l’azione dei continui
venti di sud-ovest; e furono nuovamente respinti, formando così un cerchio nel
loro movimento. Sembrerebbe naturale supporre l’esistenza di una corrente
marina per spiegare questa particolarità; ma la configurazione di quella terra
e delle sue coste, o la maggiore o minore quantità di ghiaccio immobile, o,
infine, i venti dominanti in quelle regioni, possono aver influenzato la
direzione del movimento del ghiaccio, e di conseguenza la rotta della nave.
Se
consideriamo la prevalenza dei venti, come fornita dalle osservazioni di
Weyprecht per più di due anni, troviamo venti di sud-ovest prevalenti nella
parte meridionale dei mari navigati, e venti di nord-est nella parte
settentrionale di quei mari .
Se
il mare ad est della Terra di Francesco Giuseppe non fosse interrotto da gruppi
più grandi di isole o da masse di terra, ma fosse una vasta distesa di oceani,
i venti sarebbero liberi dall’influenza della terra e soffierebbero dentro una
direzione nord-est, e mostrano, per così dire, il fenomeno di un aliseo polare
di nord-est. Se dovesse succedere che a nord del 78° o 79° grado di latitudine
nord prevalgano i venti di nord-est e, allo stesso tempo, i venti di sud-ovest
a sud di quello stesso grado, la corrente deve essere eliminata e si deve
assumere un movimento rotatorio nel ghiaccio, nella direzione opposta alle lancette
di un orologio. Le osservazioni di Weyprecht su questi venti stabiliscono il
loro carattere circolatorio. La curva di deviazione nel corso del
Tegetthoffsembra essere in armonia con questa ipotesi. Ma queste supposizioni
non possono essere accettate finché non si facciano osservazioni sui venti a
sud di 79° NL nella stessa stagione dell’anno con quelli che Weyprecht fece con
tanto successo a nord di questo grado.
I seguenti argomenti, tuttavia, sembrerebbero favorire la supposizione dell’esistenza di una corrente marina. La curva all'inizio della sua deviazione corrisponde quasi alla direzione che prenderebbe la Corrente del Golfo dopo aver doppiato la Norvegia, e nel suo ulteriore corso a quella corrente, che esce dal Mare di Kara tra Novaya Zemlya e Capo Taimyr, e che indubbiamente esiste, anche se il suo corso deve essere determinato con maggiore precisione.
Per
quanto piccolo possa essere il valore che attribuiamo ai venti per spiegare la
deviazione del corso del Tegetthoff , è comunque impossibile attribuire quei
fenomeni all’influenza della formazione della costa. Dobbiamo quindi supporre
che le diverse direzioni del vento producano una circolazione costante dei
ghiacci nel mare a nord di 79°; o che le correnti conosciute in questo mare e
nei mari contigui non possono essere escluse dalla piccola parte dell’oceano
che si trova tra Novaya Zemlya e Franz-Josef Land.
Da
questi ed altri motivi il viceammiraglio barone
von Wüllersdorf trae le seguenti
conclusioni:
È probabile che nei mari tra la Novaia Zemlja e la Terra di Francesco Giuseppe esista una corrente marina; che in ogni caso la sua esistenza non può essere negata positivamente, anche se i venti dominanti possono produrre fenomeni simili.
Che c’è una grande probabilità che l’Oceano si estenda molto a nord e ad est oltre l’estremità orientale della Novaya Zemlya.
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