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Prosegue con il
volto della terribile
San
Francesco
compone il Cantico circa un anno e mezzo prima della morte, che avvenne nella notte del 3 ottobre 1226. Posto
alla fine della sua vita, esso ne costituisce una sintesi e un inno. Tutte le
grandi intuizioni e i grandi temi della sua avventura umana e spirituale vi
sono presenti. Tutta la sua storia vi rivive nello sfondo.
Francesco era allora gravemente ammalato, soggiornava,
secondo la tradizione, a San Damiano presso Assisi; secondo alcuni studiosi più
verosimilmente a San Fabiano nei dintorni di Rieti (secondo questi, la
designazione di San Damiano sarebbe dovuta a un banale errore di trascrizione).
Ecco il racconto che ne fa la Leggenda perugina:
‘Non essendo più in grado di sopportare di giorno la luce naturale, né durante la notte il chiarore del fuoco, stava sempre nell’oscurità in casa e nella cella. Non solo, ma soffriva notte e giorno così atroce dolore agli occhi, che quasi non poteva riposare e dormire, e ciò accresceva e peggiorava queste e le altre sue infermità. Come non bastasse, se talora voleva riposare e dormire, la casa e la celletta dove giaceva (era fatta di stuoie in un angolo della casa) erano talmente infestate dai topi che saltellavano e correvano intorno e sopra di lui, che gli riusciva impossibile prendere sonno; le bestie lo disturbavano anche durante l’orazione. E non solo di notte, ma lo tormentavano anche di giorno; perfino quando mangiava gli salivano sulla tavola. […] Una notte, riflettendo Francesco alle tante tribolazioni a cui era esposto, fu mosso a pietà verso se stesso e disse in cuor suo: “Signore vieni in soccorso alle mie infermità, affinché io possa sopportarle con pazienza”. Giunto il mattino, chiamò i suoi compagni e, postosi a sedere, si concentrò a riflettere, e poi disse:
Altissimo, omnipotente, bon Segnore….
Fece quindi venire a sé frate Pacifico, che chiamavano il ‘re dei versi’ e che era stato maestro di canto ‘gentilissimo’ e ‘assai attraente’, e, assieme a lui, compose la melodia, che insegnò agli altri compagni, ‘affinché andassero per il mondo a predicare e lodare Dio. Voleva che dapprima uno di essi, capace di predicare, rivolgesse al popolo un sermone e che, finito il quale, tutti insieme cantassero le lodi del Signore, come giullari di Dio’.
Secondo una
tradizione consolidata, il Cantico, nella
versione originaria, avrebbe dovuto concludersi al verso 22, con l’invito a
lodare il Signore rivolto a ‘sora nostra
matre Terra’, con l’aggiunta degli ultimi due versi che idealmente possono
essere collegati a quelli iniziali.
Il Cantico, dunque, avrebbe dovuto riguardare soltanto le creature inanimate. I versetti del perdono, come è narrato nello Specchio di perfezione, sarebbero stati aggiunti da Francesco, quando, gravemente ammalato, nel suo soggiorno nei dintorni di Rieti, mandò alcuni dei suoi frati a comporre una controversia sorta tra il vescovo e il podestà di Assisi. I versi sulla morte, infine, li avrebbe composti quando gli venne annunciata prossima la fine e ‘dopo che si fece cantare le lodi da lui composte’.
Un problema
sollevato dagli studiosi a proposito del Cantico
è quello delle fonti, individuate in una lunga sequenza di riscontri biblici.
Queste indicazioni si fondavano sull’abitudine che Francesco aveva di arricchire i suoi “scritti”, secondo il costume
dell’epoca, con citazioni delle Sacre Scritture sia dal Nuovo sia dall’Antico
Testamento.
A questo
fine, ricorreva di frequente all’aiuto e alla collaborazione di qualche frate
che aveva compiuto studi di teologia; non è, tuttavia, ciò che si verifica nel Cantico, per il quale si dovrebbe parlare
piuttosto di testi che avrebbero ispirato il componimento nel suo complesso.
Abitualmente ne vengono indicati due: il Cantico dei tre fratelli nella fornace ardente (Daniele 3, 51-80) e il Salmo 148. Secondo lo studioso Giovanni Pozzi basterebbe il riferimento a quest’ultimo, citato nella liturgia con il termine latino Benedicite (Lodate) dalla parola di inizio. Il Pozzi sottolinea la somiglianza dello schema dei due cantici. Ambedue, infatti, potrebbero essere divisi in quattro parti: la lode a Dio in assoluto, l’invito alla lode rivolto a tutte le creature, l’invito alla lode rivolto specialmente all’uomo, la chiusa esortativa.
È vero: la
partizione dei due cantici è analoga e li accomuna l’invito rivolto a tutte le
creature, animate e inanimate, a lodare Dio. Tuttavia, quello di Francesco ha una particolarità che lo
differenzia sostanzialmente dal testo biblico ed è, oltre all’assenza degli
angeli e degli animali, l’assenza anche di qualunque catalogazione gerarchica
delle creature.
Tutte
le creature nel Cantico francescano sono poste sullo stesso piano, proprio in
quanto creature. E, se una preminenza si dovesse ricavare, dovrebbe riguardare
le creature inanimate.
Nel comporre il Cantico, Francesco certamente non poteva prescindere dalle forme letterarie allora in voga, né tantomeno dalla cultura del suo tempo e dalla frequentazione assidua dei testi sacri, ma riuscì a fondere tutto questo grazie a un particolarissimo entusiasmo creativo che si radicava in un’esperienza unica del divino. E sarà proprio questa esperienza a riportarlo prepotentemente a un rapporto d’amore con e per le cose che escludeva ogni desiderio di possesso e di dominio. In questo entusiasmo realizzerà un’inedita sintesi dei materiali e degli stili che l’epoca e la temperie letteraria gli mettevano a disposizione.
Dopo
essersi spogliato d’ogni cosa e aver rinunciato anche al sapere (aveva definito sé e i suoi frati ‘idiotae et
subditi omnibus’, ‘ignoranti e sottomessi a tutti’), può finalmente
rivolgersi alle cose con quella trasparente acutezza che Pascal chiamò ‘esprit
de finesse’, che nasce dalla disponibilità totale dell’intelletto e del
sentimento a farsi catturare dagli oggetti che lo interpellano muti: la sua
intelligenza – scriverà Tommaso da Celano, suo primo biografo – ‘pura da ogni
macchia, penetrava l’oscurità dei misteri, e ciò che rimane inaccessibile alla
scienza dei maestri era aperto all’affetto dell’amante’.
Francesco comunicava con le cose nel fondo del loro essere, a tutti comune, e poteva quindi parlare con esse chiamandole ‘col nome di fratello e sorella, intuendone i segreti in modo mirabile e noto a nessun altro’. Poteva rivolgersi agli animali, al lupo, agli uccelli, ed essere da loro compreso.
Il
Cantico è,
in qualche modo, la risposta gioiosa al richiamo del nulla. Del nulla inteso
non in chiave nichilistica, ma come contenitore dell’essere, come la casa
dell’essere. Del nulla dei significati e delle intenzioni di cui l’uomo spesso
carica e riveste le sue azioni. Le cose nel Cantico
sono invece considerate nella loro semplicità di cose, nella loro nudità di
cose, di modi diversi e sempre inediti di esprimersi dell’essere in sé
inenarrabile (‘nullo omo è digno te mentovare’).
Francesco, attraverso la pratica di una povertà assoluta,
aveva fatto il vuoto attorno a sé e dentro di sé e ora tutte le cose di cui si
era spogliato gli venivano restituite nella loro pura interezza e poteva
cantarne inebriato la bellezza e lo splendore. Ne aveva rifiutato il possesso,
aveva rifiutato di servirsene, di condizionarle alla sua utilità, ed ora tutte
gli venivano offerte, gli venivano incontro perché ne fosse il cantore. E nel
suo canto esse erano restituite a se stesse e trovavano la loro vera identità.
Scopriva che la salvezza non era nella rinuncia alle cose, ma nel loro abbraccio puro e disinteressato. L’uomo non è chiamato solo a lodare Dio attraverso le cose o in ringraziamento di esse, ma soprattutto a invitarle a lodare Dio assieme a lui. Il suo atteggiamento nei confronti delle cose era di sommo rispetto e di dialogo. In alcune circostanze non aveva osato spegnere il fuoco che si era appiccato al saio che indossava; non voleva che si cancellasse alcuna parola scritta, anche se sbagliata; raccomandava di portare obbedienza ‘alle bestie e alle fiere’, a Greccio strofinò la carne sulle pietre perché anch’esse partecipassero alla gioia del Natale…
La lettura del Cantico dona un sentimento di sorpresa, come di
chi sbuchi da un incubo dentro un universo di luce e di trasparenza
cristallina. Un universo innocente. Un universo riconciliato e rappacificato,
che ha ritrovato la sua originaria armonia. Quando le cose sono considerate
fuori dagli schemi utilitaristici, come avviene appunto nel Cantico, allora
esse raggiungono la loro verità. E anche l’uomo raggiunge la sua.
Francesco si muove in un mondo riunificato. Non c’è più
per lui una realtà materiale e una realtà spirituale. C’è la realtà e basta.
Secondo una felicissima intuizione di Riccardo Tordoni nel suo Francesco polvere di Dio, quando Francesco avverte l’invito che gli viene
rivolto dal Crocefisso di ‘riparare la sua chiesa’, non pensa, come avrebbe
fatto uno dei tanti “eretici” del suo tempo, alla Chiesa universale, alla
Chiesa di Roma, ma più semplicemente alla piccola chiesa di San Damiano che
stava davanti a lui e che cadeva in rovina.
Egli non poneva le due opzioni in alternativa in quel momento esse si sovrapponevano, coincidevano. Erano la stessa cosa. Riparando la chiesetta campestre di San Damiano, Francesco è implicitamente convinto di contribuire al rinnovamento della Chiesa universale. Anzi, la questione non è nemmeno problematizzata: egli vuole semplicemente fare quello che sente come volontà del Signore. Questo genere di fraintendimenti saranno numerosi nella sua comprensione della realtà, come peraltro lo sono anche nel Vangelo, secondo la cui “forma” egli dichiara di voler vivere ‘sine glossa’, alla lettera.
Il Cantico è un eccezionale documento di “mistica laica”, del divino che si incarna nella creatura, del quale essa rappresenta uno dei nomi (il logos), e che perciò esclude il rinvio a qualcosa di diverso del suo essere qui e ora. La creatura è l’immagine visibile dell’invisibile. È qui e adesso che il Dio misterioso e irraggiungibile fa essere le cose chiamandole con il loro nome. È qui e adesso che egli chiede che esse, con il loro stesso essere, lo lodino. La lode diventa così la ragione profonda del creato.
‘Laudato si, mi Signore’.
Il
Cantico delle Creature
Altissimo, onnipotente, bon
Signore, tue so le
laude, la gloria e
l’onore e onne
benedizione.
A te solo, Altissimo, se
confano e nullo omo è
digno te mentovare.
Laudato sie, mi Signore,
cun tutte le tue
creature, spezialmente
messer lo frate Sole,
lo quale è iorno, e
allumini noi per lui.
Ed ello è bello e radiante
cun grande splendore:
de te, Altissimo, porta
significazione.
Laudato si, mi Signore, per
sora Luna e le Stelle:
in cielo l’hai formate
clarite e preziose e
belle. Laudato si, mi
Signore, per frate
Vento, e per Aere e
Nubilo e Sereno e
onne tempo, per lo
quale a le tue creature
dai sostentamento.
Laudato si, mi Signore, per
sor Aqua, la quale è
molto utile e umile e
preziosa e casta.
Laudato si, mi Signore, per
frate Foco, per lo
quale enn’allumini la
nocte: ed ello è bello e
iocondo e robustoso e
forte.
Laudato si, mi Signore, per
sora nostra matre
Terra, la quale ne
sostenta e governa, e
produce diversi fructi
con coloriti fiori ed
erba.
Laudato si, mi Signore, per
quelli che perdonano
per lo tuo amore e
sostengo infirmitate e
tribulazione.
Beati quelli che ’l
sosterrano in pace, ca
da te, Altissimo,
sirano incoronati.
Laudato si, mi Signore, per
sora nostra Morte
corporale, da la quale
nullo omo vivente pò
scampare.
Guai a quelli che morranno
ne le peccata mortali!
Beati quelli che troverà ne
le tue santissime
voluntati, ca la morte
seconda no li farrà
male.
Laudate e benedicite mi
Signore, e rengraziate
e serviteli con grande
umilitate.
Cantico delle Creature*
(*Versione
contenuta in Actus Beati Francisci in Valle Reatina)
Altissimo omnipotente bon
signore, toe so le
laude la gloria et
lonore et omne
benedictione ad te
solo se convengono
nullo homo è digno de
te nominare.
Laudato si mon signore da
tucte le creature,
specialmente da miser
lu frate sole el quale
iorna et illumina noi
per luj et ipso è bello
et radiante con gran
splendore de ti signore
porta significazione.
Laudato si mon signore da
sora luna et per le
stelle in celo l’hai
fermate clare pretiose
et belle.
Laudato si mon signore da
frate vento dariu1 da
nubilu et sereno et
omne tempo per le
quali alle toe creature
dai substentamento.
Laudato si mon signore da
sora aqua la quale è
multo humile et
preciosa et casta.
Laudato si mon signore da
frate focu per lu quale
tu illumini la nocte et
ello è bello et Jocondo
et rubostissimo et
forte.
Laudato si mon signore da
sora nostra matre
terra la quale ne
sostenta et governa et
produci diversi fructi
et colorati et erba.
Laudato si mon signore da
quelli che perdonano
per lo to amore et
sostengono infirmitate
et tribulatione beati
quilli che sostengono
tanto in pace che da te
altissimo serranno
incoronati.
Laudato si mon signore da
sora nostra morte
corporale dalla quale
niuno homo morto po
scampar et guai ad
quilli che moro in
peccato mortale.
Beati quilli che se trovano
nelle toi sancte
voluntatj che la morte
seconda nolli porra
fare male.
Laudato et benedico mio
signore et regratiatelo
et serviateli con
grande humilitate et
cum patientia et
iocunditate et nelle
temptationi so facte
forti et benedicti
sciate tucti in tanto
che omne bona gratia
vi conceda lu patre et
lu figlio et lu spiritu
Sancto Amen.
Amen
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