giuliano

lunedì 12 maggio 2014

TUMO RESKIAN

















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Viaggi onirici













Camminammo così fino alle due del mattino.
Erano ormai diciannove ore che eravamo in marcia senza esserci fermati
un istante, senza avere né mangiato né bevuto. Cosa assai sorprendente:
non mi sentivo stanca, provavo solo un gran bisogno di dormire.
Yongden era partito alla ricerca di combustibile, quando ne trovai vicino
al fiume, in un luogo dove dovevano campeggiare normalmente, d'estate,
i viaggiatori che si recavano dalla regione di Po a quella di Dainchine o
viceversa.




Chiamavo da lontano il mio compagno e raccoglievo una gran quantità
di sterco di yak, che portavo con un lembo del mio abito. Potevamo
essere sicuri che nessun essere umano si trovasse in questi luoghi solita-
ri; decisi dunque che avremmo piantato la nostra tenda tra i cespugli in
un punto leggermente incassato.




La cosa più urgente era accendere il fuoco.
Lasciai cadere in terra la 'djoua' che avevo raccolto e Yongden estrasse
l'accendino e i suoi accessori dall'apposita borsetta che teneva legata al-
la cintura, secondo l'uso tibetano.
Ma che succedeva?
Non una scintilla scaturiva dalla selce.
Il giovane si ostinava, tanto valeva che battesse la zolla di terra con le
sue dita per ottenere il fuoco.




Ispezionando la borsa, si accorse che era umida. Si era probabilmen-
te bagnata come pure l'accendino che essa conteneva, mentre attraver-
savamo i campi di neve, salendo verso il valico.
Comunque fosse, restammo senza fuoco - la situazione era seria.
Non ci trovavamo più in cima alla montagna, tra qualche ora il sole si
sarebbe alzato e, nonostante il fiume, accanto a noi, fosse coperto da
uno spesso strato di ghiaccio, non ci saremmo comunque congelati;




ma era altrettanto certo che, in questa notte di dicembre, correvamo
enormi rischi di prenderci una polmonite o qualche altro brutto malan-
no del genere.
- Jetsunema, reverenda signora,
mi disse improvvisamente Yongden, posando in terra il sacchetto conte-
nente l'accendino inutile
- lei è un'iniziata al 'tumo reskian' e può fare a meno del fuoco. Si scaldi
e non badi a me. Salterò e correrò per tenermi il sangue in movimento;
non tema, non mi prenderò un malanno.




Era vero che avevo studiato presso due anacoreti tibetani l'arte partico-
lare di aumentare il calore del corpo. Per molto tempo, le storie riporta-
te nei libri tibetani e quelle che sentivo raccontare intorno a me su que-
sto argomento mi avevano incuriosito.
Poiché ho l'animo piuttosto incline alle indagini critiche e sperimentali,
non potevo fare a meno di sentire il vivo desiderio di vedere io stessa
quanto poteva esservi di vero in questi racconti che ero portata a con-
siderare semplici favole.




Con molte difficoltà, dopo aver mostrato una ostinata perseveranza nel
mio desiderio di essere iniziata a questi segreti ed essermi rassegnata a
subire un certo numero di prove piuttosto faticose e qualche volta anche
un tantino pericolose, riuscii alla fine a imparare e a 'vedere'.
Vidi alcuni di quei maestri nell'arte di 'tumo' seduti sulla neve, notte dopo
notte, completamente nudi, immobili, sprofondati in meditazione, men-
tre terribili raffiche invernali turbinavano e ululavano attorno a loro.




Vidi, al chiarore splendente della luna, il fantastico esame superato dai
discepoli: alcuni giovani venivano portati, nel cuore dell'inverno, sui bor-
di di un lago o di un fiume e lì, spogliati da tutti i loro abiti, asciugavano
direttamente sulla loro carne certi lenzuoli inzuppati nell'acqua gliaciale.
Appena un lenzuolo si asciugava un po', un altro veniva subito a sosti-
tuirlo.




Irrigidito dal gelo appena tirato fuori dall'acqua, diveniva presto fumante
sulle spalle del candidato 'reskian', come se fosse stato appoggiato su
una stufa bollente.
Ma, meglio ancora, appresi il genere di addestramenti che permette di
compiere questi strani 'tours de force' e, curiosa più che mai di portare a
termine l'esperimento, mi esercitai io stessa per cinque mesi invernali, in-
dossando il sottile vestito di cotone delle novizie a 3900 metri di altezza.




Tuttavia, avendo appreso quanto desideravo, era ormai inutile prolunga-
re il mio apprendistato. Non ero affatto stata chiamata a vivere in regio-
ni per le quali queste pratiche sono state inventate.
Avevo quindi ripreso le abitudini più volgari di accendere un fuoco e di
portare vestiti caldi ed ero molto lontana dall'essere padrona nel 'tumo
reskian' come lo immaginava il mio compagno.




- Ritorni dove è situato il campo e raccolga quanto più possibile in ster-
co e rametti,
dissi al Lama.
- L'esercizio le impedirà di raffreddarsi. Mi occuperò del fuoco.
Obbedì, convinto che il combustibile sarebbe stato inutile, ma mi era
venuta un'idea.
L'accendino e i suoi accessori: la piccola selce e la stoppa che riceve
le scintille, pensai, sono fredde, umide o quant'altro, non lo so.




Non potrei metterle in stato di funzionare scaldandole su di me nello
stesso modo con cui asciugavo i lenzuoli bagnati quando studiavo ...
'tumo reskian'?
Non costava niente tentare.
Sistemai l'accendino, la selce e un pizzico di stoppa sotto i miei vesti-
ti e cominciai l'esercizio dello spirito.
Ho detto che sentivo il bisogno di dormire quando mi ero fermata per
campeggiare.




Il moto fatto aiutando a piazzare la tenda e sforzandomi per fare un
fuoco aveva un po' scosso il mio sopore, ma ora che stavo tranquilla-
mente seduta il sonno mi riprese poco a poco.
Eppure la mia mente restava tutta concentrata sull'idea di 'tumo' e,
meccanicamente, senza che nessun altro pensiero la sviasse, continua-
vo in uno stato di quasi sogno la marcia regolare della pratica iniziata.




Vidi presto le fiamme innalzarsi attorno a me - diventavano sempre
più grandi, mi avvilupparono, inarcando le loro lingue rosse al di sopra
della mia testa...
Mi sentivo pervasa da un delizioso benessere..........
(Alexandra David-Néel)

















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