giuliano

martedì 13 maggio 2014

VIAGGI ONIRICI (fra una pagina e l'altra di Storia: Drolerie) (3)



















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Viaggi onirici (2)

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Viaggi onirici (una passeggiata alle Ragged Mountains) (4) 














Ben presto, mi accorsi di uno strano vento proveniente da un punto imprecisato…, o forse da un orifizio nero di un tempio che si trovava ad una grande distanza da me, a sud, quasi fuori dalla mia vista; avanzai allora a fatica lottando contro la soffocante nube di sabbia verso quel tempio che, quando mi avvicinai, si rivelò più grande degli altri e mostrò un’entrata molto meno ostruita di sabbia disseccata. Provavo una paura indescrivibile, ma non sufficiente a lenire la mia sete di meraviglie per cui, non appena il vento scomparve completamente, entrai nella oscura caverna da cui ero uscito.  
… Poi, una vampata più luminosa di quella bizzarra fiamma, mi rivelò quello che stavo cercando: l’apertura su quegli abissi remoti da cui provenivano i venti improvvisi; e mi sentii svenire quando vidi che era un’entrata, piccola e palesemente artificiale, tagliata nella solida roccia.  Vi infilai la torcia, e vidi un tunnel nero con il tetto che si inarcava basso su una rozza rampa in discesa di gradini piccolissimi, numerosi e ripidi. Lo stretto passaggio scendeva all’infinito come uno spaventoso pozzo infestato, e la torcia che tenevo alta al di sopra della testa, non riusciva ad illuminare le ignote profondità verso cui strisciavo. Persi il conto delle ore e del Tempo che scorreva al contrario, c’erano cambiamenti di direzione e di ripidità; e, una volta, arrivai ad un passaggio lungo, basso e piano, dove dovetti strisciare contorcendomi, con i piedi in avanti, sul fondo roccioso, tenendo la roccia tesa al di sopra della testa.




… Il Tempo aveva ormai cessato di esistere quando i miei piedi toccarono di nuovo un piano orizzontale, e mi trovai in un luogo lievemente più alto delle stanze dei due templi più piccoli, ormai rimasti ad una distanza incalcolabile al di sopra di me. Quel luogo non era un rudere primitivo come i templi della città in superficie, ma il monumento di un’arte magnifica ed esotica: disegni e pitture ricchi, vivaci e bizzarri, formavano uno schema continuo di pittura murale, le cui linee e colori andavano aldilà di ogni descrizione….
Comunicare un’idea di quelle mostruosità è impossibile.. erano della famiglia dei rettili, le linee del corpo facevano pensare a volte al coccodrillo, a volte alla foca, ma più spesso a nulla di cui avessero mai sentito parlare il naturalista e il paleontologo, e la cosa più strana di tutte erano le teste, che presentavano un contorno che sfidava tutti i princìpi della biologia. A niente quegli esseri potevano essere comparati: in rapida successione li confrontai al gatto, al buldog, al mitico satiro, e all’essere umano… L’importanza di quelle creature striscianti doveva essere stata enorme, perché occupavano il primo posto tra i bizzarri disegni delle pareti e del soffitto affrescati.




… Quando la luce fu più forte studiai le pitture più da vicino e, ricordando che gli strani rettili dovevano rappresentare gli uomini sconosciuti, riflettei sulle abitudini della Città senza Nome; erano dipinte scene di grande pittoricità e stravaganza: vedute contrapposte della Città senza Nome nel suo abbandono e nel suo crescente decadimento, alla fine mi parve scorgere i segni di un certo decadimento artistico, i dipinti erano meno abili, e molto più bizzarri perfino più strani delle scene precedenti, sembravano documentare una lenta decadenza dell’antica razza, accompagnata da una ferocia crescente verso il mondo esterno da cui era stata cacciata nel deserto….
Nel guardare lo spettacolo rappresentato da quella storia murale, mi ero avvicinato alla fine del passaggio dal basso soffitto, e notai un’apertura da cui proveniva tutta quella fosforescenza luminosa, strisciai fino ad essa e gridai stupefatto nel vedere che cosa c’era aldilà: infatti, invece di altre caverne più luminose, c’era solo un vuoto illuminato di radiazioni uniformi, come ci si può immaginare di vedere guardando in basso dalla cima del monte Everest un mare di nebbia illuminato dal sole.




Alle mie spalle c’era un passaggio così stretto che non riuscivo a stare in piedi; e, davanti a me, c’era un infinito fulgore sotterraneo, spalancato contro la parete sinistra del passaggio: il massiccio battente di una porta di ottone, incredibilmente spesso e decorato con fantastici bassorilievi che, se chiuso, poteva isolare completamente tutto il mondo di luce dalle caverne e dalle gallerie di roccia.
Mentre giacevo immobile ad occhi chiusi, pronto a riflettere, molte cose che avevo notato superficialmente negli affreschi mi ritornarono in mente con una gravità nuova e terribile: scene che rappresentavano la Città senza Nome nei giorni del suo splendore, la vegetazione della vallata che la circondava, e le terre lontane con le quali i suoi mercanti facevano commerci. L’allegoria delle creature striscianti mi sorprendeva per la sua preminenza assoluta, e mi chiesi se era mai possibile che fosse stata seguita così rigidamente in una storia murale di simile importanza.
Negli affreschi, la Città senza Nome era raffigurata in proporzioni adatte ai rettili, mi chiesi quali fossero state le sue vere proporzioni e la sua magnificenza, e riflettei per un attimo su certe stranezze che avevo notato nelle rovine, e quando pensai alle creature striscianti, le cui orrende forme mummificate mi erano così vicine, provai una nuova ondata di paura; le associazioni mentali più strane, e rifuggii dall’idea che, tranne per il povero primitivo dilaniato nell’ultimo dipinto, la mia era l’unica forma umana tra i molti resti e simboli di una vita medievale antichissima…..




Ma come sempre nella mia esistenza strana e vagabonda, la meraviglia presto scacciò la paura; infatti, l’abisso luminoso e ciò che poteva contenere, erano un problema degno del più grande esploratore (e ricercatore….). Non potevo dubitare che un mondo soprannaturale di mistero fosse in fondo a quella rampa di strani e piccoli gradini, e speravo di trovare quei ricordi umani che il corridoio dipinto non mi aveva fornito…. Gli affreschi dipingevano città incredibili e vallate, in quel regno inferiore, e la mia fantasia indugiò sulle rovine ricche e colossali che mi aspettavano.
Le mie paure, in realtà, riguardavano il passato più che il futuro (poi riflettendosi nello specchio del Tempo, investirono anche il futuro…), e nemmeno l’orrore fisico della mia posizione in quello stretto corridoio di rettili morti e di affreschi antidiluviani, miglia e miglia al di sotto del mondo che conoscevo e davanti ad un altro mondo di luce e nebbia misteriose, poteva eguagliare il terrore mortale che provavo davanti all’antichità abissale della scena ed il suo spirito.




… D’un tratto arrivò un’altra ondata di quella paura mista a terrore puro, acuta che mi aveva assalito ad intermittenza fin da quando avevo visto per la prima volta la terribile vallata e la Città senza Nome sotto una fredda luna e, malgrado la stanchezza, mi sorpresi a cercare freneticamente di sedermi per scrutare lungo il corridoio buio i tunnel che salivano al mondo esterno. Dopo un momento, però, provai uno spavento ancora più grande a causa di un rumore ben definito; il primo che aveva rotto il silenzio assoluto di quelle profondità sepolcrali.
Era un gemito profondo, basso, come se provenisse da una folla lontana di anime dannate, e proprio dalla direzione in cui stavo guardando. Il suo volume crebbe rapidamente, finché echeggiò lugubremente nel basso corridoio e, nello stesso momento, notai una crescente corrente di aria calda, umida malsana inquinata ed irrespirabile….

Non è morto ciò che può vivere in eterno,
E in strani eoni anche la morte può morire….   

(H.P. Lovecraft, La città senza Nome)

















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