giuliano

mercoledì 14 maggio 2014

VIAGGI ONIRICI (una passeggiata alle Ragged Mountains) (5)



















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Sogni paradossali  (7) 














Ripresi ad avanzare con rinnovato vigore e coraggio….
Mi fregai gli occhi, chiamai ad alta voce, mi pizzicai le membra. Si presentò ai miei occhi un piccolo zampillio d’acqua sul quale mi inchinai per bagnarmi le mani, la testa, il collo. Questo sembrò dissipare le equivoche sensazioni che mi avevano fin ad allora turbato. Mi rialzai pensando di essere un altro e ripresi speditamente e serenamente per il cammino sconosciuto. Dopo qualche tempo, piuttosto provato dallo sforzo e da una certa oppressiva pesantezza dell’atmosfera, mi sedetti sotto un albero. Poco dopo comparve un debole raggio di sole e l’ombra delle foglie si disegnò tenue ma netta sull’erba. Guardai con meraviglia per molti minuti quell’ombra. Il suo contorno mi sgomentò – guardai in alto: l’albero era una palma.
Balzai su in uno stato di terribile agitazione – perché mi resi conto che l’illusione di aver sognato non poteva più servire. Vedevo – sentivo di avere il perfetto controllo dei miei sensi – e questi sensi ora mi portavano nell’animo un mondo di nuove, singolari sensazioni. D’un tratto il calore divenne insopportabile, uno strano profumo si diffuse nella brezza, un basso, continuo fruscio, come quello causato dalla corrente d’acqua di un fiume che scorre tranquillo nel suo letto, giunse alle mie orecchie mescolato al mormorio caratteristico di una moltitudine di voci umane. Mentre ascoltavo in un parossismo di stupore che non mi azzardo a descrivere una violenta e breve raffica di vento spazzò via la nebbia incombente, come un colpo di bacchetta magica.




Mi ritrovai ai piedi di una’alta montagna a osservare una vasta pianura attraversata da un imponente fiume. Ai bordi di questo fiume sorgeva una città di aspetto orientale, come quelle di cui leggiamo nelle ‘Mille e una Notte’ ma con caratteristiche ancora più singolari di quelle ivi descritte. Dalla mia posizione, molto più in alto rispetto alla città, potevo vederne ogni cantuccio, ogni angolo come se fosse disegnato su una mappa.
Le strade sembravano innumerevoli e si incrociavano in tutte le direzioni, ma erano piuttosto vicoli tortuosi che non vere strade, assolutamente formicolanti di abitanti. Le case erano incredibilmente pittoresche. Su ogni lato una selva di balconi, verande, minareti, templi, finestre fantasticamente intagliate! Abbondavano i bazar, nei quali erano in mostra le mercanzie più ricche in infinite varietà e profusione… sete, mussole, le coltellerie più lucenti, i più svariati gioielli, le gemme più preziose. Vicino a questo oggetti si potevano vedere ovunque flabelli, portantine, palanchini su cui giacevano maestose signore completamente velate, elefanti fastosamente bardati, idoli grottescamente intagliati, tamburi, bandiere, gong, lance, mazze d’argento e dorate.




In mezzo alla folla, al clamore, alla mischia, alla confusione… in mezzo ai milioni di uomini neri e gialli, con i turbanti, le tuniche, le barbe fluenti, vagavano innumerevoli bovini parati a festa, mentre intere legioni di sudice ma sacre scimmie saltavano, con sberleffi e schiamazzi, sulle cornici delle moschee o pendevano dai minareti e dalle finestre.
… Mi dirà ora che certamente sognavo, ma non è così
Quello che vedevo, ascoltavo, sentivo, pensavo non aveva niente in sé della inconfondibile vacuità del sogno. Tutto era rigorosamente concreto. All’inizio, dubitando di essere realmente sveglio, mi ero sottoposto ad una serie di prove che mi convinsero subito di esserlo. Infatti quando uno sogna e, nel sogno, sospetta di sognare, il sospetto ‘non manca mai di avere conferma’ e il dormiente quasi immediatamente si sveglia.
‘In questo non sono sicuro che lei abbia sbagliato’, osservò il dottor Templeton. ‘Ma continui. Si è alzato ed è disceso in città…’.




‘Mi alzai’, continuò Bedloe, guardando il dottore con una espressione di profondo stupore, ‘mi alzai come lei ha detto, e discesi in città. Sulla mia strada incontrai una gran quantità di gente che affollava ogni strada, tutti nella stessa direzione, mostrando la massima eccitazione in ogni atto. Tutto ad un tratto, per un inspiegabile impulso, mi trovai personalmente impegnato in quanto stava accadendo. Mi sembrava di dover  giocare un ruolo primario senza capire esattamente di che cosa si trattava. Sentii, tuttavia, di provare un sentimento di profonda animosità contro tutta la folla che mi circondava. Sgusciai via dalla loro stretta e rapidamente, seguendo un percorso periferico, raggiunsi la città e vi entrai. Qui regnavano la più grande agitazione e la più animata disputa.
Un piccolo gruppo di uomini abbigliati in divise per metà indiane e per metà europee, e comandati da gentiluomini in uniforme parzialmente britannica, era ingaggiato, in condizioni di assoluta inferiorità, contro una moltitudine di persone infuriate. Mi unii ai più deboli e, afferrate le armi di un ufficiale caduto, presi a combattere con non so quale arrabbiata ferocia e disperazione. Fummo ben presto sopraffatti dal numero e costretti a trovare rifugio in una specie di padiglione. Ci barricammo e almeno per qualche tempo, ci sentimmo al sicuro, Ma la plebaglia ci premeva impetuosamente, minacciandoci con le lance, sommergendoci con un nugolo di frecce.




Una di esse mi colpì sopra la tempia destra, vacillai e caddi. Un terribile male si impadronì di me in un istante. Lottai… annaspai… morii….'.
‘Non potrà ora testardamente insistere a dire’, dissi sorridendo, ‘che tutta la sua avventura non era un sogno. Non vorrà sostenere di essere morto?’. Dicendo queste parole, mi aspettavo in realtà una qualche vivace reazione da parte di Bedoloe, ma con mia sorpresa, egli esitò, diventò paurosamente pallido e rimase silenzioso. Gurdai verso Templeton. Sedeva eretto e rigido sulla sedia… i suoi denti battevano e gli occhi sembravano volergli uscire dalle orbite.
‘Continui’, intimò con voce roca a Bedloe.
‘Per molti minuti’, continuò quest’ultimo, ‘il mio unico sentimento – l’unica sensazione – fu di buio, di nullità con la consapevolezza della morte. Successivamente sembrò che la mia anima fosse scossa da una violenta, improvvisa scarica, come una scarica elettrica.  Quest’ultima la sentii – non la vidi. Poco dopo mi sembrò di alzarmi da terra, ma non avevo una presenza corporea, visibile, udibile o palpabile. La folla era sparita, il tumulto era cessato, la città era in relativa quiete. Al mio fianco giaceva il mio cadavere, con la freccia nella tempia, e tutta la testa molto gonfia e sfigurata.  Tutte queste cose io le sentivo, non le vedevo. Non mi interessava niente, perfino il cadavere era un oggetto che non mi interessava. Non avevo alcuna volontà, mi sembrava fossi costretto a muovermi e volteggiando nell’aria veleggiai fuori della città, ripercorrendo il sentiero periferico attraverso il quale ero entrato in essa.  




Quando raggiunsi quel punto della gola in mezzo alle montagne, nel quale avevo incontrato la iena, sentii nuovamente una scossa elettrica; ritornarono le sensazioni del peso, della volontà, dell’esistere. Tornai ad essere me stesso quale ero in origine e rivolsi i miei passi per tornare rapidamente a casa… Ma il passato non aveva affatto perduto la vividezza della realtà…. E nemmeno ora posso costringermi neanche per un istante a considerarlo un sogno…’.
‘E non lo era’, disse Templeton con aria di grande solennità, ‘anche se sarebbe difficile dire come possa essere definito altrimenti. Possiamo solo supporre che l’anima dell’uomo è oggi alla soglia di stupende scoperte nel campo della psiche. Contentiamoci di questa ipotesi; per il resto posso fornire una qualche spiegazione. Ho qui un acquarello che avrei dovuto mostrarvi prima; ma un comprensibile sentimento di orrore mi ha impedito finora di farlo’.
Esaminammo il quadro che ci presentava.
Non vidi in esso niente di straordinario, ma l’effetto che produsse su Bedloe fu prodigioso. Nel vederlo quasi svenne. Eppure non era altro che un ritratto in miniature – peraltro di una precisione miracolosa – che riproduceva le sue notevolissime fattezze. Almeno questo è quello che pensai guardandolo.




‘Potete osservare’, disse Templeton, ‘la data di questo quadro, è qui nell’angolo, appena visibile: 1780. E’ questo l’anno in cui il ritratto venne eseguito. E’ il ritratto di un amico morto, il signor Oldeb, al quale mi ero molto legato a vent’anni. Quando l’ho visto per la prima volta a Saratoga, signor Bedloe, è stata proprio la prodigiosa rassomiglianza che aveva con il ritratto che mi indusse ad avvicinarla, a ricercare la sua amicizia, e infine a stringere quegli accordi che mi hanno portato a divenire il suo costante accompagnatore.
Nella dettagliata esposizione di ciò che lei ha visto in mezzo alle montagne, ha descritto fin nei minimi particolari la città indiana di Benares, sul Fiume Sacro: i tumulti e il massacro furono eventi reali, io stesso facevo parte del gruppo e feci tutto quello che potei per impedire l’avventata e fatale sortita dell’ufficiale che cadde nel vicolo affollato, colpito dalla freccia avvelenata…. Quell’ufficiale era il mio caro amico Oldeb….’.
Una settimana dopo questa conversazione, il seguente trafiletto apparve su un giornale di Charlottesville:




Abbiamo il doloroso compito di annunciarvi la morte del signor Augusto Bedlo, un gentiluomo le cui amabili maniere e le molte virtù lo hanno reso molto caro ai cittadini di Charlottesville. Il signor Bedlo, da alcuni anni soffriva di disturbi nervosi che spesso hanno minacciato di rivelarsi fatali; ma questa circostanza può essere considerata solo come causa indiretta del decesso. La causa diretta è stata particolarmente singolare. Qualche giorno fa, in una escursione sulle Ragged Mountains aveva peso un lieve raffreddore con febbre, seguito da un notevole afflusso di sangue alla testa. Per ridurne gli effetti, il dottor Templeon praticò un salasso locale applicando delle zecche-sanguisughe alle tempie. In un lasso di tempo terribilmente breve il paziente morì, ci si accorse allora che nel vaso contenente le zecche-sanguisughe era stata introdotta, per disgrazia, una di quelle vermicolari velenose che si trovano di quando in quando nei vicini stagni. ….

(E.A. Poe, Un racconto delle Ragged Mountains)  



















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