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Ripresi ad avanzare con rinnovato vigore e coraggio….
Mi fregai gli occhi, chiamai ad alta voce, mi pizzicai le membra. Si
presentò ai miei occhi un piccolo zampillio d’acqua sul quale mi inchinai per
bagnarmi le mani, la testa, il collo. Questo sembrò dissipare le equivoche
sensazioni che mi avevano fin ad allora turbato. Mi rialzai pensando di essere
un altro e ripresi speditamente e serenamente per il cammino sconosciuto. Dopo
qualche tempo, piuttosto provato dallo sforzo e da una certa oppressiva
pesantezza dell’atmosfera, mi sedetti sotto un albero. Poco dopo comparve un
debole raggio di sole e l’ombra delle foglie si disegnò tenue ma netta
sull’erba. Guardai con meraviglia per molti minuti quell’ombra. Il suo contorno
mi sgomentò – guardai in alto: l’albero era una palma.
Balzai su in uno stato di terribile agitazione – perché mi resi conto
che l’illusione di aver sognato non poteva più servire. Vedevo – sentivo di
avere il perfetto controllo dei miei sensi – e questi sensi ora mi portavano
nell’animo un mondo di nuove, singolari sensazioni. D’un tratto il calore
divenne insopportabile, uno strano profumo si diffuse nella brezza, un basso,
continuo fruscio, come quello causato dalla corrente d’acqua di un fiume che
scorre tranquillo nel suo letto, giunse alle mie orecchie mescolato al mormorio
caratteristico di una moltitudine di voci umane. Mentre ascoltavo in un
parossismo di stupore che non mi azzardo a descrivere una violenta e breve
raffica di vento spazzò via la nebbia incombente, come un colpo di bacchetta
magica.
Mi ritrovai ai piedi di una’alta montagna a osservare una vasta pianura
attraversata da un imponente fiume. Ai bordi di questo fiume sorgeva una città
di aspetto orientale, come quelle di cui leggiamo nelle ‘Mille e una Notte’ ma
con caratteristiche ancora più singolari di quelle ivi descritte. Dalla mia
posizione, molto più in alto rispetto alla città, potevo vederne ogni
cantuccio, ogni angolo come se fosse disegnato su una mappa.
Le strade sembravano innumerevoli e si incrociavano in tutte le
direzioni, ma erano piuttosto vicoli tortuosi che non vere strade,
assolutamente formicolanti di abitanti. Le case erano incredibilmente
pittoresche. Su ogni lato una selva di balconi, verande, minareti, templi,
finestre fantasticamente intagliate! Abbondavano i bazar, nei quali erano in
mostra le mercanzie più ricche in infinite varietà e profusione… sete, mussole,
le coltellerie più lucenti, i più svariati gioielli, le gemme più preziose.
Vicino a questo oggetti si potevano vedere ovunque flabelli, portantine, palanchini
su cui giacevano maestose signore completamente velate, elefanti fastosamente
bardati, idoli grottescamente intagliati, tamburi, bandiere, gong, lance, mazze
d’argento e dorate.
In mezzo alla folla, al clamore, alla mischia, alla confusione… in
mezzo ai milioni di uomini neri e gialli, con i turbanti, le tuniche, le barbe
fluenti, vagavano innumerevoli bovini parati a festa, mentre intere legioni di
sudice ma sacre scimmie saltavano, con sberleffi e schiamazzi, sulle cornici
delle moschee o pendevano dai minareti e dalle finestre.
… Mi dirà ora che certamente sognavo, ma non è così
Quello che vedevo, ascoltavo, sentivo, pensavo non aveva niente in sé
della inconfondibile vacuità del sogno. Tutto era rigorosamente concreto.
All’inizio, dubitando di essere realmente sveglio, mi ero sottoposto ad una
serie di prove che mi convinsero subito di esserlo. Infatti quando uno sogna e,
nel sogno, sospetta di sognare, il sospetto ‘non manca mai di avere conferma’ e
il dormiente quasi immediatamente si sveglia.
‘In questo non sono sicuro che lei abbia sbagliato’, osservò il dottor
Templeton. ‘Ma continui. Si è alzato ed è disceso in città…’.
‘Mi alzai’, continuò Bedloe, guardando il dottore con una espressione
di profondo stupore, ‘mi alzai come lei ha detto, e discesi in città. Sulla mia
strada incontrai una gran quantità di gente che affollava ogni strada, tutti
nella stessa direzione, mostrando la massima eccitazione in ogni atto. Tutto ad
un tratto, per un inspiegabile impulso, mi trovai personalmente impegnato in
quanto stava accadendo. Mi sembrava di dover giocare un ruolo primario senza capire
esattamente di che cosa si trattava. Sentii, tuttavia, di provare un sentimento
di profonda animosità contro tutta la folla che mi circondava. Sgusciai via
dalla loro stretta e rapidamente, seguendo un percorso periferico, raggiunsi la
città e vi entrai. Qui regnavano la più grande agitazione e la più animata
disputa.
Un piccolo gruppo di uomini abbigliati in divise per metà indiane e per
metà europee, e comandati da gentiluomini in uniforme parzialmente britannica,
era ingaggiato, in condizioni di assoluta inferiorità, contro una moltitudine
di persone infuriate. Mi unii ai più deboli e, afferrate le armi di un
ufficiale caduto, presi a combattere con non so quale arrabbiata ferocia e
disperazione. Fummo ben presto sopraffatti dal numero e costretti a trovare
rifugio in una specie di padiglione. Ci barricammo e almeno per qualche tempo,
ci sentimmo al sicuro, Ma la plebaglia ci premeva impetuosamente, minacciandoci
con le lance, sommergendoci con un nugolo di frecce.
Una di esse mi colpì sopra la tempia destra, vacillai e caddi. Un
terribile male si impadronì di me in un istante. Lottai… annaspai… morii….'.
‘Non potrà ora testardamente insistere a dire’, dissi sorridendo, ‘che
tutta la sua avventura non era un sogno. Non vorrà sostenere di essere morto?’.
Dicendo queste parole, mi aspettavo in realtà una qualche vivace reazione da
parte di Bedoloe, ma con mia sorpresa, egli esitò, diventò paurosamente pallido
e rimase silenzioso. Gurdai verso Templeton. Sedeva eretto e rigido sulla
sedia… i suoi denti battevano e gli occhi sembravano volergli uscire dalle
orbite.
‘Continui’, intimò con voce roca a Bedloe.
‘Per molti minuti’, continuò quest’ultimo, ‘il mio unico sentimento –
l’unica sensazione – fu di buio, di nullità con la consapevolezza della morte.
Successivamente sembrò che la mia anima fosse scossa da una violenta,
improvvisa scarica, come una scarica elettrica.
Quest’ultima la sentii – non la vidi. Poco dopo mi sembrò di alzarmi da
terra, ma non avevo una presenza corporea, visibile, udibile o palpabile. La
folla era sparita, il tumulto era cessato, la città era in relativa quiete. Al
mio fianco giaceva il mio cadavere, con la freccia nella tempia, e tutta la
testa molto gonfia e sfigurata. Tutte
queste cose io le sentivo, non le vedevo. Non mi interessava niente, perfino il
cadavere era un oggetto che non mi interessava. Non avevo alcuna volontà, mi
sembrava fossi costretto a muovermi e volteggiando nell’aria veleggiai fuori
della città, ripercorrendo il sentiero periferico attraverso il quale ero
entrato in essa.
Quando raggiunsi quel punto della gola in mezzo alle montagne, nel
quale avevo incontrato la iena, sentii nuovamente una scossa elettrica;
ritornarono le sensazioni del peso, della volontà, dell’esistere. Tornai ad
essere me stesso quale ero in origine e rivolsi i miei passi per tornare
rapidamente a casa… Ma il passato non aveva affatto perduto la vividezza della
realtà…. E nemmeno ora posso costringermi neanche per un istante a considerarlo
un sogno…’.
‘E non lo era’, disse Templeton con aria di grande solennità, ‘anche se
sarebbe difficile dire come possa essere definito altrimenti. Possiamo solo
supporre che l’anima dell’uomo è oggi alla soglia di stupende scoperte nel
campo della psiche. Contentiamoci di questa ipotesi; per il resto posso fornire
una qualche spiegazione. Ho qui un acquarello che avrei dovuto mostrarvi prima;
ma un comprensibile sentimento di orrore mi ha impedito finora di farlo’.
Esaminammo il quadro che ci presentava.
Non vidi in esso niente di straordinario, ma l’effetto che produsse su
Bedloe fu prodigioso. Nel vederlo quasi svenne. Eppure non era altro che un
ritratto in miniature – peraltro di una precisione miracolosa – che riproduceva
le sue notevolissime fattezze. Almeno questo è quello che pensai guardandolo.
‘Potete osservare’, disse Templeton, ‘la data di questo quadro, è qui
nell’angolo, appena visibile: 1780. E’ questo l’anno in cui il ritratto venne
eseguito. E’ il ritratto di un amico morto, il signor Oldeb, al quale mi ero
molto legato a vent’anni. Quando l’ho visto per la prima volta a Saratoga,
signor Bedloe, è stata proprio la prodigiosa rassomiglianza che aveva con il
ritratto che mi indusse ad avvicinarla, a ricercare la sua amicizia, e infine a
stringere quegli accordi che mi hanno portato a divenire il suo costante
accompagnatore.
Nella dettagliata esposizione di ciò che lei ha visto in mezzo alle
montagne, ha descritto fin nei minimi particolari la città indiana di Benares,
sul Fiume Sacro: i tumulti e il massacro furono eventi reali, io stesso facevo
parte del gruppo e feci tutto quello che potei per impedire l’avventata e
fatale sortita dell’ufficiale che cadde nel vicolo affollato, colpito dalla
freccia avvelenata…. Quell’ufficiale era il mio caro amico Oldeb….’.
Una settimana dopo questa conversazione, il seguente trafiletto apparve
su un giornale di Charlottesville:
Abbiamo il doloroso
compito di annunciarvi la morte del signor Augusto Bedlo, un gentiluomo le cui
amabili maniere e le molte virtù lo hanno reso molto caro ai cittadini di
Charlottesville. Il signor Bedlo, da alcuni anni soffriva di disturbi nervosi
che spesso hanno minacciato di rivelarsi fatali; ma questa circostanza può
essere considerata solo come causa indiretta del decesso. La causa diretta è
stata particolarmente singolare. Qualche giorno fa, in una escursione sulle
Ragged Mountains aveva peso un lieve raffreddore con febbre, seguito da un
notevole afflusso di sangue alla testa. Per ridurne gli effetti, il dottor
Templeon praticò un salasso locale applicando delle zecche-sanguisughe alle
tempie. In un lasso di tempo terribilmente breve il paziente morì, ci si
accorse allora che nel vaso contenente le zecche-sanguisughe era stata
introdotta, per disgrazia, una di quelle vermicolari velenose che si trovano di
quando in quando nei vicini stagni. ….
(E.A. Poe, Un racconto delle Ragged Mountains)
(E.A. Poe, Un racconto delle Ragged Mountains)
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