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Dio ride (1)
... Terra, e crediamo al cielo sulla testimonianza della Terra. Ogni parola del Filosofo, su cui ormai giurano anche i santi e i pontefici, ha capovolto l’immagine del mondo. Ma egli non era giunto a capovolgere l’immagine di Dio (nel suo ultimo lavoro Straniero al nostro sapere ha tentato qualcosa di simile…, ma con gli insegnamenti di Nazianzo abbiamo superato il difficile ostacolo, il nostro Primato è assicurato…). Se questo libro diventasse…. fosse diventato materia di aperta interpretazione, avremmo varcato l’ultimo limite’.
‘Ma cosa ti ha spaventato in questo discorso sul riso? Non elimini il
riso eliminando questo libro’.
‘No, certo. Il riso è la debolezza, la corruzione, l’insipidità della
nostra carne. E’ il sollazzo per il contadino, la licenza per l’avvinazzato,
anche la chiesa nella sua saggezza ha concesso il momento della festa, del
carnevale, questa polluzione diurna che scarica gli umori e trattiene da altri
desideri e da altre ambizioni…. Ma così il riso rimane cosa vile, per i
semplici, mistero dissacrato per la plebe. Lo diceva anche l’apostolo,
piuttosto di bruciare, sposatevi. Piuttosto di ribellarvi all’ordine voluto da
Dio, ridete e dilettatevi delle vostre immonde parodie dell’ordine, alla fine
del pasto, dopo che avete vuotato le brocche e i fiaschi.
Eleggete il re degli stolti, perdetevi nella liturgia dell’asino e del
maiale, giocate a rappresentare i vostri saturnali a testa in giù… Ma qui,
qui’… ora Jorge batteva il dito sul tavolo, vicino al libro che Gulielmo teneva
davanti, ‘qui si ribalta la funzione del riso, lo si eleva ad arte, gli si
aprono le porte del mondo dei dotti, se ne fa oggetto di filosofia, e di
perfidia teologica…. Tu hai visto ieri come i semplici possono concepire, e mettere
in atto, le più torbide eresie, disconoscendo e le leggi di Dio, e le leggi
della natura. Ma la chiesa può sopportare l’eresia dei semplici, i quali si
condannano da soli, rovinati dalla loro ignoranza.
La incolta dissennatezza di Dolcino e dei suoi pari non porterà mai in
crisi l’ordine divino. Predicherà violenza e morirà di violenza, non lascerà
traccia, si consumerà così come si consuma il carnevale, e non importa se
durante la festa si sarà prodotta in terra, e per breve tempo, l’epifania del mondo alla rovescia. Basta che
il gesto, non si trasformi in disegno, che questo volgare non trovi un latino
che lo traduca. Il riso libera il villano dalla paura del diavolo, perché nella
festa degli stolti anche il diavolo appare povero e stolto, dunque controllabile.
Ma questo libro potrebbe insegnare che liberarsi della paura del diavolo
è sapienza. Quando ride, mentre il vino gli gorgoglia in gola, il villano si
sente padrone (così come l’Eretico), perché ha capovolto i rapporti di
signoria: ma questo libro, potrebbe insegnare ai dotti artifici arguti con cui legittimare il capovolgimento. Allora si
trasformerebbe in operazione dell’intelletto e di cultura, la quale appartiene
ai lumi della nostra millenaria coscienza, coscienza la quale va’ debitamente
controllata e anche se ve ne fosse bisogno purgata o rimossa dal ventre del
villano quanto dell’Eretico.
Che il riso sia proprio dell’uomo è segno del nostro limite di
peccatori. Ma da questo libro quante menti corrotte come la tua trarrebbero
l’estremo sillogismo, per cui il riso è il fine dell’uomo! (Il riso distoglie
ed illumina sull’ipocrisia della vita, e peggio sugli ipocriti indegni che ne
mantengono privilegio e ricchezza, ma questo non lo posso dire perché questi i
cardini su cui si regge il mio Potere…). Il riso distoglie, per alcuni istanti
il villano dalla paura che deve avere, sempre avere nei nostri confronti, come
il rispetto e la devozione. Ma la legge si impone attraverso la paura il cui
nome vero è TIMOR DI DIO, e Dio non ride….
… E da questo libro potrebbe partire la scintilla luciferina che
appiccherebbe al mondo intero un nuovo incendio: e il riso si disegnerebbe come
specchio sul volto, del nostro volto celato, nascosto, camuffato…
Al villano quanto all’Eretico che ride dinanzi al nostro potere, o
dinanzi alla tortura, alla coscienza martoriata, all’oltraggio subito, all’idea
rubata, all’inganno arrecato, alla calunnia elevata ed istituzionalizzata, che
è in mio potere, non ha paura della morte. Sappi che noi viviamo dal sudore
grondante della fatica e della paura, altrimenti sarebbe la fine, e da questo
libro come da altri potrebbe nascere la nuova e distruttiva aspirazione a
distruggere la morte attraverso l’affrancamento della paura.
E cosa saremmo, allora, noi creature eternamente peccatrici, senza
quella paura distillata come miglior antidoto alla vita, su questo si reggono
regni millenari di Potere…. Sappilo Guglielmo affinché ti siano manifeste le
mie ragioni ed il secolare compito al Tempo e alla Storia……
(All’attenzione del ‘critico’ del presente post…: fu osservato, sia
dagli antichi quanto dai moderni, che un vero ‘critico’ ha una qualità in
comune con prostitute e politici: quella di non cambiare il proprio titolo o la
propria (limitata e limitante) natura. Un ‘critico’ anziano è stato sicuramente
un ‘critico’ giovane, essendo i perfezionamenti e le conquiste dell’età
soltanto l’affinamento di un talento giovanile (coltivato nei meandri della
melma), come accade alla canapa, che alcuni naturalisti ci dicono faccia male,
provocando soffocamento, anche se colta in germe. E io reputo che l’invenzione,
o almeno la raffinatezza dei prologhi, si debba a questi più giovani esperti,
citati di frequente e con onore da Terenzio, sotto il nome di MALEVOLI.
Ora è acclarato che l’istituzione del vero critico era di assoluta
necessità per la comunità del SAPERE. Perché tutte le azioni umane sono
suddivise per categorie, come Temistocle e la sua compagnia: c’è chi suonava il
violino o scriveva poesie, e chi trasformare un piccolo paese in una grande
città, e c’è chi non sa fare né l’uno né l’altro, e costui merita di essere
sbattuto fuori a calci. Onde evitare una simile sanzione, fu istituita dunque
la categoria dei ‘CRITICI’ E DEI ‘CALUNNIATORI’. Ne conseguì poi che i loro
detrattori segreti incominciarono a sostenere che il vero ‘critico’ fosse in
realtà una sorta di uomo meccanico, assemblato con un insieme di strumenti
adatti per il suo mestiere, ma di poca spesa, come un sarto.
Costoro trovarono anche molte analogie tra gli strumenti e le abilità
dei due: l’infernale cesta del sarto è simile al trito libro del ‘critico’,
mentre l’arguzia di questi e la sua erudizione sono simili al ferro del sarto,
e ci vogliono molti di questi per fare un dotto così come ci vogliono ‘molti
sarti (e loro compari)’… per fare un uomo (ed aggiungo io, un politico…).
Quindi il valore dell’uno e dell’altro si ritiene similare, e le loro armi
quasi della stessa portata….).
(U. Eco, Il nome della rosa; & J. Swift, Favola della botte)
(U. Eco, Il nome della rosa; & J. Swift, Favola della botte)
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