giuliano

lunedì 5 maggio 2014

DIO RIDE (2)
















































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Dio ride (1)













... Terra, e crediamo al cielo sulla testimonianza della Terra. Ogni parola del Filosofo, su cui ormai giurano anche i santi e i pontefici, ha capovolto l’immagine del mondo. Ma egli non era giunto a capovolgere l’immagine di Dio (nel suo ultimo lavoro Straniero al nostro sapere ha tentato qualcosa di simile…, ma con gli insegnamenti di Nazianzo abbiamo superato il difficile ostacolo, il nostro Primato è assicurato…). Se questo libro diventasse…. fosse diventato materia di aperta interpretazione, avremmo varcato l’ultimo limite’.
‘Ma cosa ti ha spaventato in questo discorso sul riso? Non elimini il riso eliminando questo libro’.
‘No, certo. Il riso è la debolezza, la corruzione, l’insipidità della nostra carne. E’ il sollazzo per il contadino, la licenza per l’avvinazzato, anche la chiesa nella sua saggezza ha concesso il momento della festa, del carnevale, questa polluzione diurna che scarica gli umori e trattiene da altri desideri e da altre ambizioni…. Ma così il riso rimane cosa vile, per i semplici, mistero dissacrato per la plebe. Lo diceva anche l’apostolo, piuttosto di bruciare, sposatevi. Piuttosto di ribellarvi all’ordine voluto da Dio, ridete e dilettatevi delle vostre immonde parodie dell’ordine, alla fine del pasto, dopo che avete vuotato le brocche e i fiaschi.




Eleggete il re degli stolti, perdetevi nella liturgia dell’asino e del maiale, giocate a rappresentare i vostri saturnali a testa in giù… Ma qui, qui’… ora Jorge batteva il dito sul tavolo, vicino al libro che Gulielmo teneva davanti, ‘qui si ribalta la funzione del riso, lo si eleva ad arte, gli si aprono le porte del mondo dei dotti, se ne fa oggetto di filosofia, e di perfidia teologica…. Tu hai visto ieri come i semplici possono concepire, e mettere in atto, le più torbide eresie, disconoscendo e le leggi di Dio, e le leggi della natura. Ma la chiesa può sopportare l’eresia dei semplici, i quali si condannano da soli, rovinati dalla loro ignoranza.
La incolta dissennatezza di Dolcino e dei suoi pari non porterà mai in crisi l’ordine divino. Predicherà violenza e morirà di violenza, non lascerà traccia, si consumerà così come si consuma il carnevale, e non importa se durante la festa si sarà prodotta in terra, e per breve tempo,  l’epifania del mondo alla rovescia. Basta che il gesto, non si trasformi in disegno, che questo volgare non trovi un latino che lo traduca. Il riso libera il villano dalla paura del diavolo, perché nella festa degli stolti anche il diavolo appare povero e stolto, dunque controllabile.




Ma questo libro potrebbe insegnare che liberarsi della paura del diavolo è sapienza. Quando ride, mentre il vino gli gorgoglia in gola, il villano si sente padrone (così come l’Eretico), perché ha capovolto i rapporti di signoria: ma questo libro, potrebbe insegnare ai dotti artifici arguti con cui legittimare il capovolgimento. Allora si trasformerebbe in operazione dell’intelletto e di cultura, la quale appartiene ai lumi della nostra millenaria coscienza, coscienza la quale va’ debitamente controllata e anche se ve ne fosse bisogno purgata o rimossa dal ventre del villano quanto dell’Eretico.
Che il riso sia proprio dell’uomo è segno del nostro limite di peccatori. Ma da questo libro quante menti corrotte come la tua trarrebbero l’estremo sillogismo, per cui il riso è il fine dell’uomo! (Il riso distoglie ed illumina sull’ipocrisia della vita, e peggio sugli ipocriti indegni che ne mantengono privilegio e ricchezza, ma questo non lo posso dire perché questi i cardini su cui si regge il mio Potere…). Il riso distoglie, per alcuni istanti il villano dalla paura che deve avere, sempre avere nei nostri confronti, come il rispetto e la devozione. Ma la legge si impone attraverso la paura il cui nome vero è TIMOR DI DIO, e Dio non ride….




… E da questo libro potrebbe partire la scintilla luciferina che appiccherebbe al mondo intero un nuovo incendio: e il riso si disegnerebbe come specchio sul volto, del nostro volto celato, nascosto, camuffato…
Al villano quanto all’Eretico che ride dinanzi al nostro potere, o dinanzi alla tortura, alla coscienza martoriata, all’oltraggio subito, all’idea rubata, all’inganno arrecato, alla calunnia elevata ed istituzionalizzata, che è in mio potere, non ha paura della morte. Sappi che noi viviamo dal sudore grondante della fatica e della paura, altrimenti sarebbe la fine, e da questo libro come da altri potrebbe nascere la nuova e distruttiva aspirazione a distruggere la morte attraverso l’affrancamento della paura.
E cosa saremmo, allora, noi creature eternamente peccatrici, senza quella paura distillata come miglior antidoto alla vita, su questo si reggono regni millenari di Potere…. Sappilo Guglielmo affinché ti siano manifeste le mie ragioni ed il secolare compito al Tempo e alla Storia……




(All’attenzione del ‘critico’ del presente post…: fu osservato, sia dagli antichi quanto dai moderni, che un vero ‘critico’ ha una qualità in comune con prostitute e politici: quella di non cambiare il proprio titolo o la propria (limitata e limitante) natura. Un ‘critico’ anziano è stato sicuramente un ‘critico’ giovane, essendo i perfezionamenti e le conquiste dell’età soltanto l’affinamento di un talento giovanile (coltivato nei meandri della melma), come accade alla canapa, che alcuni naturalisti ci dicono faccia male, provocando soffocamento, anche se colta in germe. E io reputo che l’invenzione, o almeno la raffinatezza dei prologhi, si debba a questi più giovani esperti, citati di frequente e con onore da Terenzio, sotto il nome di MALEVOLI.
Ora è acclarato che l’istituzione del vero critico era di assoluta necessità per la comunità del SAPERE. Perché tutte le azioni umane sono suddivise per categorie, come Temistocle e la sua compagnia: c’è chi suonava il violino o scriveva poesie, e chi trasformare un piccolo paese in una grande città, e c’è chi non sa fare né l’uno né l’altro, e costui merita di essere sbattuto fuori a calci. Onde evitare una simile sanzione, fu istituita dunque la categoria dei ‘CRITICI’ E DEI ‘CALUNNIATORI’. Ne conseguì poi che i loro detrattori segreti incominciarono a sostenere che il vero ‘critico’ fosse in realtà una sorta di uomo meccanico, assemblato con un insieme di strumenti adatti per il suo mestiere, ma di poca spesa, come un sarto.
Costoro trovarono anche molte analogie tra gli strumenti e le abilità dei due: l’infernale cesta del sarto è simile al trito libro del ‘critico’, mentre l’arguzia di questi e la sua erudizione sono simili al ferro del sarto, e ci vogliono molti di questi per fare un dotto così come ci vogliono ‘molti sarti (e loro compari)’… per fare un uomo (ed aggiungo io, un politico…). Quindi il valore dell’uno e dell’altro si ritiene similare, e le loro armi quasi della stessa portata….).

(U. Eco, Il nome della rosa;  &  J. Swift, Favola della botte)
















     

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