giuliano

venerdì 10 ottobre 2014

BESTIE DI PASSAGGIO (84)











































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Bestie di passaggio (83)

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Gente di passaggio: i protetti (e i ruffiani...) (85)














Per un momento ho pensato di......                             
raccontargli del bosco e della lupa magra, per mettergli paura, ma
tanto lui avrebbe detto che è solo il cinematografo della febbre, co-
sì sono rimasto rannicchiato e muto, e dopo poco il professore se 
n'è andato.
C'è la festa stasera, ha ripetuto prima di riaccostare la porta.
Difatti per tutto il pomeriggio c'è stato un gran trambusto, su e giù 
per le scale, nei corridoi, nelle stanze.
Sentivo trascinare mobili sul pavimento della sala, e anche accordi di 
chitarra, rullate di batteria, attacchi di canzoni ripetuti mille volte, gri-
da. 
Io non mi sono mai mosso da sotto al letto, tremavo accucciato sulle 
mattonelle fredde e pensavo a te Mimosa, a quando ti ho incontrata al 
bar davanti scuola, che avevi il giobbotto nero e in testa il colbacco pe-
loso di tua madre, le prime unghie aguzze, rosse, la peluria bionda ac-
canto alle orecchie, il viso lungo. 
Stavi da una parte, lontana dalle compagne e dai ragazzi, come una 
forestiera in una stazione. Ho sentito subito l'odore forte delle mestru-
azioni e della solitudine. 
Eri sola come me, Mimosa, per questo eri bella.
Verso sera la festa è partita decisamente: la musica era per ballare, e li 
immaginavo nella luce calata, tutti a fare le loro mossette con la bocca 
piena di patatine, noccioline, salatini, le scarpe nella coca cola rovescia-
ta, i professori che vergognosi e porci ballavano con le carine, toccando-
le sui fianchi: e i ragazzi grassi appoggiati al muro, con la sigaretta fis-
sa in bocca.
Ma sentivo anche il vento fischiare, fuori, raffiche tese, libere, e la neve 
che danza, che scende dal cielo e sale dalla terra, e le lepri che muovo-
no musi e orecchie sotto la luna.
Sono uscito dal mio nascondiglio e ho spalancato la finestra. Mi sembra-
va di essere dimagrito di venti chili, d'avere la pelle incollata ai muscoli 
e alle ossa, e una forza moltiplicata, scattante, tutta gomiti e ginocchia.
L'ho vista immediatamente, anche se era avvolta dall'ombra: stava sedu-
ta sul bordo del bosco, dritta come una sentinella, e mandava nell'aria il 
profumo dell'attesa.
Ha alzato la testa e un mugolio, è tornata a nascondersi tra gli alberi.
Mimosa, non sai come correvo sulla neve, che balzi in avanti: il deside-
rio mi trasformava e non ero più malato, non ero più io. 
La lupa appariva tra i tronchi, s'allontanava, s'avvicinava, stringeva il 
cerchio attorno a me. 
Potevo sentire il suo affanno, e lei il mio.
Mi sono messo a quattro zampe per farle capire che ero come lei.
E per lei, Mimosa, ho ricoperto la mia pelle d'un pelo ispido, ho estrat-
to la coda dal dorso e ho sospinto in avanti il muso, ho affilato i denti e 
drizzato le orecchie, ho ululato alla luna. 
E la lupa mi è strisciata contro, calda e tesa, ha mescolato il suo fiato 
fumante al mio, mi ha accettato. Abbiamo galoppato inseme tutta la not-
te, fino sui monti più alti, spalla a spalla. 
Per lei ho ucciso un animaletto. Scappava in diagonale nel campo, ma 
l'ho raggiunto in un attimo e l'ho azzannato: il sangue mi colava sul col-
lo e nella bocca, sentivo le convulsioni finali di quella bestiolina, le zam-
pette che s'agitavano nell'aria, gli squittii, e poi era solo carne da offrire 
alla mia lupa.
Abbiamo bevuto la neve e giocato a rotolarci giù da un pendio: io l'ho 
morsa dietro le orecchie, non troppo forte. Quello che lei mi diceva, io 
lo capivo, storie di uomini con il fucile, di terrore, ferite, nascondigli, 
buche, solitudine, e altre parole che ora mi vagano nella testa come i 
sogni quando sono svaniti.
Ci siamo accoppiati all'alba, rapidamente, sul bordo di un lago ghiac-
ciato, con un vento furibondo che ci sollevava il pelo. Ma dentro di lei 
s'apriva una notte umida, sospirosa, la prima notte del mondo, e io ho 
sentito le stelle che mi uscivano dal corpo e entravano nel suo, come 
da cielo a cielo. 
Con i fianchi obbedivamo a qualcosa di più grande di noi, la forza che 
ci teneva avvinghiati era quella che solleva le maree e le foreste, che 
inghiotte le navi e i vecchi. Ma quando ci siamo staccati, lei mi ha gira-
to uno sguardo pieno di indifferenza: ho provato a leccarla sul muso e 
m'ha ringhiato con i denti lucidi, è andata via per sempre.
Tra me e lei s'è alzato un volo di corvi, centinaia di punti neri che grac-
chiando strappavano l'aria.....
Questo è successo, anche....

(Marco Lodoli, Cani e lupi)
















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