Precedenti capitoli:
Prosegue con...:
C'èra una volta o un Tempo passato (14)
Le teste, appunto.......
Voi certo non immaginate (né io l'immaginavo) che le teste degli attori di legno possano
dare ai fratelli Lupi assai più pensieri che non ne diano ai capocomici le teste degli atto-
ri in carne ed ossa.
Ed è così, poiché essi vogliono una rassomiglianza perfetta nelle teste dei personaggi il-
lustri, morti o vivi che siano, e in quelle di tutti gli altri una corrispondenza rigorosa della
fìsonomia col carattere; e non è cosa facile agli artisti il soddisfare a una tale esigenza at-
tenendosi ad un tempo all'esagerazione dei lineamenti voluta dall'ottica teatrale, senza
spinger neppure questa esagerazione oltre il limite d'una caricatura discreta.
Le teste, appunto.......
Voi certo non immaginate (né io l'immaginavo) che le teste degli attori di legno possano
dare ai fratelli Lupi assai più pensieri che non ne diano ai capocomici le teste degli atto-
ri in carne ed ossa.
Ed è così, poiché essi vogliono una rassomiglianza perfetta nelle teste dei personaggi il-
lustri, morti o vivi che siano, e in quelle di tutti gli altri una corrispondenza rigorosa della
fìsonomia col carattere; e non è cosa facile agli artisti il soddisfare a una tale esigenza at-
tenendosi ad un tempo all'esagerazione dei lineamenti voluta dall'ottica teatrale, senza
spinger neppure questa esagerazione oltre il limite d'una caricatura discreta.
Vi
furono in questo genere due scultori genovesi, i
fratelli Pittaluga, morti da circa trenta
anni,
valenti tanto, che molte delle teste fatte da
loro servono ancora di modello e son ri-
prodotte, con poche modificazioni, in centinaia di esemplari. Ma altre moltissime debbo-
no esser fatte d'immaginazione, e non riuscendo alla prima, rifatte, e fino a tre o quattro
volte rimodellate in creta, prese nel gesso, gittate in cartapesta, colorite a olio, con cura
e fatica infinita di chi le ordina e di chi le forma.
E così negli scenari, dopo il vecchio Morgari, che fu insuperabile, son rari i pittori che
ottengano gli effetti speciali voluti da certe rappresentazioni fantastiche d'un teatro di
marionette.
prodotte, con poche modificazioni, in centinaia di esemplari. Ma altre moltissime debbo-
no esser fatte d'immaginazione, e non riuscendo alla prima, rifatte, e fino a tre o quattro
volte rimodellate in creta, prese nel gesso, gittate in cartapesta, colorite a olio, con cura
e fatica infinita di chi le ordina e di chi le forma.
E così negli scenari, dopo il vecchio Morgari, che fu insuperabile, son rari i pittori che
ottengano gli effetti speciali voluti da certe rappresentazioni fantastiche d'un teatro di
marionette.
E per
il vestiario e per tutto ciò che vi si
connette è il medesimo: è diffìcile trovar lavo-
ratori che abbiano l'abilità e il buon volere di far degli stivali minuscoli perfetti in ogni
loro parte, delle scarpettine di signora lunghe quanto un dito, delle parrucche grandi
come la mano, brizzolate, architettate, disordinate con arte, e una quantità innumere-
vole di piccoli oggetti, come parasoli, panierini, portafogli, valigette, attorno a cui le
dita più agili e più delicate si stancano e s'impazientano. E ad ogni nuova produzione
spettacolosa c'è un esercito d'attori, d'attrici, di comparse grandi e piccole da vesti-
re, calzare, incappellare, armare e ingioiellare, secondo l'uso di vari tempi e paesi,
consultando album di costumi, studiando quadri, facendo ricerche di figurini, utiliz-
zando vestiari smessi; di modo che non bastano all'opera la signora Lupi e le sue fi-
gliuole, e vi s'aggiungono modiste e altre collaboratrici, e qualche volta per un solo
spettacolo dura il lavoro per un mese intero. Durante il quale è bellissimo a vedere
il laboratorio, dov'è uno sfoggio di manti regali, di strascichi di dame, di sottanine
ratori che abbiano l'abilità e il buon volere di far degli stivali minuscoli perfetti in ogni
loro parte, delle scarpettine di signora lunghe quanto un dito, delle parrucche grandi
come la mano, brizzolate, architettate, disordinate con arte, e una quantità innumere-
vole di piccoli oggetti, come parasoli, panierini, portafogli, valigette, attorno a cui le
dita più agili e più delicate si stancano e s'impazientano. E ad ogni nuova produzione
spettacolosa c'è un esercito d'attori, d'attrici, di comparse grandi e piccole da vesti-
re, calzare, incappellare, armare e ingioiellare, secondo l'uso di vari tempi e paesi,
consultando album di costumi, studiando quadri, facendo ricerche di figurini, utiliz-
zando vestiari smessi; di modo che non bastano all'opera la signora Lupi e le sue fi-
gliuole, e vi s'aggiungono modiste e altre collaboratrici, e qualche volta per un solo
spettacolo dura il lavoro per un mese intero. Durante il quale è bellissimo a vedere
il laboratorio, dov'è uno sfoggio di manti regali, di strascichi di dame, di sottanine
di
danzatrici, di divise di guerrieri, una profusione di
piccole cose strane, graziose
e pompose, un barbaglio di colori e di splendori, da impazzirci un collegio di bam-
bine e uno sciame di gazze.
e pompose, un barbaglio di colori e di splendori, da impazzirci un collegio di bam-
bine e uno sciame di gazze.
Tutta
la famiglia Lupi lavora al teatro: i due fratelli
e la moglie e i figliuoli del primo:
quattro maschi e tre ragazze, di cui due fra i diciannove e i ventidue anni. E biso-
gna vederli tutti là, tranne i due più piccoli, appollaiati sul ponte, appoggiatoio, co-
me lo chiamano, sovrastante al palcoscenico, durante la rappresentazione.
quattro maschi e tre ragazze, di cui due fra i diciannove e i ventidue anni. E biso-
gna vederli tutti là, tranne i due più piccoli, appollaiati sul ponte, appoggiatoio, co-
me lo chiamano, sovrastante al palcoscenico, durante la rappresentazione.
Ecco
il soggetto d'un quadro originale per un pittore
ardito. La prima volta che,
stando sul palco, vidi di profilo quelle otto teste d'uomini e di donne, l'una dietro
l'altra, sporgenti da quella specie d'inginocchiatoio aereo, illuminate di sotto in su,
ora parlanti ad una ad una, o tutte insieme, con ogni sorta di sforzi violenti delle lab-
bra e di strane intonazioni di voce, da quella di basso cavernoso a quella di soprano
stando sul palco, vidi di profilo quelle otto teste d'uomini e di donne, l'una dietro
l'altra, sporgenti da quella specie d'inginocchiatoio aereo, illuminate di sotto in su,
ora parlanti ad una ad una, o tutte insieme, con ogni sorta di sforzi violenti delle lab-
bra e di strane intonazioni di voce, da quella di basso cavernoso a quella di soprano
in
falsetto, mentre le sedici mani movevano con
un centinaio di fili una folla di per-
soncine di sotto, mi parve di vedere una famiglia di numi sorretti da una nuvola che
dirigessero le faccende e si pigliassero spasso d'una piccola umanità agitantesi so-
pra il polo d'un asteroide.
soncine di sotto, mi parve di vedere una famiglia di numi sorretti da una nuvola che
dirigessero le faccende e si pigliassero spasso d'una piccola umanità agitantesi so-
pra il polo d'un asteroide.
Ma
riconobbi subito che il fare i numi a quel modo
non doveva essere una delizia.
Stare delle ore in quell'atteggiamento contratto, col caloredi tutti quei lumi nel viso,
forzare e variare continuamente la voce, lavorando a un tempo con le dieci dita e
consultando con lo sguardo obliquo il copione posto nel mezzo che fa l'ufficio di
suggeritore, e mentre si parla e s'opera in alto vigilare e dar ordini a chi lavora in
Stare delle ore in quell'atteggiamento contratto, col caloredi tutti quei lumi nel viso,
forzare e variare continuamente la voce, lavorando a un tempo con le dieci dita e
consultando con lo sguardo obliquo il copione posto nel mezzo che fa l'ufficio di
suggeritore, e mentre si parla e s'opera in alto vigilare e dar ordini a chi lavora in
basso
e ruzzolare e arrampicarsi ogni momento per
un rompicollo di scaletta da
bastimento quasi verticale, è una fatica da ammazzare anche dei numi.
Non mi maravigliai, quando calò la tela, di vederli scendere dall'Olimpo, in mani-
che di camicia e con le braccia nude, bagnati di sudore e anelanti, come scendono
gli acrobati dai trapezi. E allora soltanto m'accorsi che le due signorine portavano
un vestito maschile, camicino e calzoni di traliccio grigio, che le facevano parere
due operai; ma due operai dai quali il più terribile capo fabbrica avrebbe tollerato
bastimento quasi verticale, è una fatica da ammazzare anche dei numi.
Non mi maravigliai, quando calò la tela, di vederli scendere dall'Olimpo, in mani-
che di camicia e con le braccia nude, bagnati di sudore e anelanti, come scendono
gli acrobati dai trapezi. E allora soltanto m'accorsi che le due signorine portavano
un vestito maschile, camicino e calzoni di traliccio grigio, che le facevano parere
due operai; ma due operai dai quali il più terribile capo fabbrica avrebbe tollerato
qualunque
infrazione al regolamento, sostituendo dei
sorrisi alle multe.
Ma il dietro scena d'un teatro di marionette, per chi ci sale la prima volta, è pieno
di altre sorprese piacevoli. Stando accanto alle quinte mi veniva fatto di scansarmi
con un leggiero inchino, come si fa con le attrici vive, ogni volta che usciva di sce-
na una signora, e rimanevo poi stupito al vederla tutt'a un tratto sollevarsi in aria,
invece d'andare al suo camerino, e restarmi appesa in faccia come un salcicciotto.
E così avevo un'illusione amenissima al veder tra le quinte del lato opposto una
delle signorine Lupi che dava gli ultimi ritocchi all'abbiglìamento dei personaggi
prima che si presentassero al pubblico, accomodando a uno una spilla, stirando
a un altro il vestito, aggiustando a un terzo il cappello, come si fa ai bambini filo-
drammatici, con atti lesti e carezzevoli, a cui quelli rispondevano, appunto come
i bambini, con gesti che parevano d'impazienza, mossi dalla mano irrequieta che li
reggeva dall'alto.
Ma il dietro scena d'un teatro di marionette, per chi ci sale la prima volta, è pieno
di altre sorprese piacevoli. Stando accanto alle quinte mi veniva fatto di scansarmi
con un leggiero inchino, come si fa con le attrici vive, ogni volta che usciva di sce-
na una signora, e rimanevo poi stupito al vederla tutt'a un tratto sollevarsi in aria,
invece d'andare al suo camerino, e restarmi appesa in faccia come un salcicciotto.
E così avevo un'illusione amenissima al veder tra le quinte del lato opposto una
delle signorine Lupi che dava gli ultimi ritocchi all'abbiglìamento dei personaggi
prima che si presentassero al pubblico, accomodando a uno una spilla, stirando
a un altro il vestito, aggiustando a un terzo il cappello, come si fa ai bambini filo-
drammatici, con atti lesti e carezzevoli, a cui quelli rispondevano, appunto come
i bambini, con gesti che parevano d'impazienza, mossi dalla mano irrequieta che li
reggeva dall'alto.
E
mentre vari personaggi agivano alla ribalta, mi
pareva che ragionassero davvero
degli affari propri, come fanno gli attori fra due battute, quei due altri più piccoli che
le altre due ragazze, voltate dalla parte interna dell'appoggiatoio, facevano passeg-
giare e gestire pacatamente in fondo al palco, per dar vita alla scena.
degli affari propri, come fanno gli attori fra due battute, quei due altri più piccoli che
le altre due ragazze, voltate dalla parte interna dell'appoggiatoio, facevano passeg-
giare e gestire pacatamente in fondo al palco, per dar vita alla scena.
E
quella confusione che si vedeva lungo i muri, in
una mezza oscurità, di personag-
gi della commedia che stava per finire e dello spettacolo coreografico che stava per
cominciare, di ballerine, di mime, di dame scollate, di marionette in giubba e in uni-
forme, con la tuba e con l'elmo, e di comparse di ogni età e d'ogni statura, mi dava
quasi l'illusione di trovarmi sul palcoscenico di un grande teatro quando finisce l'o-
pera e sta per cominciare il ballo.
C'era solo questa differenza, che nella mia qualità di consigliere comunale, com'ero
allora, non potevo trovare là nessun argomento che mi servisse a combattere in no-
me della moralità la dotazione del Teatro Regio. Ma per conoscere a pieno le fati-
che dell'arte e la valentia della famiglia Lupi bisogna vederla all' opera in una gior-
nata campale.
Lo spettacolo, in tal caso, è assai più grandioso e terribile osservato dalle scene
gi della commedia che stava per finire e dello spettacolo coreografico che stava per
cominciare, di ballerine, di mime, di dame scollate, di marionette in giubba e in uni-
forme, con la tuba e con l'elmo, e di comparse di ogni età e d'ogni statura, mi dava
quasi l'illusione di trovarmi sul palcoscenico di un grande teatro quando finisce l'o-
pera e sta per cominciare il ballo.
C'era solo questa differenza, che nella mia qualità di consigliere comunale, com'ero
allora, non potevo trovare là nessun argomento che mi servisse a combattere in no-
me della moralità la dotazione del Teatro Regio. Ma per conoscere a pieno le fati-
che dell'arte e la valentia della famiglia Lupi bisogna vederla all' opera in una gior-
nata campale.
Lo spettacolo, in tal caso, è assai più grandioso e terribile osservato dalle scene
che visto dalla platea.
Già è bellissimo veder gli apprestamenti della
battaglia: le
masse d'armati raccolti nell'oscurità, rotta
dai lampi delle baionette e delle lance;
i cavalieri appostati dietro le quinte, come alla vedetta; i muli carichi di munizioni
che
s'allungano in ala ai due lati del palco; i comandanti
con la spada sguainata
che aspettano dalle
due parti il gran momento, coi grandi occhi
sporgenti e fissi
davanti a sé, come spianti il
doppio mistero dell'orizzonte e della morte.
Quando
l'istante solenne è vicino, i direttori danno
gli ultimi consigli, lanciano gli
ordini supremi.
Le truppe son pronte?
Pronte.
I cannoni sono
in batteria?
Le miccie sono accese?
Sì.
E allora avanti e Dio ci guardi!
Le avanguardie
scambiano le prime fucilate, i primi cavalieri
scaramucciano, i primi
feriti battono il
capo di cartapesta sul palco, e giacciono irrigiditi; ma alcuni
per rial-
zarsi tra poco più indemoniati
di prima. Dietro le scene uno batte la
grancassa per
imitare il tuono del cannone, un
altro dà nella tromba, un terzo muove la macchina
che fa correre in lontananza un reggimento, un
quarto galoppa intorno al palco ac-
cendendo
i razzi fìssi alle quinte che rendono lo
strepito del fuoco di fila.
I
ferri si scaldano: sul palco è un succedersi tumultuoso
di mischie feroci, un coz-
zar di teste e dì
petti, un grandinar di colpi, un mucchio di lame,
un incalzar di ca-
valli accorrenti, di
muli, di cannoni e di mitragliatrici che precipitano dai
ponti e dal-
le rocce, con un fracasso d'inferno;
e mentre su, sull'appoggiatoio, i
fratelli Lupi,
coi figliuoli, agitano le braccia furiosamente
cacciando urli, minacce, gemiti, grida
di soccorso, frammiste a comandi e ad avvertimenti
concitati agli aiutanti di sotto;
questi
e le ragazze, con una rapidità fulminea in
cui ogni atto è preciso, ogni passo
misurato, ogni
secondo contato, corrono e ricorrono fra
le quinte e le pareti, stac-
cano le marionette, le
porgono, le riprendono, le riappendono, le riporgono,
rac-
cattando di volo armi, elmi, giberne, bandiere,
turbinando come fantasmi in una
nu-
E quando credete che il pandemonio stia
per finire, non è che un artificio per cre-
scer l'effetto:
la battaglia riattacca più ardente, raffittisce
il foco, raddoppiano i lam-
pi, s'addensa il
fumo, s'accelera il turbinio; ai fragori del palcoscenico s'uniscono
i
clamori della platea, con gli
urli d'ira dei combattenti si confondono le grida
di entu-
siasmo dei ragazzi; è una farsa febbrile
e crescente d'uomini che salgono e che scen-
dono,
di lumi che girano, di marionette che volano,
di fili dì ferro che s'incrocian per
aria, è un
moto vertiginoso di ombre, di bagliori, di teste,
di braccia, dì attrezzi, una
tempesta di schianti,
di tonfi e di strida, una nebbia fitta, un
rovinìo, un casa del dia-
volo che, quando cala
la tela e tutto si quieta, vi lascia sbalorditi, intronati
come all'-
uscir da un manicomio dove siano
scoppiati insieme una ribellione e un incendio.
Ma
più d'ogni spettacolo è divertente l'esame del personale artistico.
La prima cosa che mi
stupì, quando visitai per la prima volta il palco
scenico, fu la
statura dei personaggi, che visti
dalla platea paiono poco più alti d'un palmo,
e son
E mi
meravigliò l'esattezza minuziosa, perfin superflua,
dei vestimenti. Non crediate
che sian fatti
soltanto per ingannar l'occhio da lontano, che
possono affrontar l'anali-
si della lente. Ecco, per
esempio, un povero diavolo di vagabondo: egli
è vestito dì
panni logori, pieni di sbrani, di
rimendature, di toppe, di macchie d'unto, spelati
ai
gomiti e coi bottoni che ciondolano, e ha
la cravatta a corda, la camicia di tela rozza
e rugosa, le scarpe acciabattate e crepate.
Il
signore elegante ha il solino di moda, i
bottoncini d'oro ai polsini e allo sparato, e
la catenella
dell'orologio che gli pende dal taschino della
sottoveste. C'è un vecchio
medico intabaccato, con
un cappello cilindrico che mostra dieci
anni di servizio, gli
occhiali sulle orecchie, e una
palandrana d'un color di ragno arrabbiato,
che farebbe
venir l'acquolina in bocca
a Ermete Novelli.
Ma le più belle son le signore,
vestite secondo l'ultimo figurino, con un
gusto squisito,
dai fiori del cappellino agli stivaletti,
che son piccole meraviglie, con spille, orecchini,
anelli, borsa, ventagho, con capelli veri,
pettinati all'usanza del giorno, che si ravviano
col pettine al momento dell'andata in scena,
con le sottanine ricamate e insaldate, perc-
hè,
se segue un accidente impudico, il pubblico veda
che son vestite di tutto punto, da
Nessun commento:
Posta un commento