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Interventi (8)
Prosegue ancora
al Completo, ovvero, fino
ad esaurimento scorte [10]
Prosegue con note
& a caccia di noi Lupi (12/3)
Oro avverso
alla lingua mannaia del sano palato, bocca del più intonato grammaticato…
composto strano nobile verso infierire, quantunque sempre un poco alla ‘tavola’
masticato e da una preghiera ringraziato nonché omaggiato.
Giacché fu
a loro donato come Comandamento:
‘va! Saccheggia il mondo intero, e divora ogni
immonda Bestia a tempo pieno, senza più creato e peccato haver commesso’.
L’estinzione
d’ogni Elemento come un fulmine a ciel sereno ogni tanto rimembra e ravviva la
Ragion persa del ‘mostro’: vaga come un prometeico Golem a caccia del suo
Signore e padrone.
Di colui
che lo havea creato più bestia che umano!
Tutto ciò al rogo o alla mannaia del camino, allieta il ricco palato accompagnato dal fedele disgraziato ubriaco, con l’intero Teatro esposto al periglioso fuoco nemico, di colui cioè, che di noi si vuol cibar con un sol boccone, come il pluridecorato cuoco detto Mangiafuoco, la più nota osteria del rione.
Il
miglior Teatro meccanico& di prosa, che sia aperto in ogni stagione, è il Teatrino
Meccanico dei Cardinali.
Mi direte che non vi si recita mai prosa.
Per questo è il miglior Teatro di prosa!
Quel Teatrino è una meraviglia: nella Compagnia il solo fatto un po’ comune è che non ci è un attore, il quale sappia parlar italiano. Ciò accade in quasi tutte le nostre Compagnie drammatiche. Mi diceva il proprietario del Teatrino Meccanico:
‘I miei attori sono di ferro. Li potreste far
muovere con ogni calamita: solo quella de’ guadagni o dell’ambizione li muovono
come Prometeo! Resistono a ogni fatica; ce ne sono di quelli che, da quarant’anni,
vengono ogni sera su la scena: e non sono ne ridicoli né commendatori, né
esigenti, ne noiosi. Li vedete sempre freschi, specialmente quando sono stati
tinti da poco. L’esser tinti è una loro debolezza, una delle poche, le quali
abbiano comuni con i più grandi attori!’.
Lo
ascoltavo questo filosofo: e, con la mia attitudine, lo incoraggiavo a parlare.
Levando dal palchetto di uno scaffale una figurina, le cui giunture cigolavano,
disse:
‘Ecco la mia prima donna: ha viaggiato con me in
Francia, in Spagna, in Germania, in Inghilterra, in Italia. Non mi ha mai
costretto a chiuder il Teatro una sera per indisposizione. Ha carattere e
viscere di ferro!’.
E continuava a andar qua e là, carezzando or questo or quello de’ suoi minuscoli attori.
‘Tutta brava gente, e che posso assicurarvi, non
m’ha dato mai un dispiacere! Ciascuno di loro è contento della sua sorte: se
una sera, alla rappresentazione, uno è applaudito più dell’altro, non c’è caso
che ritornino tra le quinte con l’idea di mangiarsi gli uni agli altri l’accresciuto
naso.... Ma lo avete sentito il più bravo detto il Drago? Lo avete ascoltato
all’ultima Prima del Teatro? Alla comunione senza liberazione alcuna, ovvero,
rimpianta castigata Gerusalemme, ed hora celebrata anche alla Scala, giacché il
Duomo infortunato. Così interpretata piangeva per il nobile suo successore, con
impareggiabile scena che il palco quasi delirava alla Borsa di Amleto suo vero
proprietario. Dopo la banca un nuovo Tempio. Non c’è tra essi chi voglia
insegnare allo Shakespeare la letteratura drammatica, al Bismark la politica,
ai letterati la critica, ai credenti la buona Fede’.
Quel teatrino è un mondo in piccolo, e un mondo che desta la più spontanea ammirazione.
Per
esempio, siamo al temporale. Vedete come il vento agita tutto all’intorno, con
quanta naturalezza tutto è studiato; eccovi il brav’uomo col suo ombrello in
mano, che lotta col temporale, e il fiotto del vento che rovescia l’ombrello:
ad un altro porta via di testa il cappello. È curioso vedere andare, tornare
indietro uomini donne, curioso vedere il cacciatore che spara un colpo, il
fuoco che scintilla, e il cane che corre…
A tal
proposito voglio hora ravvivare la memoria di così nobile cacciatore con un
componimento antico a lui dedicato…
Cinque
compagni un giorn’ andorn’ a caccia,
E questi
furno, se ben mi raccordo,
Un senza
piedi, un muto, un ciec’ e un sordo,
Ed un che
li mancava ambi le braccia.
E mentre
ogn’un di questi si procaccia
L’un più de
l’altro a la campagna, ingordo,
Cercando
non da pazzo o da balordo
Ma da bon
cacciator che si procaccia.
Ecco, for
da un cespuglio appresso un fosso
Una lepre
smarrita ferma stare,
Tal ch’ li
andorno tutti cinqui addosso.
Il sordo
prima udì perché squassava
Le foglie
ov’era ascosa la meschina,
E che
tacess’ ogn’un così parlava.
Ma il cieco
che guardava
La vide che
fuggir facea pensiero,
E il muto
gridò forte: “Cavaliero!”
Ond’essa
sul sentiero
Sbalzò
fuggendo lieve com’un vento,
Ma il zoppo
a seguitarla non fu lento,
E in passi
più di cento
La giunse,
perché il can l’aveva uccisa,
Onde
ciascun crepava dalle risa.
E in più
parte divisa
La
miserabil lepre in quella caccia
Di bocca a
il can la tolse il senza braccia.
Hor parmi
che si faccia
Un
consiglio fra lor senza tardare,
A chi di
lor la lepre abbia toccare.
Dice il
sordo: “Mi pare
Ch’ella
debba esser mia senz’altro dire,
Perché di
voi fui il primo a udire.”
“Tu te ne
poi mentire”,
Disse il
cieco, “E la è mia di ragione,
Perché
prima la vidi nel macchione”.
“Ed io farò
questione”,
Rispose il
muto, “Se a me non la dai,
Che il
primo fui che ‘cavalier!’ gridai”.
“S’io corsi
e la pigliai”,
Soggiuns’
il zopp’ con voce umil e pia,
“Perché non
deve dunqu’ ella esser mia?
Questa non
è bugia,
Che se voi
stavi saldi, i’ sol voleva
Correrli
dietro, s’ella non fuggeva”.
Il monchin
poi diceva:
“Che state
a contrastare, oh voi, se tocca
A me,
perché la tolsi al can di boccha.
E vo’ con
quatte broccha
Cucinarmela,
e poi da noi mangiata
Sarà la
meschinella, s’a voi quata”.
All’hor con
faccia irata
Replicò il
sordo: “Ella è mia senza dolie,
Perché
prima l’udì fra quelle folie.”
E con
maligne voglie,
Voltossi
con molt’ira al senza braccia
E lui li
diede un pugno su la faccia.
Il cieco, a
tal minaccia,
Vedend’ i
doi compagni in quella stretta,
Disse col
zoppo: “Andiam a far vendetta.”
All’hora
con gran fretta
Il zoppo
corse e seco si mischiava,
E insieme
ciaschedun si pettenava.
E ben forte
gridava il muto
Col dire:
“Aiuto! Aiuto!”,
Onde un
villan fu a quel rumor ridutto,
Qual,
essendo venuto
Fori d’un
bosco con il suo bastone,
Gridando:
“Perché fate voi questione?”
Ma, avendo
la tenzone
Udita di
costor, e lor sermone,
Si risolse
di far a quei ragione,
E levando
il bastone
Incominciò
con impeto e ruina
A dare a
ciaschedun su per la schina,
E poi, con
tal rovina,
Gridò:
“Fermate! Che con questo legno
Over darete
a me la lepre in pegno”.
E quei, con
poc’ ingegno,
Gli dan la
lepre in mano, oh che pazzia,
Esso la
tolle e poi si fuggi via,
Onde con
pena ria
Lasciò
quelli scherniti e star in forsi,
E d’aspettarl’
ogn’uno si risolse.
Ma poi ogn’un
si tolse
Di villa e
ritornaron senza caccia,
Il senza
piedi, il mut’, il cieco e il sordo,
E quel che li mancava ambi le braccia.
(G.C.C)
[Prosegue con il capitolo quasi al completo...]
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