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Circa la 'psicologia del[le] folle'
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Nella enumerazione dei fattori capaci di impressionare l’anima delle folle potremmo fare a meno di nominare la ragione, se non fosse necessario indicare il valore negativo della sua influenza.
Abbiamo già dimostrato che le folle non sono influenzabili coi ragionamenti, e non comprendono che grossolane associazioni di idee. Gli oratori che sanno impressionarle, non fanno mai appello alla loro ragione, ma ai loro sentimenti.
Le leggi della logica razionale non hanno nessun potere sulle folle.
Per convincere le folle, bisogna prima rendersi ben conto dei sentimenti da cui sono animate, fingere di condividerli, poi tentare di modificarli, provocando, per mezzo di facili associazioni, certe immagini suggestive, saper tornare - al bisogno - sui propri passi, e soprattutto indovinare in ogni momento, i sentimenti che si suscitano. La necessità di variare il proprio linguaggio secondo l’effetto prodotto nel momento in cui si parla, rende inefficaci i discorsi preparati e studiati. L’oratore, seguendo il suo pensiero e non quello dell’uditorio, perde soltanto per questo, tutta l’influenza.
Gli spiriti logici, abituati alle concatenazioni dei ragionamenti un po’ serrati, non possono far a meno di ricorrere a questo metodo di persuasione quando si rivolgono alle folle, e poi restano sempre sorpresi della mancanza di effetto dei loro argomenti.
Le conseguenze matematiche usuali fondate sul sillogismo, vale a dire su associazioni d’identità, scrive un logico, sono necessarie. La necessità porterebbe all’assentimento di una massa inorganica, se questa fosse capace di seguire delle associazioni di identità.
Certamente; ma la folla, come la massa inorganica, è incapace di seguirle, e di capirle. Cercate di convincere con dei ragionamenti degli spiriti primitivi, selvaggi o fanciulli, ad esempio, e vi renderete conto del debole valore che possiede questo modo di argomentare.
E non c’é neanche bisogno di discendere fino agli esseri primitivi per constatare la completa impotenza dei ragionamenti quand’essi devono lottare con dei sentimenti. Rammentiamoci semplicemente quanto sono state tenaci, per lunghi secoli, alcune superstizioni religiose, contrarie alla più semplice logica. Per quasi duemila anni, i geni più luminosi sono stati piegati sotto le loro leggi, e fu necessario arrivare ai tempi moderni perché la loro verità abbia potuto essere soltanto contestata.
Il Medioevo e il Rinascimento possederono molti grandi uomini; e non ne hanno posseduto uno solo al quale il raziocinio abbia mostrato i lati infantili di tali superstizioni e che abbia fatto sorgere il più lieve dubbio sui misfatti del diavolo o sulla necessità di bruciare gli stregoni.
C’è da dolersi che la ragione non sia la guida delle folle?
Non oseremmo dirlo.
Senza dubbio, la ragione umana non sarebbe riuscita a trascinare l’umanità sulle vie della civiltà con l’ardore e l’arditezza con cui l’hanno sollevata le sue chimere. Figlie dell’incosciente che ci guida, tali chimere erano probabilmente necessarie.
Ogni razza porta nella sua costituzione mentale le leggi dei suoi destini, e forse obbedisce a queste leggi per un ineluttabile istinto, perfino negli impulsi apparentemente più irragionevoli. Pare talvolta che i popoli siano sottomessi a forze segrete analoghe a quelle che obbligano la ghianda a trasformarsi in quercia o la cometa a seguire la sua orbita.
Lasciamo dunque la ragione ai filosofi, ma non le chiediamo troppo di intervenire nel governo degli uomini.
Non con la ragione, ma, spesso, nonostante essa, si sono creati sentimenti come l’onore, l’abnegazione, la fede religiosa, l’amore della gloria e della patria, che sono stati fin qui i grandi suscitatori di tutte le civiltà.
Non appena un certo numero di esseri viventi sono riuniti, si tratti d’un branco di animali o di una folla d’uomini, si mettono istintivamente sotto l’autorità di un capo, cioè di una guida.
Nelle folle umane, il caporione ha una parte notevole.
La sua volontà è il nodo intorno a cui si formano e si identificano le opinioni. La folla è un gregge che non potrebbe far a meno di un padrone. Il condottiero quasi sempre è stato prima un fanatico ipnotizzato dall’idea di cui in seguito s’è fatto apostolo. Quest’idea ha talmente invaso che tutto sparisce all’infuori di essa, e tutte le opinioni contrarie gli sembrano errori e superstizioni. Così Robespierre, ipnotizzato dalle sue chimeriche idee, e che adoperò i procedimenti dell’Inquisizione per propagarle.
I trascinatori di folle, il più delle volte, non sono intellettuali, ma uomini d’azione. Sono poco chiaroveggenti, e non potrebbero esserlo, poiché la chiaroveggenza porta generalmente al dubbio e all’inazione. Appartengono specialmente a quei nevrotici, a quegli eccitati, a quei semi-alienati che rasentano la pazzia. Per quanto assurda sia l’idea che difendono o lo scopo che vogliono raggiungere, tutti i ragionamenti si smussano contro la loro convinzione. Il disprezzo e le persecuzioni non fanno che eccitarli maggiormente.
Tutto è sacrificato, interesse personale e famiglia. Perfino l’istinto di conservazione viene distrutto in essi, a tal punto che, spesso, la sola ricompensa che essi ambiscono è il martirio. L’intensità della fede dà alle loro parole un grande potere suggestivo. La moltitudine ascolta sempre l’uomo dotato di volontà forte. Gli individui riuniti in folla, perdendo ogni volontà, si volgono istintivamente verso chi ne possiede una.
I condottieri non sono mai mancati; ma tutti non possiedono le convinzioni profonde che fanno gli apostoli. Spesso sono retori sottili, che fanno il loro interesse personale e cercano di persuadere lusingando bassi istinti. Così l’influenza che esercitano è sempre effimera. I grandi apostoli che sollevarono l’anima delle folle, i Pietro l’Eremita, i Lutero, i Savonarola, gli uomini della Rivoluzione, hanno esercitato un fascino dopo essere stati essi stessi soggiogati da un’idea. Allora poterono far nascere nelle anime, quel potere formidabile chiamato fede, che rende l’uomo schiavo assoluto del proprio sogno.
Far nascere la fede, sia fede religiosa, politica o sociale, fede in un’opera, in una persona, in un’idea, questo, soprattutto, è il compito dei grandi condottieri. Di tutte le forze di cui la natura dispone, la fede è sempre stata una delle più notevoli, ed ha ben ragione il Vangelo attribuendole il potere di sollevare le montagne. Dare all’uomo una fede, vuol dire decuplicare la sua forza. I grandi avvenimenti storici furono spesso realizzati da oscuri credenti che non avevano che la loro fede. Le religioni che hanno governato il mondo, e i vasti imperi che si estendevano da un emisfero all’altro, non sono sorti per merito di letterati o di filosofi o di scettici.
Ma tali esempi si applicano ai grandi condottieri, e questi sono troppo rari perché la storia possa facilmente notarne il numero.
Essi formano una serie continua, che dal potente condottiero d’uomini scende all’operaio che, in una fumosa osteria, affascina lentamente i suoi compagni rimasticando continuamente certe formule che egli non capisce, ma la cui applicazione - secondo lui - deve portare alla immediata realizzazione di tutti i sogni e di tutte le speranze.
In ogni sfera sociale, dalla più alta alla più bassa, non appena l’uomo non è più isolato, cade sotto la legge di un capo.
La maggior parte degli individui, specialmente nelle masse popolari, non avendo nessuna idea netta e ragionata al di fuori della loro specialità, sono incapaci di guidarsi. Il condottiero serve loro da guida. Può essere sostituito, ma non in modo completo, da quelle pubblicazioni periodiche che fabbricano delle opinioni per i loro lettori e procurano loro frasi fatte dispensandoli dal riflettere.
L’autorità dei condottieri è molto dispotica, e non arriva ad imporsi che con questo dispotismo. Si è notato come si facciano ubbidire facilmente, senza tuttavia possedere nessun mezzo per appoggiare la loro autorità, tra gli operai più turbolenti. Essi fissano le ore di lavoro, i salari, decidono gli scioperi, li fanno cominciare o cessare a ore fisse.
Gli agitatori tendono oggi a sostituire progressivamente i poteri pubblici a misura che questi ultimi si lasciano discutere e indebolire. Grazie alla loro tirannia, questi nuovi padroni ottengono dalle folle una docilità completa che nessun governo può ottenere. Se, per un incidente qualsiasi, il condottiero sparisce e non è subito sostituito, la folla ridiventa una collettività senza coesione né resistenza. Durante lo sciopero dei conducenti d’omnibus a Parigi, fu sufficiente arrestare i due agitatori che lo dirigevano, per farlo subito cessare.
L’anima delle folle è sempre dominata dal bisogno di servitù e non da quello di libertà. La sete di obbedienza le fa sottomettere d'istinto a chi si dichiara loro padrone.
Il libro che narrerà la vita di tutti questi grandi, conterrà pochi nomi, ma questi nomi sono stati in testa agli avvenimenti più importanti della civiltà e della storia.
Quando si tratta di esaltare per un momento una folla e di condurla a commettere un atto qualsiasi saccheggiare un palazzo, farsi massacrare per difendere una barricata, bisogna operare su di essa con mezzi rapidi di suggestione. Il più energico è l’esempio. E allora necessario che la folla sia preparata da talune circostanze, e che colui il quale vuol trascinarla possieda la qualità che io studierò più oltre sotto il nome di prestigio.
Quando si tratta di far penetrare lentamente idee e credenze nello spirito delle folle - le teorie sociali moderne, ad esempio - i metodi dei condottieri sono diversi. Essi sono principalmente ricorsi a questi tre procedimenti: l'affermazione, la ripetizione, il contagio.
L’affermazione pura e semplice, svincolata da ogni ragionamento e da ogni prova, costituisce un sicuro mezzo per far penetrare un’idea nello spirito delle folle. Più l’affermazione è concisa, sprovvista di prove e di dimostrazione, più essa ha autorità: I libri religiosi e i codici di tutte le epoche hanno sempre proceduto per semplice affermazione. Gli uomini di Stato chiamati a difendere una causa politica qualunque, gli industriali che diffondono i loro prodotti con annunci, conoscono il valore dell’affermazione.
Quest’ultima non acquista tuttavia reale influenza se non a condizione d’essere costantemente ripetuta, e il più possibile, negli stessi termini. Napoleone diceva che esiste una sola figura seria di retorica, la ripetizione. La cosa affermata riesce a stabilirsi negli spiriti a tal punto da essere accettata come una verità dimostrata.
[Prosegue con il Capitolo quasi completo]
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