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Quando l'ingegno non conta (43).....
& la Verità divenire immonda Eresia... (44)
Prosegue in:
La Natura mia Madre (46/7)
MORTE! MORTE AGLI DEI PAGANI!
Un monaco enorme, dai neri capelli appiccicati sulla fronte in sudore,
minacciava la Dèa giacente a forma di albero: un grande faggio un castagno;
colpisce con una forza barbara ed ad ogni colpo, io assiso lontano, traduco una
Rima il pianto sommesso da un diverso Universo estraneo e Primo del tempo consumato,
mentre Lei, Grande Madre invoca il mio aiuto!
Egli cercava dove colpirla.
Qualcuno consigliò:
‘Sul ventre! Sul ventre! Che non generi i maledetti suoi frutti!’.
Il corpo argenteo si ammaccava deformandosi per i colpi picchiati,
martorianti del ventre di Madre Terra, nutrice degli Dèi e degli uomini!
Un vecchio pagano si coperse il viso per non vedere il sacrilegio, Wu-Ming
piangeva in silenzio, e invocò la distruzione del mondo intero, la vera
Apocalisse, la fine universale di ogni Elemento pregato; la vendetta della
Terra, che non avrebbe più dato neppure una spiga agli uomini.
Un strano eremita venuto dai deserti della montagna, vestito di pelli
di pecora accompagnato da un’altrettanto strano pastore e calzato con sandali
ferrati e un bastone s’avvicinò alla Dèa:
“Per quarant’anni non mi sono lavato dai tempi dell’eremita ‘Giulio il
gobbo’ onde non vedere la nudità del mio e suo italico corpo e non essere
indotto in tentazione, e venendo in città, mi tocca vedere in ogni angolo i
corpi nudi di questi Dèi della malora! Quando finirà questa tentazione
demoniaca alla loro nudità preferiamo l’ancora angolare della nostra pietra
cementata. E così dicendo, il vecchio colpì rabbiosamente, col sandalo ferrato
donato da una offerente Maddalena in attesa vicino al Tempio, il petto di
Cibele, accanendosi contro le nude mammelle ricolme di castagne che sembravano
più che vive. E non fu neppure troppo contento se non quando le schiacciò a
martellate sotto i pesanti talloni.
Tieni! Piglia questo, infame! Puttana! Strega! Piglia su cagna!”.
Ma la Dèa continuava ugualmente a verdeggiare ad ogni stagione e con
l’Autunno i colori e le Rime risplendevano dell’Infinito Dio Straniero.
Allora la folla accecata dal miracolo oppure dal Demonio (solo
questione di cultura alla rosa dei venti esposta) la prese e la gettò nel
fuoco, ma UN OPERAIO IN NOME DELLA NUOVA RELIGIONE PREGATA E APPESTATO D’AGLIO,
VOLLE CON FOGA AMMACCARLE IL VISO!
E il rogo si drizzò, enorme, fatto con tutto il legname delle foreste
d’intorno, e la Dèa fu gettata tra le fiamme e qualcuno gridò:
“Vogliamo vedere se ne esce il Diavolo! Dicono che ogni idolo a forma
di albero contenga il demonio, e le Dee anche due o tre… E quando comincerà a
fondere, il maligno avrà troppo caldo e scapperà dalla bocca immonda sotto
forma di Serpente a farfugliare Frammenti decrepiti di un Giano ripudiato da
questa Geometria degna del nostro gregge alta fin sul campanile contare e
coniare il Tempo della nostra venuta
perché così è scritto circa l’immonda Natura… Ricordatevi gente qui riunita due
anni sono passati quando abbiamo distrutto il Tempio di Afrodite, vi fu chi
asperse la statua con acqua benedetta; ebbene, lo credereste? Dalle vesti
vennero fuori piccolini diavolini. Sicuro! Li ho visti con questi occhi.
Puzzolenti come animali e poi, addirittura, uno enorme come e più di un cervo
con due corna e una coda pelosa, eravamo invasi da queste immonde creature
della Terra, tutta la nostra città ne era invasa e solo il nobile cacciatore
seppe porre giusto rimedio e sterminarli per poi banchettarli, fu il nostro più
grande diletto…
GIAMBLICO PALLIDO COME UN CENCIO, con gli occhi spenti, prese Giuliano
per mano e lo trascinò lontano vicino ad un bosco alto ricolmo di Pini e
annunciò la sua Profezia:
“Tu Giuliano comporrai in Rima e questi folli dovrai sconfiggere perché
sei e sarai RE!…. E sappi”
Continuò Giamblico tenendo la mano tremante di Giuliano, sappi…
“CHE LA BESTIALITA’ NON PUO’ OFFENDERE GLI DEI”
(…Liberamente ispirato dalla feroce morte degli Dèi dall’inviato D.
Merezkovskij narrata…)
IL FANCIULLO PARLA per mezzo di storie e leggende….
In quel mondo antico e ancora giovane splendide leggende insegnavano
che l’Albero e con lui l’intera Natura ove dimora possiede un’Anima, un grande
Spirito! Una di queste è l’Albero della Vita: un’Anima benevola e feconda da
cui hanno origine le copiose sorgenti dei quattro fiumi che vanno verso le
quattro parti a fondare vita nel mondo. Un’altra leggenda è quella siriaca
dell’Albero del dolore: un’Anima prigioniera, vulnerabile, sofferente, sepolta
dentro la corteccia. Le due credenze producevano medesimo risultato: un grande
rispetto per l’intera Natura da loro edificata.
…L’anfiteatro delle montagne sul primo gradino ha i grandi
castagni. Questi costruiscono il venerando ingresso della Foresta. Sono i
veri Patriarchi, ortodossi monolitici estranei al divenire del Tempo curvi
e chini alle proprie icone pregare la DEA CHE COSI’ LI CUSTODISCE E PRESERVA NEL
PROPRIO EREMITAGGIO PIEGANDOLI AL TEMPO TANTE’ CHE I FOLLI - PRECEDENTEMENTE
DETTI - NON OSEREBBERO MAI ATTENTARE L’EREMO DI CODESTO SECOLARE ORTODOSSO
TEMPIO.
Codesto Eremo così narrato assai grande ed ambizioso nonché fecondo
sparge tutt’intorno cinque o sei altri bei Templi e con loro castagni: felice e
gioconda posterità che lo rassicura sulle ferite e le perdite che subisce. E
per quanto scavato sia, quel tronco originario verdeggia, felice di vedere i
diavoli detti, oppure, e forse ancor meglio, quei diletti angeli suoi figli
intorno a sé. Il castagno vuole aria e spazio. Ama i diradamenti. Le sue foglie
così verdi di vita aperte come mani hanno una forma si direbbe parlante ed io
li ho pur uditi nei loro monologhi, nelle loro ortodosse litanie...
Ma la vera Foresta, la vera Cattedrale comincia più in alto, coi
Faggi e gli Abeti geni e specchio di un Dio incompreso. Se la loro ombra palesa
l’affresco del Primo Dio resuscitato dal gene della Memoria è mistica
gradita ammirarne i contorni le prospettive i disegni i fraseggi così ben
dipinti fin su in alto là ove si intravede la cima… Lui Genio incompreso,
sorride perché sa la sua opera preziosa. Questi Geni annunciati da fedeli e
composti Ortodossi non spendono nulla per sé, sono di un cristianesimo
primitivo mal compreso per poi leggerlo attraverso ogni cerchio, giacché prima
del primitivo annunciato, ancora un altro ed un altro ancora che la resina
accompagna la Rima oppure comporre Frammento incompreso di Vita per chi verrà
ancora al medesimo Golgota arso...
Nessun lusso! Nessun ornamento!
…Eccetto quando li estirpano dalla propria Chiesa e li vestono ed
illuminano alla Materia composta al rogo di uno strano presepe… per poi vederli
morire in strani altari: logge e giardini di un immondo peccato così mal
celebrato…
Essi salgono e fuggono, infilano come possono le loro esili radici
sempre più in alto perché d’incanto dichiarati Eretici e sorreggono l’intera
volta dall’Ortodosso castagno ammirata; e quando la montagna scoppia e si riempie
di nuove fenditore accompagnate dal secolar crociato liberare la propria
Terra e costruire un antico sepolcro di un Dio morto, la montagna e con lei l’intera
cattedrale si ode gridare:
FIGLI MIEI TENETE DURO!
Ed ecco che dall’alto come tavole di pietra gettate da un Mosé irato
una valanga di pietra a punire cotal Eresia: la Natura va domata non v’è Anima Corpo
e Spirito e io qui vi maledico... E un terribile boato: neve ghiaccio cemento
calce plastica detriti ferro e fuoco si stacca come un terremoto inaspettato.
In questa crociata tutti gridano e urlano… e se non fosse per quegli Eretici
aggrappati alla volta della cattedrale tutto sarebbe rovina morte e disastro,
loro con i loro papiri di corteccia hanno profetizzato e difeso le mura dalla
pietra…
(Liberamente (re)(i)spirato dalla Montagna di J. Michelet)
Alcuni autori affermano che, poco prima della vittoria del cristianesimo,
una voce misteriosa percorreva le rive dell’Egeo, dicendo:
‘Il gran Pan è morto’.
L’antico dio universale della natura non c’era più.
Che gioia!
Si pensava che, morta la natura, fosse morta la tentazione. Tanto a lungo
sconvolta dalla tempesta, l’anima umana sta dunque per trovare riposo. Si
trattava della fine dell’antico culto, semplicemente, della sua disfatta, dell’eclissi
delle vecchie forme religiose?
Per niente.
Consultando i primi documenti cristiani, ad ogni riga si incontra la speranza
che la Natura scompaia, la vita si spenga, che si giunga finalmente alla fine
del mondo. Basta con gli dèi della vita, troppo a lungo ne hanno fatta durare l’illusione.
Tutto muore, crolla, affonda.
Il Tutto diviene il nulla:
‘Il gran Pan è morto’.
Che gli dèi dovessero morire non era una novità. Molti antichi culti si
fondano proprio sull’idea della morte degli dèi. Osiride muore, Adone muore, d’accordo,
per resuscitare.
Ma ora è tutto diverso…
I primi cristiani non meno dei nuovi falsi credenti, in generale e in
particolare, per il passato non meno dell’odierno futuro celebrato per l’avvenire
dell’intero Creato maledicono la Natura in sé. La condannano tutta intera,
vedono il male farsi carne, addirittura, il demonio in un fiore. Vengano
dunque, meglio prima che poi, gli angeli che sterminarono le città del mar
Morto, l’abbiano vinta, rivoltino come un guanto la vana figura del mondo,
liberino finalmente i santi da questa lunga tentazione…
(Di più non dico…e talvolta li maledico... nella Natura assiso)
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