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Quinto Potere (55)
Ciò che ha determinato
una presunta ‘caduta di ragione’ nella spettacolarizzazione della vita e con
essa l’aspetto di una scelta (nel suicidio quale nuova emozione per una reale e
concreta ‘diretta’ con l’umano Spirito al crocevia di una Parabola allo
spettacolo della vita), è il giudizio insindacabile dell’indice d’ascolto, che,
come l’odierno ‘spread’ possono tanto per quel senso di cui si è smarrito il
saggio e retto intendimento con cui dovremmo nutrire l’Anima
non meno dello Spirito… nel ‘Quinto Potere’ cui l’uomo sembra aver delegato il
suo rapporto (connesso sospeso & in bilico) in diretta tra la vita e la morte…
Questi gli odierni
Tempi non meno degli attuali accadimenti…
Ma cerchiamo di
esaminare i rapporti che l’uomo intratteneva con la morte nell’evoluzione del proprio
Sé nei secoli condiviso con la vera Signora e Padrona nel ballo della vita…
“
L’uomo subiva con la morte, una delle grandi leggi della specie e non pensava
né a sottrarvisi, né ad esaltarla. L’accettava semplicemente, appena con quel
tanto di solennità che bastava a contrassegnare l’importanza delle grandi
tappe, che ogni vita doveva sempre superare.
Se nel caso del
precedente post il Quinto Potere della materia detta le inesorabile leggi della stessa dalla Parabola distribuite e condivise, nel nostro comune passato le
cose erano assai diverse; la preoccupazione per la sorte del singolo individuo
sono riassunti nella rappresentazione (iconografica e spirituale) del Giudizio
universale, alla fine dei tempi, ed il conseguente spostamento del Giudizio
alla fine di ogni vita, nel momento preciso della morte; i ‘temi macabri’ e
l’interesse nutrito per le immagini della decomposizione fisica…
Nel XIII secolo,
l’ispirazione apocalittica, l’evocazione del grande ritorno sono stati quasi
cancellati. L’idea del ‘giudizio’ ha avuto il sopravvento, e quella che viene
rappresentata è una vera e propria ‘corte di giustizia’.
Il Cristo è assiso
sul trono del giudice, circondato dalla sua corte (gli apostoli). Due azioni
assumono una sempre maggiore importanza, la pesatura delle Anime e
l’intercessione della Vergine e di san Giovanni, in ginocchio con le mani
giunte, ai due lati del Cristo-giudice. Ogni uomo è giudicato secondo il
‘bilancio della propria vita’, le buone e cattive azioni sono scrupolosamente
separate sui due piatti della bilancia. Del resto, sono state già scritte su un
libro. Nel magnifico glancore del ‘Dies irae’, gli autori francescani del XIII
secolo fanno portare il libro davanti al giudice dell’ultimo giorno, un libro
dove è racchiuso tutto quello secondo cui il mondo sarà giudicato.
Questo libro, il
‘liber vitae’, ha potuto essere concepito dapprima come il formidabile
censimento dell’universo, un libro cosmico. Ma, alla fine del Medioevo, è
divenuto il libro dei conti individuale. Ad albi, nel grande affresco della
fine del XV secolo o principio del XVI che raffigura il Giudizio universale, i
resuscitati lo portano appeso al collo, come un documento di identità, o
piuttosto come un ‘bilancio’ dei conti da presentare alle porte dell’eternità.
Un nuovo aspetto
connesso con il Giudizio dei tempi, si concentra e svolge o meglio dispiega
nella camera del moribondo. Troviamo una abbondante iconografia in xilografie
diffuse attraverso la stampa, in alcuni libri che sono dei trattati dell’arte
del ‘ben morire’: le ‘artes moriendi’ del XV e XVI secolo.
In questa nuova
iconografia il moribondo è a letto, circondato dai suoi amici e parenti, sta
eseguendo i riti che ben conosciamo. Ma succede qualcosa che turba la
semplicità della cerimonia e che i presenti non vedono, uno spettacolo
riservato solo al morente, il quale del resto lo contempla con un po’
d’inquietudine e molta indifferenza. Degli esseri soprannaturali hanno invaso
la camera e si affollano al capezzale del ‘giacente’, da una parte la Trinità,
la Vergine, tutta la corte celeste, e dall’altra Satana e l’esercito dei demoni
mostruosi.
La grande adunata
che nel XII e XIII secolo aveva luogo alla fine dei tempi, nel secolo XV
avviene oramai nella camera del malato.
Come interpretare
questa scena?
Si tratta ancora
veramente di un giudizio?
Non è un giudizio
vero e proprio!
La bilancia su cui
si pesano il bene ed il male non serve più. C’è sempre il libro, e troppo
spesso avviene che il diavolo se ne approprii con un gesto di trionfo – perché i
conti della biografia gli sono favorevoli (del resto che desumiamo dal dialogo
fra il ‘futuro morto’ e veggente abbagliato dalla propria illuminazione nel
bilancio finale della propria vita all’indice d’ascolto protesa, e il ‘male’ il
quale conviene ad un patto con il ‘bene’ che lo avversa nel ‘Quinto potere’ di
una diversa e materiale esistenza?...). Ma Dio non appare più con gli attributi
del Giudice. E’ piuttosto arbitro o testimone nelle due diverse e distinte
interpretazioni che si possono dare: la prima è quella di una lotta cosmica fra
le potenze del bene e del male che si disputano il possesso del moribondo, e il
moribondo stesso assiste al combattimento come un estraneo, per quanto
rappresenti la pista in gioco.
E questa
interpretazione è suggerita dalla composizione grafica della scena nelle
incisioni delle ‘artes moriendi’; ma se si leggono con attenzione le leggende
che accompagnano queste incisioni, ci si accorge che si tratta di un’altra
cosa, ed è appunto la seconda interpretazione che ne ricaviamo: Dio e la sua
corte sono là per constatare come si comporterà il morente durante la prova che
gli viene proposta prima di esalare l’ultimo respiro, e che determinerà la sua
sorte nell’eternità.
Questa prova
consiste in un’ultima tentazione…
Il moribondo
rivedrà tutta la sua vita, quale è contenuta nel libro, e sarà tentato sia
dalla disperazione per i suoi errori, sia dalla ‘vanagloria’ delle sue buone
azioni, sia dall’amore appassionato per gli esseri e le cose. Il suo
atteggiamento, nel lampo di quell’attimo fugace, cancellerà di colpo i peccati
di tutta la sua vita, se respinge la tentazione,o, al contrario, annullerà
tutte le sue buone azioni, se vi cede.
L’ultima prova ha
sostituito il Giudizio finale…
Il terzo fenomeno
che propongo alla vostra riflessione appare nello stesso tempo delle ‘artes
moriendi’: è l’apparizione del cadavere nell’arte e nella letteratura, è
interessante, infatti, il fatto che nell’arte, dal XIV al XVI secolo, la
rappresentazione della morte sotto forma di una mummia, di un cadavere
semidecomposto, è meno diffusa di quanto si creda, si trova soprattutto nelle
illustrazioni dell’ufficio dei morti nei manoscritti del XV secolo, nella
decorazione parietale delle chiese e dei cimiteri nella famosa ‘danza macabra’….
Ed a proposito di
questa ne esaminiamo un contesto iconografico in tutta la propria eccellenza…”
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