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L’altra sera ho fatto una cosa stupida!
Sono entrato in uno dei bar della zona e sono
andato a sedermi senza chiedere il permesso. Certe cose in America non si
fanno, ma io avevo un importante pensiero ricorrente e volevo appuntarmelo
prima che mi sfuggisse (ossia: ‘C’è sempre ancora un po’ di dentifricio nel
tubetto. Riflettici’); e comunque il locale era praticamente vuoto, quindi mi
accomodai a un tavolino vicino alla porta. Dopo un paio di minuti arrivò la
Manager Assegnazione Posti, e mi disse fredda:
‘Vedo che si è seduto da solo’.
‘Sì!’,
replicai orgoglioso.
‘E mi vesto anche, da solo…’.
‘Non ha visto il cartello?’.
Accennò con la testa a un grande cartello
che diceva:
‘Aspettate di essere accompagnati al
vostro posto. Grazie’.
Sono stato in quel bar circa
centocinquanta volte. Ho visto il cartello da ogni angolazione possibile,
tranne che da supino.
‘C’è un cartello?’,
chiesi candidamente.
‘Perbacco! Non l’avevo notato!’.
La donna sospirò.
‘Bene. La cameriera di questo settore è
molto presa, quindi forse dovrà aspettare un po’ prima che venga da lei’.
Non c’erano altri clienti nel raggio di
quindici metri, ma il punto non era quello: il punto era che avevo ignorato un
avviso, e quindi avrei dovuto scontare una piccola condanna in purgatorio. Sarebbe
del tutto errato dire che gli americani amano le regole; è vero però che le
tengono in una certa considerazione. Il loro comportamento nei confronti delle
regole è molto simile a quello dei britannici con le code: le trattano come
fossero fondamentali per il mantenimento di una società civile e ordinata. In
effetti, era come se, stando in una fila, io fossi passato davanti al cartello:
‘Aspettate di essere accompagnati al vostro posto’.
Credo abbia a che fare con il nostro
ceppo germanico.
Nel complesso non ci trovo niente da
ridire. Devo ammettere che ci sono casi in cui un po’ di ordine teutonico non
farebbe male all’Inghilterra; per esempio quando la gente occupa due posti nei
parcheggi (l’unica infrazione per cui, se posso esprimermi liberamente, vedrei
di buon occhio il ripristino della pena capitale). A volte però la devozione
degli americani per l’ordine si spinge un po’ troppo in là. La piscina pubblica
della nostra città, per esempio, ha un regolamento in ventisette punti –
ventisette! – dei quali il mio preferito è:
‘Sul trampolino, è consentito un solo
rimbalzo per tuffo’.
E lo fanno rispettare.
L’aspetto frustrante – anzi, no: quello
che mi fa uscire di testa – è che non conta quasi mai se queste regole abbiano
o meno un senso.
All’incirca un anno fa, per affrontare la
crescente minaccia del terrorismo, le linee aeree americane cominciarono a
chiedere ai passeggeri di presentare un documento di identità con fotografia al
momento del check-in. La prima volta che ne sentii parlare fu quando mi
presentai all’imbarco in un aeroporto a più di duecento chilometri da casa.
‘Devo vedere un documento di identità con
fotografia’,
disse l’impiegato, un tizio con lo charm
e la sconfinata motivazione che ti aspetteresti da qualcuno la cui massima
gratifica sul lavoro fosse una cravatta di nylon.
‘Ma davvero? Non credo di averlo’,
…dissi cominciando a tastarmi le tasche, come
se potesse cambiare qualcosa, e poi estraendo diverse carte dal mio portafogli.
Avevo ogni genere di documento identificativo: tessera della biblioteca, carte
di credito, carta della previdenza sociale, carta dell’assicurazione sanitaria,
biglietto aereo – tutti con sopra il mio nome, ma nessuno con una fotografia.
Alla fine, in fondo al portafogli, trovai una vecchia patente di guida
rilasciata nell’Iowa, che non ricordavo nemmeno di avere.
‘È scaduta’,
...disse l’uomo con disprezzo.
‘Ma in fondo non chiedo di guidare
l’aereo’,
replicai.
‘A ogni modo è vecchia di quindici anni.
Ho bisogno di qualcosa di più recente’.
Sospirai e frugai tra le mie cose. Alla
fine, mi venne in mente che avevo una copia di uno dei miei libri, con la mia
foto in copertina. Glielo porsi con orgoglio e sollievo. Guardò il libro,
quindi fissò prima me e poi un elenco stampato.
‘Non è previsto nel nostro elenco delle
rappresentazioni visuo-cognitive ammissibili’,
disse – o qualcosa di analogamente vacuo.
‘Ne sono certo, ma sono comunque io. Non potrei
essere io più di così’.
Abbassai la voce e mi chinai
avvicinandomi a lui.
‘Sta davvero insinuando che mi sono fatto
stampare questo libro apposta per imbucarmi su un volo per Buffalo?’,
Mi fissò per un altro lungo istante, poi
chiamò un altro impiegato per un consulto. Conferirono e convocarono una terza
parte. Alla fine ci ritrovammo con una scena di massa in cui erano coinvolti
tre impiegati del check-in, il loro supervisore, il supervisore del
supervisore, due portabagagli, diversi spettatori rumorosi che cercavano di
avere una visuale migliore, e un tizio che vendeva gioielli da una valigetta di
alluminio. Il mio volo doveva partire di lì a qualche minuto, e io cominciavo a
schiumare agli angoli della bocca.
‘A ogni modo, qual è il punto di tutta la
faccenda?’,
chiesi al supervisore capo.
‘Perché avete bisogno di un documento di
identità con fotografia?’.
‘Regola della Federal Aviation
Administration’,
…disse lui, contemplando mesto il mio
libro, la mia patente di guida scaduta e l’elenco delle opzioni fotografiche
ammissibili.
‘Ma perché è la regola? Lei crede sul
serio di poter bloccare un terrorista chiedendogli di esibire una fotografia
plastificata? Pensate che la richiesta di mostrare una patente di guida possa
distogliere dal suo intento una persona capace di progettare e attuare un
sofisticato dirottamento? Non vi è passato per la mente che potrebbe essere più
produttivo, dovendo affrontare il terrorismo, impiegare gente sveglia, e magari
con un quoziente intellettivo superiore a quello di un piccolo mollusco, per
controllare i monitor dei raggi X?’.
Forse non l’avrò detto esattamente in
questi termini, ma il succo di ciò che provavo era questo. Il punto è che non
vi si chiede semplicemente di identificarvi, ma di farlo in un modo che
corrisponda esattamente a delle istruzioni scritte.
Comunque sia, cambiai tattica e cominciai
a implorare.
Promisi che mai più mi sarei presentato
in un aeroporto senza un documento di identità adeguato. Assunsi un
atteggiamento di totale pentimento. Credo che mai nessuno abbia insistito con
tanta serietà e contrizione per ottenere il permesso di imbarcarsi per Buffalo.
Alla fine, con diffidenza, il supervisore fece un segno d’assenso all’impiegato
e gli disse di registrarmi, ma mi ammonì di non provare mai più a comportarmi
in modo così disonesto, e poi se ne andò con i colleghi. L’impiegato del
check-in mi diede una carta d’imbarco e io feci per incamminarmi verso il gate;
poi però mi voltai e con un tono basso e confidenziale condivisi con lui un
utile ripensamento.
‘C’è sempre ancora un po’ di dentifricio
nel tubetto’
…dissi.
‘Riflettici’!!
(B. Bryson Notizie da un grande paese)
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