giuliano

giovedì 3 gennaio 2019

IL TORDO BEFFEGGIATORE (40)













































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Il tordo beffeggiatore (39)

Prosegue nel...

Lento inesorabile declino (41)















Non ebbe alcuna risposta; perlomeno, ci fu un attimo di esitazione, e la risposta, se venne data, si perse nella detonazione del fucile della sentinella. Nel silenzio della notte e della foresta il suono assordante si era a malapena smorzato quando venne ripetuto dai fucili dei picchetti a destra e a sinistra, in un fuoco di fila amico. Da due ore, ogni civile non ancora trasformatosi in soldato si raffigurava nemici immaginari con cui popolava la foresta antistante, e lo sparo di Grayrock aveva conferito alla schiera degli invasori un’esistenza tangibile.

Dopo aver sparato, si ritirarono tutti senza fiato verso le riserve… tutti tranne Grayrock, che non sapeva in che direzione fuggire. Quando, non essendosi materializzato nessun nemico, l’accampamento destato, a tre chilometri di distanza, si era di nuovo spogliato e rimesso a letto, e la linea dei picchetti si era ricomposta con circospezione, Grayrock venne trovato coraggiosamente al suo posto, e l’ufficiale di guardia si complimentò con lui poiché era l’unico soldato di quel reparto leale che potesse essere considerato a buon diritto l’equivalente morale di quella straordinaria unità di valore detta un evviva all’inferno.




Comunque, nel frattempo, Grayrock aveva intrapreso una ricerca serrata ma infruttuosa delle spoglie mortali dell’intruso al quale aveva sparato e che il suo intuito di tiratore gli diceva di aver colpito, poiché era uno di quegli esperti nati che fanno fuoco senza prendere la mira in virtù di un istintivo senso della direzione, e che di notte sono pericolosi quasi quanto di giorno. Per una buona metà dei suoi ventiquattro anni, era stato il flagello dei bersagli di tutti i poligoni di tre città.

Impossibilitato a mostrare la preda morta, ebbe la discrezione di tenere la bocca chiusa, e fu felice di scorgere nell’ufficiale e nei compagni la supposizione naturale che, non essendo scappato, non aveva visto nulla di ostile. In ogni modo, si era guadagnato una ‘menzione d’onore’ per non essere fuggito. Ciononostante, il soldato semplice Grayrock era tutt’altro che soddisfatto dell’avventura notturna, e quando l’indomani trovò un pretesto abbastanza convincente per richiedere il lasciapassare che gli avrebbe permesso di uscire dalle linee, e il generale al comando glielo concesse prontamente in segno di riconoscimento per il coraggio dimostrato la notte precedente, uscì nel punto in cui ne aveva fatto sfoggio.




Dopo aver detto alla sentinella in servizio di aver smarrito una cosa – il che tutto sommato era vero – riprese a cercare la persona che credeva di aver colpito e che, nel caso in cui fosse stata solo ferita, sperava di scovare grazie alle tracce di sangue. Alla luce del sole non ebbe più successo di quanto ne avesse avuto al buio, e dopo aver battuto una vasta area ed essersi coraggiosamente addentrato per un certo tratto nella Confederazione, smise di cercare; alquanto affaticato, si sedette ai piedi del grosso pino dove l’abbiamo già visto, e si crogiolò nella delusione.

Non bisogna dedurne che quella di Grayrock fosse la mortificazione di una natura crudele ostacolata nel compimento di un’azione sanguinaria. Nei grandi occhi chiari, nelle labbra finemente cesellate e nella fronte ampia del giovane si leggeva tutt’altra storia, e in effetti il suo carattere era una combinazione singolarmente felice di audacia e sensibilità, di coraggio e coscienza.




Sono deluso, si disse, seduto ai piedi della foschia dorata che sommergeva la foresta come un mare rarefatto, deluso per non essere riuscito a trovare un mio simile ucciso dalla mia stessa mano!

Voglio davvero aver ucciso qualcuno nel compimento di un dovere che poteva benissimo essere espletato anche senza spargimento di sangue?

Cos’altro potrei desiderare?

Se incombeva un pericolo, il mio sparo l’ha allontanato; è per questo che ero qui. No, sono davvero felice se nessuna vita umana è stata distrutta invano per mano mia. Ma mi trovo in una situazione falsa. Ho lasciato che gli ufficiali si complimentassero con me e che i compagni mi invidiassero. L’accampamento risuona di lodi per il mio coraggio. Non è giusto; so di essere coraggioso, ma mi lodano per azioni che non ho compiuto… o che ho compiuto in modo diverso. Credono che sia rimasto coraggiosamente nella mia postazione, senza sparare, e invece sono stato io a dare il via al fuoco di fila, e non mi sono ritirato durante l’allarme generale perché ero sconcertato.




Allora, cosa devo fare?

Spiegare che ho visto un nemico e ho fatto fuoco?

L’hanno detto tutti di loro stessi, ma nessuno ci crede.

Devo dire una verità che, screditando il mio coraggio, sortirà l’effetto di una bugia?

Puah! È proprio una brutta faccenda. Spero che Dio mi conceda di trovare il mio uomo!

…E con questo desiderio, il soldato semplice Grayrock, sopraffatto infine dal languore del pomeriggio e cullato dai placidi ronzii in prosa degli insetti nei cespugli profumati, finì per dimenticare gli interessi degli Stati Uniti e per addormentarsi esponendosi alla cattura. E dormendo sognò…

Fantasticò di essere un ragazzo che viveva in una meravigliosa terra lontana sulle rive di un grande fiume solcato in su e in giù da imponenti battelli a vapore, le cui alte volute di fumo nero ne annunciavano l’arrivo molto tempo prima che avessero svoltato le anse e ne indicavano i movimenti a diversi chilometri di distanza. Mentre li guardava, aveva sempre al suo fianco una persona che egli amava con tutto il cuore e con tutta l’anima: suo fratello gemello. Insieme passeggiavano lungo le rive del fiume; insieme esploravano i campi lontani, e raccoglievano la menta aromatica e i rametti di sassofrasso fragrante sulle colline che dominavano il paesaggio, al di là delle quali si estendeva il Reame dell’Ipotesi e dalle quali, se loro due guardavano verso sud rispetto al grande fiume, potevano scorgere la Terra Incantata.




Mano nella mano e cuore nel cuore, gli unici figli di una madre vedova percorrevano sentieri di luce attraverso valli di pace e vedevano cose nuove sotto un sole nuovo. E su tutti quei giorni dorati aleggiava un unico suono incessante: il canto profondo e commuovente di un tordo beffeggiatore, in gabbia davanti alla porta della casetta. Pervadeva e riempiva tutti gli intervalli spirituali del sogno, come una benedizione musicale. Il gioioso uccello cantava sempre; le sue note infinite sembravano uscirgli dalla gola senza sforzo, con gorgoglii e tintinnii a ogni battito del cuore, come le acque di una sorgente vibrante. Quella melodia vivace e limpida sembrava lo spirito della scena, il significato e l’interpretazione dei misteri della vita e dell’amore. Ma venne un tempo in cui i giorni del sogno si fecero bui per il dolore in una pioggia di lacrime. La buona madre era morta, la casa nel prato accanto al grande fiume era caduta in rovina, e i fratelli vennero divisi da due dei loro parenti. William (il sognatore) andò a vivere in una città popolosa nel Reame dell’Ipotesi, e John, dopo aver attraversato il fiume ed essere giunto nella Terra Incantata, venne portato in una regione lontana i cui abitanti erano noti per il loro modo di vivere e per i loro usi bizzarri e malvagi. A questi, nella divisione dei beni della madre morta, era toccato tutto ciò che avevano ritenuto prezioso: il tordo beffeggiatore.




Loro due potevano essere separati, ma l’uccello no, quindi venne portato nel paese bizzarro, e il mondo di William non ne seppe più nulla. Eppure, anche negli anni di solitudine, quel canto riempì tutto il sogno, e sembrò sempre riecheggiargli nelle orecchie e nel cuore. I parenti che avevano adottato i ragazzi si odiavano e non avevano rapporti. Per un certo periodo, i due fratelli si scambiarono lettere piene di spacconeria fanciullesca e di racconti presuntuosi delle loro nuove e più ampie esperienze, descrizioni grottesche delle loro vite dagli orizzonti più vasti e dei nuovi mondi che avevano conquistato; ma pian piano divennero sempre meno frequenti, e quando William si trasferì in una città più grande cessarono completamente.

Ma il canto del tordo beffeggiatore non ebbe mai fine, e quando il sognatore aprì gli occhi e fissò in prospettiva la foresta dei pini, l’interruzione della musica gli fece capire di essersi svegliato. Il sole era basso e rosseggiava a occidente; i raggi orizzontali proiettavano dal tronco di ciascun pino gigante una parete di ombre che attraversava la foschia dorata verso est, finché la luce e l’ombra non si fusero in un azzurro indistinto.

Il soldato semplice Grayrock si alzò in piedi, si guardò intorno con circospezione, imbracciò il fucile e si avviò verso l’accampamento. Aveva percorso all’incirca ottocento metri e stava oltrepassando un boschetto di alloro, quando un uccello si alzò in volo dal folto del bosco e, appollaiatosi sul ramo di un albero più in alto, fece sgorgare dal suo petto gioioso un profluvio inesauribile di note che solo una tra tutte le creature di Dio è in grado di emettere in Sua lode. Era una faccenda di poco conto: si trattava solo di aprire il becco e di prendere fiato; eppure l’uomo si fermò come se fosse stato colpito… si fermò e lasciò cadere il fucile, sollevò lo sguardo verso l’uccello, si coprì gli occhi con le mani e pianse come un bambino!




In quel momento era davvero tornato bambino, nello spirito e nel ricordo, e viveva ancora presso il grande fiume, di fronte alla Terra Incantata!

Quindi, con uno sforzo di volontà, tornò in sé, raccolse l’arma e, dandosi ad alta voce dell’idiota, proseguì a grandi falcate. Passando davanti a un’apertura che s’inoltrava nel cuore del boschetto, vi guardò dentro, e lì, supina sul terreno, con le braccia spalancate, l’uniforme grigia insozzata da un’unica macchia di sangue sul petto, il volto pallido riverso bruscamente verso l’alto e all’indietro, giaceva l’immagine di se stesso… il corpo di John Grayrock, morto in seguito a una ferita da arma da fuoco, e ancora caldo!

Aveva trovato il suo uomo.

Quando lo sventurato soldato si inginocchiò accanto a quel capolavoro della guerra civile, l’uccello che cantava sul ramo sopra la sua testa zittì la sua melodia e, arrossato dal fulgore purpureo del tramonto, si librò silenziosamente in volo tra gli spazi solenni della foresta. Quella sera, all’appello nell’accampamento federale, il nome di William Grayrock non ricevette risposta, né allora, né mai più.
(Bierce)













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