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Delle brevi riflessioni (12) & (13)
Caro signor
Einstein,
Mi
aspettavo che avrebbe scelto un problema al limite del conoscibile, cui
ciascuno di noi, il fisico come lo psicologo, potesse aprirsi la sua
particolare via d’accesso, in modo che da diversi lati s’incontrassero sul
medesimo terreno. Mi ha pertanto sorpreso chiedendomi cosa si possa fare per
tenere lontana dagli uomini la maledizione della guerra.
Ho altresì
riflettuto che non si pretende da me che io faccia proposte pratiche, ma che
devo soltanto indicare come il problema della prevenzione della guerra si presenta
alla considerazione di un osservatore psicologo. Tuttavia anche a questo riguardo
ha già detto Lei stesso quel che c’era da dire sull’argomento. Ma, sebbene Lei
mi abbia tolto un vantaggio, sarò ben lieto di seguire la Sua scia e mi
accontenterò di confermare tutto ciò che Lei ha detto amplificandolo al meglio
delle mie conoscenze (o congetture).
Lei comincia col rapporto tra diritto e forza.
Non v’è alcun dubbio che sia questo il punto di partenza giusto per la nostra indagine. Ma mi permette di sostituire la parola forza con la parola più incisiva e più dura violenza?
Diritto e
violenza ci appaiono oggi termini opposti.
È facile
mostrare, tuttavia, che l’uno si è sviluppato dall’altro e, se risaliamo ai
primordi della vita umana per verificare come ciò sia originato, il problema è
facilmente risolto. Mi scusi se nel seguito parlo di ciò che è universalmente
noto come se fosse nuovo, ma il filo del mio ragionamento mi obbliga a farlo.
È un principio generale, dunque, che i conflitti d’interesse tra gli uomini sono decisi mediante l’uso della violenza. Ciò avviene in tutto il regno animale (anche se mai raggiunge le cruenti ‘fasi umane’), di cui l’uomo fa inequivocabilmente parte; per gli uomini si aggiungono, a dire il vero, anche i conflitti di opinione, che arrivano fino alle più alte cime dell’astrazione e sembrano esigere, per essere decisi, un’altra tecnica. Ma questa è una complicazione che interviene più tardi.
Inizialmente,
in una piccola orda umana, era la forza muscolare a decidere a chi dovesse
appartenere qualcosa o la volontà di chi dovesse prevalere. Presto la forza
muscolare viene integrata e sostituita dall’uso degli strumenti; vince chi ha
le armi migliori o le adopera più abilmente. Con l’introduzione delle armi la superiorità
intellettuale comincia già a prendere il posto della forza bruta, benché lo
scopo finale della lotta rimanga il medesimo: una delle due parti, a cagione
del danno che subisce e dell’infiacchimento delle sue forze, deve essere
costretta a desistere dalle proprie rivendicazioni o opposizioni.
Ciò è ottenuto nel modo più totale quando la violenza elimina definitivamente l’avversario, vale a dire lo uccide.
Questo ha due vantaggi: l’avversario non può riprendere
le ostilità e il suo destino distoglie gli altri dal seguirne l’esempio.
Inoltre, l’uccisione del nemico
soddisfa un’inclinazione istintuale di cui parlerò più avanti.
Questo è un
primo inizio dell’idea di risparmiare il nemico, ma il vincitore da ora in poi ha da fare i conti con la smania di vendetta
dello sconfitto, sempre in agguato, e sacrifica parte della propria sicurezza.
Come
sappiamo, tale regime è mutato nel corso dell’evoluzione.
Ci fu una
strada che condusse dalla violenza al diritto, ma quale?
Una sola a
mio parere: quella che passava per l’accertamento che lo strapotere di uno poteva
essere bilanciato dall’unione di più individui deboli. L’union fait la force. La violenza può essere spezzata dall’unione di
molti, e la potenza di coloro che si sono uniti rappresenta ora il diritto in opposizione
alla violenza del singolo.
Ma perché si compia il passaggio dalla violenza a
questo nuovo diritto o giustizia dev’essere
soddisfatta una condizione psicologica.
L’unione
dei più deve essere stabile, durevole. Se essa si costituisse solo allo scopo
di combattere l’individuo dominante e si dissolvesse dopo averlo sopraffatto,
non si otterrebbe niente. Il prossimo personaggio che si ritenesse più forte
ambirebbe di nuovo a dominare con la violenza, e il gioco si ripeterebbe senza
fine.
Con ciò,
penso, tutto l’essenziale è già stato detto: il trionfo sulla violenza mediante
la trasmissione del potere a una comunità più vasta che viene tenuta insieme
dai legami emotivi tra i suoi membri. Ciò che rimane da dire non sono che
precisazioni e ripetizioni. La situazione è semplice finché la comunità
consiste solo di un certo numero di individui ugualmente forti. Le leggi di
questo sodalizio determinano allora fino a che punto, se dev’essere garantita
una vita collettiva sicura, debba essere limitata la libertà di ogni individuo
di usare la sua forza per scopi violenti.
(Prosegue nel carteggio completo)
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