Precedenti capitoli:
Circa l'uom... (54)
Prosegue con il:
Capitolo Completo
dedicato a
Introducendo il Casti, debbo formulare talune considerazioni in merito all’Arte
Poetica, la quale esula dalla politica, e semmai trae la perenne sua
ispirazione - circa la ‘simmetria musicale’ che il vasto palcoscenico (‘sinfonico’) della Natura nel piacere
della bellezza offre ed armonizza nella conseguente Rima.
Ed anche - come nel caso del Casti - come questa si inserisca in una cornice del tutto politica per
rimembrarne la Natura persa e dismessa, ‘ritraendolo’ - di conseguenza - al di
sotto della bestia da cui tra l’altro si differenzia o vorrebbe; e quest’ultima,
legittimamente, nei propri presunti bestiali difetti, ne qualifica la celata
essenza circa la specie cosiddetta umana.
Cani volpi maiali cavalli e molti altri ancora per
rimembrarne la qualificata onorifica e più certa consistenza. Un marchio D.O.C. ove i titolati nobiliari
araldi ne introducono ogni simmetrica specie protetta.
Il Casti fu oggetto di critica - e in qual tempo fu additato - di cinico intento fine a se stesso, per di più si aggiunga, anarchico libertino e non solo letterato stranamente censurato, seppur talune sue Opere e cantiche mirano ad un determinata spregiudicata critica maturata nella patria natia assommata ai rigori del suo ed altrui Tempo, Teatro della vera e più certa apparenza rispetto alla più sana consistenza; Teatro tra l’altro del tutto immutato circa gli odierni costumi o ancor meglio, mascherate di corte.
Il che gli Animali parlanti del Casti così come fu per il Croce (il Cesare per intenderci) e molti
altri, ci aiutano a comprendere le ferie bestie che ci governano o vorrebbero!
Comunque, per quanto letto non fu risparmiato
dalla critica dei suoi contemporanei e più fortunati poeti; raccogliendo sia amarezze
che allori affini al piacere della Letteratura più o meno giocosa approdata al
Teatro per altri Corti, divenendo, infatti, oltre che un instancabile
viaggiatore anche un noto e conteso Poeta di corte celebrato oltralpe.
Tralasciando questo aspetto storico il quale coinvolge titolati Dotti (ed anche sottotitolati) professionisti di altrettanti Corti universitarie, siano questi rivolti alla Storia dell’insana corrotta politica come della Letteratura, oppure alla Poesia e la propria evoluzione in seno alla patrio rogo, ove taluni ma non tutti - forse solo i più inclementi e scostumati - i quali per propria sfortuna (…fortuna per i ‘premurosi’ avversari critici di medesime o altri corti… giacché la concorrenza sì vasta in questo o altro Paese che il ‘metro’ di misura deve avere sempre calice e piatto colmo di saporito ‘sapere’, tralasciando all’istinto il più noto digiuno della perseguitata Ragione di Stato…) - furono consumati in ultimi scomposti Frammentati deliranti cantiche, in merito al conteso arbitrio, e con loro la scomposta scostumata Rima arsa al rogo della più nota e amata cucina.
Così come si è soliti nutrire il corpo nei fasti del piacere affini alla gola ma non certo allo Spirito di una più sana Poesia; compresi intrighi e avvelenati condimenti, sapori godimenti e tradimenti, giostre e spiedini, congiunti a congiure di palazzo e di cortile, trame e dame uniti e smascherati con cornuti nordici pennuti, allietare appetiti danzanti all’albero genealogico con il permesso di Cristo, loro servo e cardinale, nel Reame della sana cucina imbandita alla faccia della più povera onesta cuccagna della volgare Poesia!
Ovvero tutto ciò detto, concorda nella metrica del piacere letto e udito di sfuggita congiunto alla perseguitata Natura, una Primavera che difficilmente riesce ad ispirare la propria antica hora ove l’uomo per propria divina Opera con Lei si ricongiunge in nome del Sacro motivo del Dio udito e interpretato, il qual Dio per interposto Essere si diletta alla Rima, e i duetti che nascono e nasceranno impareggiabili Sinfonie in nome e per conto della Natura.
Il mio Maestro il quale non certo Salieri, neppure
Mozart se per questo, è tornato puntuale sul rigo sulla strofa sulla pagina
sullo spartito, e mi duole dirlo, ai dotti saggi sapienti che di lui ne fanno
cibo, mi insegna metrica e corretto linguaggio di come nato (... o fors’anche mai nato...) il nostro malfermo
ingegno.
Il mio Maestro nel nostro ‘Duetto’ mi insegna che quando leggo breve Frammento di una Rima, lui la conosce ancor meglio pria di qualsiasi ‘grammaticato’ intendimento esposto al coro dell’albero araldo di un falso maestro; motivando la ‘fallace’ attenzione al Ramo miniato del suo accordo, e facendo dovuto distinguo sul vero Duetto, quale musicale ingegno che di per sé supera l’intento umano compiendo passo o divino spartito (in accordo con Dio).
Forse perché ne ispira l’intera metrica
genealogica posta in ugual medesimo Ramo e Foglia di Natura (e mai nella fognatura ove matura ogni
altolocato dismesso intelletto), o forse perché gli addetti ai lavori
intuiscono e calcolano una genetica non del tutto compresa, seppur udita nella
primitiva forma, ovvero prima di puntare lo schioppo della disumana ragion
persa verso la cantica per farne ambito trofeo, e colmare così la lacuna
dell’alato coro comporre elevato inno d’un Pensiero cotto lento allo spiedo
maestro (Gaz permettendo!).
Là ove dimora et impera ‘umano’ Regno rinnegare
ogni Strofa e più elevata metrica di Madre Natura ispirare Lingua e Poesia da
chi ne è Maestro!
Là ove dimora et impera insano secolare corrotto appetito sostituire un ben più vasto Coro scritto in ogni perseguitato Elemento!
Là ove dimora et impera ugual cacciatore mirare
alla sana Poesia in cerca del proprio inutile Trofeo da esporre alla sala degli
orrori dell’uomo moderno in nome del proprio progresso, Apocalisse e sventura
per ogni più sana ed incorrotta Natura!
A Lei, povera antica dèa o Madonna, preferiscono
comandano et ordinano altro dire scrivere cogitare e pensare, e quindi, si
preferisce non udire tal antico rimare, semmai far di conto quanto sia rara et
estinta acqua foco terra et vento e
con loro ogni altro avvelenato tormentato Elemento, controvento consigliata la
più nota cantica del convento, o canone della più saggia poesia di corte, da
pagare in comode frammentate rate - e astenersi - per il bene del proprio paese,
quindi dalla falsa ragione che ne deriva, da ogni cantica rima e più lieta
poesia...
…Di maggior superiore antico ispirato lignaggio, si preferiscono granate bombarde corna di cinghiali suonate in frammentati non ancor digeriti rutti di famiglia, damigiane fiaschi di champagne o città, brevi messaggini a corta gettata, telefonini marionette e saporiti burattini simili a spiedini dall’uno all’altra riva della stiva o trincea, et ancor meglio o dulcis in fondo alla discarica o fossa comune (Salieri permettendo e concedendo), pagare lo canone convenuto affinché si possa udire la cantica telecomandata circa la gassata poesia del giorno, ove ogni fiera corte riunita in aspettativa circa il proprio e altrui ridire…
Noi, scusate la sgrammatica punteggiatura o Rima
preferiamo un diverso Duetto….
(Giuliano)
Gli uccelli, è vero, possono ciarlare e sbraitare attraverso piume e posture, ma il chiacchiericcio più comune, più estremo e più complicato è di gran lunga quello vocale.
Il coro dell’alba mi è sempre apparso un
comportamento incomprensibile, tutti quegli uccelli che cantano allo stesso
tempo, più forte e vigorosamente che in qualsiasi altro momento della giornata,
come in una gara di poesia in cui ciascuno urli simultaneamente le proprie composizioni.
Il coro ha inizio già alle quattro del mattino e dura diverse ore, finché non
sorge il sole e le temperature si alzano. Spesso comincia con gli uccelli più
grandi, come colombe, merli e tordi nelle zone temperate, e le grandi gazze
australiane, gli uccelli macellai e i kookaburra in Australia; ma più
importante della massa corporea è la dimensione dell’occhio.
Nel Regno Unito alcuni scienziati hanno scoperto
che gli uccelli con occhi più grandi e una maggiore capacità visiva in
condizioni di scarsa luminosità cominciano a cantare prima degli altri – e
questo vale anche per gli habitat neotropicali. Karl Berg ha studiato il coro
dell’alba in una foresta tropicale nella provincia di Manabí, nell’Ecuador, e
ha scoperto che l’altezza degli abituali luoghi di foraggiamento e le
dimensioni degli occhi erano gli indicatori più validi dell’ora del primo
canto: le specie con occhi grandi che si procacciano il cibo tra le chiome
degli alberi iniziano a cantare prima di quelle con occhi più piccoli che lo
cercano al suolo.
Il motivo per cui gli uccelli cantano così intensamente prima dell’alba non è del tutto chiaro. Potrebbe avere qualcosa a che fare con i vantaggi della trasmissione acustica in quelle prime ore buie del giorno. Le temperature più fresche, un’aria meno ventosa, meno rumori ambientali causati dagli insetti (e dal traffico) consentono al canto di un uccello di propagarsi maggiormente e arrivare più lontano, e dunque di rivendicare in modo più efficace il territorio – almeno nelle specie settentrionali – o segnalare la propria presenza a potenziali compagne.
O forse la ragione è che i predatori rappresentano
una minaccia minore. O, magari, gli uccelli sono già svegli e la scarsa
luminosità rende difficile la ricerca del cibo, l’aria immobile non è propizia
alla migrazione e gli insetti ancora non sono in giro, quindi perché non
cantare?
Forse gli uccelli si stanno esercitando, si stanno
riscaldando per la giornata. O forse è semplicemente il loro modo di annunciare:
‘Sono sopravvissuto alla notte!’
Andrew Skeoch, un fonico australiano specializzato nella registrazione dei suoni della natura, vede il coro dell’alba come un fenomeno comunitario e collettivo in cui i singoli uccelli negoziano e affermano le loro relazioni reciproche minimizzando al tempo stesso il conflitti.
‘Ogni mattina è una riaffermazione di luogo e
appartenenza con compagne, gruppi familiari, vicini e stormi, evitando gli
scontri fisici, il coro dell’alba riduce i rischi e lo stress e aiuta a
risparmiare energie. È un affresco di comportamenti vocali, e rappresenta
probabilmente la più grande conquista evolutiva degli uccelli canori, che ha
permesso loro di coesistere e diventare il gruppo eterogeneo e incredibilmente
prospero che sono’.
I canti e i richiami degli uccelli vanno dallo
strano, comico chiocciare e bubbolare della pernice bianca nordica e dalla voce
sommessa e acuta, a malapena udibile, del pardaloto, simile a un pettegolezzo
sussurrato, ai risolini da elfo degli uccelli delle tempeste codaforcuta, ai
rintocchi di gong del campanaro caruncolato e del campanaro bianco, al forte
squillare di tromba del kaimichi meridionale, alla melodia d’organo delle gazze
australiane e allo splendido, indimenticabile assolo notturno dell’uccello macellaio
bianconero, che può durare fino a sette ore.
La scienza ha appena iniziato ad analizzare la complessità e il significato delle vocalizzazioni degli uccelli. Perfino specie comuni come il tordo migratore americano emettono più di venti tipi di suoni diversi, il cui scopo rimane nella maggior parte dei casi misterioso. Il semplice grido di un’oca selvatica racchiude, a quanto pare, una ricchezza e una complessità inaspettate; e richiami che all’orecchio suonano semplici e uniformi, come quelli dei pinguini, presentano in realtà variazioni acustiche che aiutano i pinguini a riconoscersi l’un l’altro e scegliere il proprio compagno.
Le vocalizzazioni della maggior parte delle specie
di uccelli canori differiscono da un luogo all’altro, formando dei ‘dialetti’
locali paragonabili in tutto e per tutto agli accenti umani, differenze
regionali e culturali, chiare e durature, nella struttura e nella composizione
dei canti. Questi dialetti giocano un ruolo nel corteggiamento – le femmine di
alcune specie preferiscono maschi i cui canti includono sillabe appartenenti al
loro stesso lessico canoro – così come nella risoluzione di dispute
territoriali, permettendo agli uccelli di distinguere tra individui del posto e
forestieri, e di appianare i conflitti senza arrivare a uno scontro.
Il dispositivo vocale degli uccelli è una struttura chiamata siringe, nascosta in profondità nella cavità toracica dell’animale. Il suono emerge quando le membrane della siringe vibrano, modificando il flusso di aria che l’attraversa. L’aspetto della siringe varia a seconda della specie, e va dalle camere di risonanza bulbose e dalla lunga trachea curvilinea delle anatre, delle oche e dei cigni – che raggiunge fino a venti volte la lunghezza attesa –, in grado di produrre un suono che esagera le dimensioni corporee, alla minuscola coppia di camere degli uccelli canori, controllate da delicati muscoli siringei.
Alcuni uccelli canori hanno un controllo così
preciso sui molteplici muscoli di entrambi i lati della siringe, da riuscire a
produrre suoni diversi contemporaneamente, in sostanza, a cantare un duetto con
se stessi. Questo spiega il ricco canto della gazza australiana e lo stupendo cinguettio
flautato del tordo dei boschi. In passato si pensava che l’udito degli uccelli
fosse limitato a una gamma di frequenze più ristretta di quella dell’udito
umano. Solo di recente abbiamo scoperto che alcuni uccelli come il becco a cono
di Webb e il giacobino nero producono suoni appartenenti alla gamma degli
ultrasuoni – che gli esseri umani non possono udire - il che
suggerisce che probabilmente siano anche in grado di percepire suoni ‘invisibili’
alle nostre orecchie.
Gli uccelli in genere sono più bravi di quanto immaginassimo a riconoscere i suoni, estremamente sensibili a variazioni di altezza, timbro e ritmo nei suoni della loro specie, e questo consente loro di identificare altri uccelli non soltanto come membri della propria specie, ma come individui appartenenti al loro stormo, perfino in condizioni rumorose e caotiche.
I pappagallini ondulati e altri uccelli apprendono
i loro canti e richiami tramite un processo molto simile al nostro quando
impariamo a parlare. È un processo di imitazione e pratica denominato
apprendimento vocale, ed è estremamente raro nel mondo animale. Negli uccelli
l’apprendimento vocale comincia presto, proprio come negli esseri umani. Fin
dall’ultimo trimestre di gravidanza, un feto umano può memorizzare i suoni che
capta dal mondo esterno ed è particolarmente sensibile alla melodia, tanto
nella musica quanto nel linguaggio.
Gli uccelli piangono come bambini, grugniscono come maiali, miagolano come gatti e cantano come dive. Parlano in dialetto e cantano in coppia e in coro. Raccolgono ogni genere di informazioni da versi e canti – sull’identità di specie del cantante, sulla sua provenienza geografica, sul suo gruppo di appartenenza, perfino sulla sua identità individuale. E si servono del suono in modi ingegnosi – per condividere informazioni, negoziare confini e influenzare il comportamento gli uni degli altri.
Qualunque sia il loro scopo, i duetti degli
uccelli sono una meraviglia.
Si verificano circa nel sedici per cento delle
specie - principalmente ai tropici – e questa percentuale è
distribuita in quasi metà delle famiglie di uccelli, per cui la pratica sembra
essersi originata molteplici volte. Abbraccia una quantità di casi diversi, dai
canti relativamente semplici e sovrapposti dei passeri testastriata ai duetti
complessi e rigorosamente coordinati di molte specie neotropicali di
scriccioli, in cui il maschio e la femmina cantano alternando frasi canore, e
ogni membro della coppia regola il ritmo e il tipo di frasi che canta in modo
che corrispondano alle frasi intonate dal partner.
Questi duetti più elaborati e coordinati in maniera più precisa sono l’analogia più prossima con la struttura della conversazione umana che si trovi nel mondo animale. La tipica chiacchierata umana è una perfetta e ininterrotta alternanza di battute. Regole non scritte dettano che debba parlare un individuo alla volta, con pause di silenzio brevi o del tutto assenti e, idealmente, poca sovrapposizione. Pensate a quanto suoni strano quando queste regole vengono infrante - per esempio in un’intervista radiofonica, quando c’è uno scarto temporale tra una domanda posta da chi intervista e la replica differita dell’ospite: pause prolungate tra un turno di parola e l’altro creano imbarazzo. Durante la conversazione, in quasi tutte le lingue umane, ogni turno dura all’incirca due secondi e l’intervallo tipico tra un turno e l’altro è di appena duecento millisecondi. Nei duetti degli scriccioli del canneto, la sincronizzazione del botta e risposta tra maschio e femmina è ancora più precisa.
Karla Rivera-Cáceres studia i duetti altamente
coordinati degli scriccioli del canneto che vivono nelle foreste della Costa
Rica. La loro sincronizzazione è così impeccabile che gli scriccioli rispondono
ai rispettivi compagni nel giro di sessanta millisecondi, circa un quarto del
tempo che impiega un essere umano, e con una sovrapposizione ancora più bassa,
dal due al sette per cento, contro il nostro diciassette per cento.
A un orecchio non addestrato, i molteplici e variati scambi di una coppia di scricciolo del canneto sembrano fraseggi di un unico uccello. Intonare questo tipo di duetti antifonali perfettamente coordinati e finemente cadenzati pone sfide percettive e cognitive estreme. I duetti sono formati da tre diverse categorie di frasi, specifiche di ciascun sesso. Il maschio e la femmina posseggono entrambi un repertorio che comprende fino a venticinque tipi di frasi canore in ogni categoria, le quali possono essere combinate e ripetute per formare un canto. Come altri uccelli che duettano, ogni coppia si attiene a un ‘codice’ rigoroso, specifico di quella coppia, che stabilisce quali frasi canore debbano corrispondersi.
Inoltre, come ha scoperto Rivera-Cáceres, per
coordinare i duetti gli uccelli modificano i loro tempi canori in base ai tipi
di frase che i partner stanno cantando. La coordinazione richiede che entrambi
gli uccelli scelgano la frase appropriata e la eseguano esattamente al momento
richiesto, e tutto nel giro di millisecondi.
Nel 2019 alcuni scienziati che lavoravano con uccelli liberi nel loro ambiente naturale hanno scoperto che quando due di essi eseguono questo genere di duetti precisamente coordinati, i loro cervelli si sincronizzano davvero. Un’équipe di ricercatori del ‘Max Planck Institute for Ornithology’ ha equipaggiato coppie di tessitori passerini dai sopraccigli (una specie autoctona dell’Africa orientale e meridionale) con piccoli zainetti contenenti minuscoli microfoni trasmettitori che registravano sia le vocalizzazioni sia l’attività neurale durante i duetti; poi li hanno rimessi in libertà e li hanno registrati mentre cantavano centinaia di duetti appollaiati sugli alberi. L’équipe ha scoperto che in entrambi i partner le cellule nervose delle aree cerebrali preposte al controllo vocale si attivano contemporaneamente, di modo che i loro cervelli funzionino fondamentalmente come un solo apparato….
(J. Ackerman)
Nessun commento:
Posta un commento