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L'uom, fiero più
delle più fiere belve (54)
È benigna. La lodo con tutte le sue opere.
È saggia e muta. Non le si strappa alcuna
spiegazione, non le si carpisce nessun beneficio, ch’essa non dia
spontaneamente.
È astuta ma a fin di bene; e il meglio è ignorarne
le astuzie.
È un tutto; ma non è mai compiuta. Come fa oggi,
potrà fare sempre. A ciascuno appare in una forma diversa. Si nasconde sotto
mille nomi e termini, ma è sempre la stessa. Mi ha portato in scena; me ne
butterà fuori. Mi affido a lei. Disponga di me a piacer suo. Non odierà l’opera
delle proprie mani. Non sono stato io a parlare di lei. No, ciò ch’è vero e ciò
ch’è falso, essa l’ha detto.
Tutto è colpa sua, tutto merito suo.
(Questo scritto, trovato nel carteggio dell’eternamente compianta duchessa Anna Amalia, e fattomi recentemente pervenire, è scritto da una mano ben nota, di cui abitualmente mi servivo nel penultimo decennio del secolo per i miei lavori. Che l’abbia composto io, non ricordo per certo; ma le sue considerazioni collimano con le idee alle quali la mia mente era allora pervenuta.)
Oppure fu per quel breve opuscolo che fra l’altro
rischiò di inasprire e compromettere i già difficili rapporti con la Chiesa,
circa l’Eresia in quella grande o piccola nazione saltuariamente transitata - e
a volte dimorata - fra un esilio e l’altro.
Oppure fu per quel tale Newton di cui aveva letto
e conservato qualche ‘bizzarro’ articolo nel proposito della visione del nuovo
mondo meccanizzato, e colui che al meglio o al peggio attraversandolo in
qualche analogo opuscolo lo avversa e contende nel complesso meccanismo da
entrambi studiato?!
Ma chi ancora credeva ed interpretava lo Spirito
di Dio?
Colui che, in silenzio, si occupa di un argomento serio, e cerca in tutta sincerità di abbracciarlo nell’insieme, non si rende conto che i contemporanei sono abituati a ragionare in modo ben diverso; ed è una fortuna, giacché, se non gli fosse dato di credere nella simpatia del prossimo, perderebbe la fiducia in se stesso.
Ma fate che esca con la sua teoria, ed ecco
rivelarglisi che diversi punti di vista si combattono nel mondo, disorientando
sia i dotti che gli incolti. Il giorno è sempre diviso in partiti che non
conoscono né se stessi, né i loro antipodi. Ognuno fa con passione ciò che può,
e arriva fin dove gli riesce. Ora anch’io, prima di conoscere un giudizio
ufficiale, fui stranamente colpito da una notizia privata.
In una nobile città si era costituita una società
di cultori delle scienze che, per via teorica e pratica, producevano in
collaborazione molto di pregevole. Anche in questa cerchia il mio opuscolo,
come novità non comune, fu letto con ardore; ma nessuno ne parve soddisfatto;
tutti dicevano che non si riusciva a capire a che cosa intendesse approdare.
Uno dei miei amici d’arte essendomi affezionato e avendo fiducia in me, prese in mala parte che il mio libro fosse così bistrattato, anzi respinto; giacché, per lunga dimestichezza, mi aveva sentito parlare in modo conseguente e ragionevole intorno a diversi soggetti.
Lo lesse quindi con attenzione e, pur non
comprendendone bene la struttura, ne afferrò con simpatia e senso artistico il
nocciolo essenziale, e diede dell’esposto un’interpretazione bizzarra, se si
vuole, ma geniale. L’autore, disse, ha un suo scopo segreto che però io vedo
con grande chiarezza; egli vuol insegnare all’artista come ideare ornamenti
floreali che, secondo la maniera degli antichi, sboccino e si avvitino in uno
sviluppo crescente.
La pianta deve nascere dalle foglie più semplici;
queste a grado a grado si articolano, s’intersecano, si moltiplicano e, mentre
si fanno avanti, diventano sempre più complesse, esili e leggere, finché si
raccolgono nella maggior ricchezza del fiore, e spandono semi o ricominciano un
nuovo ciclo di vita. Pilastri di marmo così ornati si vedono alla Villa Medici,
ed ora per la prima volta capisco a che cosa con essi si mirava.
L’infinita varietà delle foglie è poi superata dal fiore, finché spesso, invece di semi, escono figure di animali e genietti, senza che ciò, dopo lo splendido sviluppo che l’ha preceduto, appaia minimamente inverosimile; ed io mi lusingo, seguendo queste indicazioni, di scoprire una quantità di fregi, visto che finora ho imitato inconsapevolmente gli antichi.
In questo caso, tuttavia, non fu ben predicato ai dotti: in mancanza di meglio, essi accolsero con indulgenza la spiegazione, ma osservarono che, se si ha di mira soltanto l’arte, se si va solo a caccia di fregi, non si deve fare come se si lavorasse per la scienza, dove fantasie del genere non sono consentite. Più tardi, l’artista mi assicurò che, seguendo le leggi naturali così come le avevo esposte io, gli era riuscito di combinare il naturale e l’impossibile e ottenerne qualcosa di piacevolmente verosimile.
Ma, a quei signori, non gli era stato più concesso
di fornire schiarimenti. La stessa canzone mi era ripetuta da altre parti;
nessuno voleva ammettere che si potessero combinare scienza e poesia. Si
dimenticava che la scienza è uscita dalla poesia, né si considerava che,
mutando i tempi, le due potrebbero amichevolmente ritrovarsi, con vantaggio
reciproco, su un piano superiore. Amiche che, già prima, volentieri mi
avrebbero strappato alla solitudine delle montagne e all’osservazione di rocce
immobili, erano pur esse scontente del mio astratto giardinaggio. Piante e
fiori dovrebbero distinguersi per forma, colore, profumo; eccoli invece
scomparire in uno schema fantasmagorico. Cercai quindi di procurarmi la
partecipazione di queste anime benigne con un’elegia alla quale si concederà un
posto qui, dove, collegata a una trattazione scientifica, dovrebbe riuscir più
comprensibile che inserita in una successione di poesie delicate e passionali.
Con la fredda mente del ricercatore cercò di immaginarsi chi fosse l’oscuro personaggio, eretico per giunta, di altolocata discendenza così da approdare sino ad una regione sì remota nel poter intercedere per tal invito (verso il periglioso Viaggio).
Quale personaggio mai si celava dietro la
richiesta avanzata dal noto esploratore?
Oppure, pensò, mi trovo di nuovo in errore, sarà
sicuramente qualcuno il quale come me dimora lontano dalla sua patria e vuole
approfondire celata Verità.
Tremò ancora e più di prima perché qualcosa
sembrava suggerirgli una presenza spirituale, per ciò che il pensiero scorgeva
ma non azzardava ad enunciare, qualcuno l’avesse colto e seminato in un campo
ben più vasto di ricerca, ove l’immateriale dottrina può essere raccolta per
una Verità non ancora del tutto storicamente pervenuta né accertata, ma solo
nei disgiunti Frammenti approdati attraverso la Filosofia.
Come se qualcuno di questi nei numerosi Brandelli raccolti dovesse ricomporre un antico Saio in sperdute e vaste inaccessibili Regioni del Pensiero d’un più probabile Dio, in tutta l’intuizione e congiunta preghiera dall’uomo, da una età molto antica e non ancora ben compreso né tradotto.
Come una parete di roccia, pensò, inaccessibile,
come osservava quella mattina. Come, pensò ancora, gli Dèi stessi, 'inforcato' penna e calamaio gli avessero scritto missiva. Ma questa è una breve fola da
bambini, eppure pensò ancora, il buon Cristo si unì al loro primo sorriso. E
quasi immaginò quei monaci sorridenti narrare le proprie preghiere, e
immaginarsi Pietro verso quelle difficili cime…
Aspettò qualche ora poi prese subito penna e
calamaio e come un’aquila nel suo volo mattutino rispose al proprio amico:
Le confido che mi è di gradita sorpresa cotal invito, e senza inutili disquisizioni le confermo tutta la volontà unita alla disponibilità da Lei chiesta, non tanto di partecipare al periglioso Viaggio, ma di non farLe mancare la necessaria collaborazione che in ciò mi lusinga nel parteciparvi in immateriale ma spirituale presenza.
La salute non mi assiste e per lei sarai un
inutile peso. Quindi fin d’ora le prometto ogni mia vigile ed attenta
collaborazione per tutto ciò che lei ricaverà da codesto Viaggio qual nuova
linfa di Luce…
Le chiedo però solenne patto e promessa di non far
tesoro alcuno ad altri accademici, rischieremmo, almeno nel patrio suolo donde
maturate le nostre ricerche, stesse identiche pene e non certo dovute alle
difficoltà del Viaggio esposto in sì alte inviolate quote.
Riserviamoci dunque reciproche epistole e
Frammenti anche se i reperti fossero solo Brandelli, così da esaminare per il
bene della Vetta non men della Cima navigata in ragion della Verità più
approfondita Strofa.
Suo Emilio Motta, Lucerna 1905
La natura appartiene a se stessa, l’essenza all’essenza; l’uomo le appartiene, essa appartiene all’uomo. Chi, dunque, le si avvicina con una sensibilità aperta, libera, sana, non fa che esercitare un suo diritto – il tenero bimbo come lo studioso più grave.
Strano è perciò che i naturalisti si contendano il
posto in un campo così illimitato, e pretendano d’impicciolirsi a vicenda un
mondo che non ha confini. Percepire, guardare, osservare, annotare,
congiungere, scoprire, inventare, sono attività dello spirito che,
separatamente o insieme, uomini più o meno dotati esercitano in mille modi.
Discernere, isolare, calcolare, misurare, pesare, sono mezzi altrettanto
importanti: col loro aiuto l’uomo abbraccia la natura, e cerca di dominarla per
volgere ogni cosa a suo profitto.
Da tutte queste capacità, e da molte altre che
sono loro sorelle, la natura benigna non ha escluso nessuno. Anche un bimbo,
anche un idiota, possono fare un’osservazione che sfugge all’uomo più esperto,
e così, con serena incoscienza, appropriarsi di ciò che del grande patrimonio
comune spetta loro.
Perciò, nello stadio presente delle scienze naturali, è inevitabile si ponga ripetutamente la questione che cosa possa favorirle e che cosa invece ostacolarle, e nulla sarà loro più propizio del fatto che ciascuno si tenga al posto suo, conosca quel che può, eserciti quello che sa, e riconosca lo stesso diritto agli altri, affinché tutti operino e producano.
Purtroppo, oggi come oggi, ciò non avviene senza
lotta né contrasto, in quanto è nella natura tanto delle cose quanto dell’uomo
che forze avverse insorgano, si costituiscano proprietà in esclusiva e, non di
nascosto ma apertamente, ci s’impadronisca dell’altrui.
Anche in questi nostri quaderni, non è stato
possibile evitare contrasti e litigi spesso violenti; ma il mio desiderio più
vivo è che, a poco a poco, gli elementi ostili ne vengano espulsi. Tuttavia,
poiché desidero assicurare a me e ad altri una maggior libertà di movimento di
quella che, finora, ci è stata concessa, non si prenda in mala parte se io e quelli
che la pensano come me trattiamo con durezza di linguaggio ciò che alle nostre
legittime richieste si oppone, e non siamo più disposti a tollerare ciò che da
anni si ordisce contro di noi.
Ma, perché l’eco di ogni fastidiosa irritazione
abbia a spegnersi più in fretta, il nostro invito alla benevolenza chiede a
ciascuno, chiunque egli sia, di dimostrare praticamente il suo diritto, e
domandarsi: ‘Che cosa fai, in realtà, al posto tuo; e a che cosa sei chiamato?’
Noi ce lo chiediamo ogni giorno, e questi
fascicoli sono le nostre confessioni in risposta alla domanda – confessioni
nelle quali intendiamo proseguire indisturbati, con la lucidità e la purezza
che il soggetto e le forze ci permetteranno di applicare.
(G. Lazzari; Un mondo perduto)
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