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Ciò che ero solito amare, non amo più; mento: lo
amo, ma meno; ecco, ho mentito di nuovo: lo amo, ma con più vergogna, con più
tristezza; finalmente ho detto la verità. È proprio così: amo, ma ciò che
amerei non amare, ciò che vorrei odiare; amo tuttavia, ma contro voglia, nella
costrizione, nel pianto, nella sofferenza. In me faccio triste esperienza di quel
verso di un famosissimo poeta: “Ti odierò, se posso; se no, t’amerò contro
voglia”.
Non sono ancora passati tre anni da quando quella
volontà malvagia e perversa che tutto mi possedeva e che regnava incontrastata
nel mio spirito cominciò a provarne un’altra, ribelle e contraria; e tra l’una
e l’altra da un pezzo, nel campo dei miei pensieri, s’intreccia una battaglia ancor
oggi durissima e incerta per il possesso di quel doppio uomo che è in me’.
Così andavo col pensiero a quel passato decennio.
Rivolgendomi all’avvenire, mi domandavo: ‘Se ti accadesse di prolungare per
altri due lustri questa vita che fugge e di avvicinarti alla virtù nella stessa
proporzione in cui, in questo biennio, per l’insorgere della nuova volontà
contro la vecchia, ti sei allontanato dalla primitiva protervia, non potresti
forse allora, se non con certezza almeno con speranza, andare incontro alla
morte sui quarant’anni e questi residui anni di una vita che già declina verso
la vecchiezza, trascurarli senza rimpianti?’.
Questi ed altri simili erano i pensieri, padre mio, che mi ricorrevano nella mente.
Gioivo dei miei progressi, piangevo sulle mie
imperfezioni, commiseravo la comune instabilità delle azioni umane; e già mi
pareva d’aver dimenticato il luogo dove mi trovavo e perché vi ero venuto, quando,
lasciate queste riflessioni che altrove sarebbero state più opportune, mi volgo
indietro, verso occidente, per guardare ed ammirare ciò che ero venuto a
vedere: m’ero accorto infatti, stupito, che era ormai tempo di levarsi, che già
il sole declinava e l’ombra del monte s’allungava.
I Pirenei, che sono di confine tra la Francia e la
Spagna, non si vedono di qui, e non credo per qualche ostacolo che vi si
frapponga, ma per la sola debolezza della nostra vista; a destra, molto
nitidamente, si scorgevano invece i monti della provincia di Lione, a sinistra
il mare di Marsiglia e quello che batte Acque Morte, lontani alcuni giorni di
cammino; quanto al Rodano, era sotto i nostri occhi.
Mentre ammiravo questo spettacolo in ogni suo aspetto
ed ora pensavo a cose terrene ed ora, invece, come avevo fatto con il corpo,
levavo più in alto l’anima, credetti giusto dare uno sguardo alle ‘Confessioni
di Agostino’, dono del tuo affetto, libro che in memoria dell’autore e di chi
me l’ha donato, io porto sempre con me: libretto di piccola mole ma d’infinita
dolcezza. Lo apro per leggere quello che mi cadesse sott’occhio: quale pagina
poteva capitarmi che non fosse pia e devota?
Era il decimo libro.
Mio fratello, che attendeva per mia bocca di udire una parola di Agostino, era attentissimo. Lo chiamo con Dio a testimonio che dove dapprima gettai lo sguardo, vi lessi: ‘e vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano se stessi’.
Stupii, lo confesso; e pregato mio fratello che
desiderava udire altro di non disturbarmi, chiusi il libro, sdegnato con me stesso
dell’ammirazione che ancora provavo per cose terrene quando già da tempo, dagli
stessi filosofi pagani, avrei dovuto imparare che niente è da ammirare tranne
l’anima, di fronte alla cui grandezza non c’è nulla di grande.
Soddisfatto oramai, e persino sazio della vista di
quel monte, rivolsi gli occhi della mente in me stesso e da allora nessuno mi
udì parlare per tutta la discesa: quelle parole tormentavano il mio silenzio.
Non potevo certo pensare che tutto fosse accaduto casualmente; sapevo anzi che
quanto avevo letto era stato scritto per me, non per altri; tanto più che
ricordavo ciò che di se stesso aveva pensato Agostino quando, aprendo il libro
dell’Apostolo, come lui stesso racconta, lesse queste parole: “non gozzoviglie
ed ebbrezze, non lascivia e impudicizie, non risse e gelosia, ma rivestitevi
del Signore Gesù Cristo, e non seguite la carne nelle sue concupiscenze”.
La stessa cosa era già accaduta ad Antonio quando, leggendo nel Vangelo “se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi e dallo ai poveri; vieni, seguimi e avrai un tesoro nei cieli”, come se quelle parole fossero state scritte per lui (lo dice Atanasio autore della sua vita), si guadagnò il regno celeste. E come Antonio, udite quelle parole, non chiese altro; e come Agostino, letto quel passo, non andò oltre, così anch’io raccolsi tutta la mia lettura in quelle parole che ho riferito, riflettendo in silenzio quanta fosse la stoltezza degli uomini i quali, trascurando la loro parte più nobile, si disperdono in mille strade e si perdono in vani spettacoli, cercando all’esterno quello che si potrebbe trovare all’interno; pensando a quanta sarebbe la nobiltà del nostro animo se, di per sé tralignando, non si allontanasse dalle sue origini e non convertisse in vergogna le doti che Dio gli diede in suo onore.
Quante volte quel giorno – credilo – sulla via del
ritorno ho volto indietro lo sguardo alla cima del monte!
Eppure mi parve ben piccola altezza rispetto a
quella del pensiero umano, se non viene affondata nel fango delle turpitudini
terrene. Ed anche questo pensiero mi venne quasi ad ogni passo: se non ho
esitato a spendere tanta fatica e sudore per accostare solo di un poco il mio
corpo al cielo, quale croce, quale carcere, quale tormento potrebbero atterrire
un’anima nel suo cammino verso Dio, mentre calpesta le superbe vette della
temerarietà e gli umani destini; e quest’altro: quanti non vengono distratti da
questo sentiero per timore dei patimenti o per amore dei piaceri?
Veramente felici, se pur ce ne sono, coloro dei quali credo volesse dire il poeta: “felice chi poté scoprire il perché delle cose e tiene sotto di sé calpestato ogni timore e il destino implacabile e lo strepito dell’esoso Acheronte”. Ma quanta fatica dovremo durare per tenere sotto i piedi non una terra più alta, ma le passioni che si levano da istinti terreni!
Tra questi ondeggianti sentimenti del mio cuore,
senza accorgermi del sassoso sentiero, nel profondo della notte tornai alla
capanna da cui m’ero mosso all’alba, e il chiarore della luna piena ci era di
dolce conforto, nel cammino. Mentre poi i servi erano affaccendati nel
preparare la cena, mi sono ritirato tutto solo in un angolo della casa per
scriverti, in fretta e quasi improvvisandole, queste pagine; non volevo infatti
che, differendole, magari mutando con i luoghi i sentimenti, mi si spegnesse il
desiderio di scriverti.
Tu vedi dunque, amatissimo padre, come io non ti
voglia nascondere nulla di me, io che con tanta cura ti svelo non solo tutta la
mia vita, ma tutti i miei segreti pensieri, uno per uno; prega per essi, te ne
supplico, perché erranti e incerti da tanto tempo, finalmente si arrestino, e
dopo essere stati trascinati inutilmente per ogni dove, si rivolgano all’unico
bene, veramente certo e duraturo.
Addio. (F. P.)
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