Precedenti capitoli:
Prosegue con:
Leggendo in
maniera distratta, o meglio distrattamente, circa le locali Grandi Notizie del
giorno, mi imbatto in una paradossale condizione meditativa conferita tanto
dalla notizia quanto l’icona che al meglio o al peggio, seppur non volendo la
evidenzia, tratta nel contesto ben impaginato donde ricavata cotal strana
Visione filosofica circa la vita d’ognuno e la propria ed altrui ricchezza
universalmente distribuita in cui si specchia.
In bella
mostra con tanto di casa magnificamente ammobiliata la qual ‘campeggia’ in
bella evidenza nella cornice della Grande Notizia e l’invisibile prospettiva
conferita:
“il mercato
immobiliare non risente della crisi italiana, anzi in questa nota (ed
innominata) località montana”, ‘nel rispetto della tutela delle Leggi circa il
corretto intendimento del bene comune’, aggiungo con sarcasmo, riprendendo il breve ‘titolato’, “la crescita
costante dell’investimento nel settore di importanza vitale”.
Come il
voler dire ed affermare: ‘finché c’è mattone e catrame anche alle soglie di un
Parco naturale, gli addetti ai lavori, siano politici che edili, tirano un
sospiro di sollievo nonostante la ‘presunta’ crisi, e per come posta e interpretata
una certa Economica, conseguente irreversibile (almeno così ci appare) scelta territoriale.
In ugual
medesima pagina, come dicevo, non so se un caso una svista, o una presa in giro,
un panorama senza più vista, una notizia ben più amara:
“Le truppe
russe avanzano le genti delle località bombardate debbono evacuare”, ed anche
in questo stesso caso un icona che ne illustra ed amplifica il dramma: una
serie di persone di anziani e donne con alle loro spalle - ed in ottima e
simmetrica inversa prospettiva di decrescita -, le case distrutte e bombardate,
diciamo con amaro sarcasmo, ‘arredate a giorno’.
Ho provato
un malessere strano per come concepita non solo la vita, ma anche per chi
all’occhio altrui così la edifica e crea, e pone di conseguenza allo sguardo
vigile (con taluni) e distratto (con tutti) del ricco popolo, il quale
locale o non, può pur essere tranquillo nella propria pacifica inviolata
coscienza, che oltre all’invariata quota catastale, data dalla riforma,
l’attività immobiliare non ne riceverà conseguenza alcuna.
Ovvero
l’estate e in primavera può sorvolare ed arredare ogni costa!
Proprio
alle vele che ieri hanno sfilato in Memoria della famosa strage di Capaci,
medito talune e azzardate considerazioni date ad ugual vento, non contro la
‘magnifica pace’ così ben tutelata e coltivata, nonché distribuita a reti
unificate dal noto imprenditore per la maggior sicurezza o ricchezza d’ognuno,
giacché sappiamo altrettanto bene che la ricchezza si sposa con la peggiore volgarità
di questo ‘protetto saporito Sentiero’, accompagnato nell’arredamento dai più
volgari ‘compari’ della vecchia e nuova Compagnia, ‘vecchi e nuovi’, visto che
il populismo dei ‘buffoni’ tende a rimarcare il marchio di provenienza (il più noto copyright) al servizio
dell’imperatore, come la Storia del Castello in cotal Feudo impone!
[ Tutta Buccinasco
l’abbiamo fatta noi,
dice l’imprenditore Maurizio Luraghi a un uomo del clan Barbaro-Papalia. ‘[…] Dove c’è il centro commerciale e tutti i
capannoni dietro, li abbiamo fatti io, Domenico Barbaro e Rocco Papalia’.
Buccinasco,
periferia Nord-est di Milano, è una roccaforte della ’ndrangheta. Saverio
Morabito, uno dei primi collaboratori di giustizia, l’aveva definita la ‘Platì
del Nord’, per la massiccia presenza di calabresi originari del piccolo centro
della Locride, isolato e nascosto tra le pieghe dell’Aspromonte.
Tra le
tante persone oneste arrivate a Buccinasco, Corsico, Cesano Boscone, Rozzano e
Trezzano sul Naviglio, ci sono anche boss importanti come Domenico Barbaro e
Rocco Papalia, gente che, nel giro di pochi anni, monopolizza il movimento
terra in Lombardia, grazie a un esercito rampante di ‘padroncini’. Luraghi,
condannato in primo grado per associazione mafiosa, si difende: ‘Mi hanno
incendiato decine di automezzi, ho subito minacce. Li ho fatti lavorare perché
altrimenti rischiavo la pelle’. Ma i giudici non gli credono. Anzi, sospettano
che sotto quell’enorme speculazione edilizia, lungo via Guido Rossa, si
nasconda di tutto, rifiuti tossici e sostanze nocive per la salute.
Succede
spesso quando di mezzo c’è la ’ndrangheta. ‘Anche quando indossano la grisaglia’,
fa notare il procuratore aggiunto di Milano, Alberto Nobili, titolare di
moltissime indagini, ‘restano sempre ’ndranghetisti, pronti a intimidire,
minacciare, corrompere, uccidere’.
Sono molte
le storie legate ai cantieri dell’edilizia lombarda. In quello di City Life ci
hanno lavorato gli Strangio, i subappalti del nuovo Centro Direzionale della
Provincia sono finiti nelle mani di tre ditte riconducibili ai clan di Platì e
San Luca, nei lavori per il raddoppio della linea ferroviaria Milano-Mortara e
della Tav c’è stato lo zampino dei Barbaro-Papalia. Neanche dai lavori per Expo
2015 è stato possibile tenerli fuori. Sangue e cemento, veleni e ricchezza.
Oggi
investono prevalentemente nel mattone. Un settore che, come spiega Ranieri Razzante,
esperto di riciclaggio, rappresenta una riserva di valore. La ’ndrangheta
continua a considerarlo un bene rifugio. Se per il premio Nobel Robert Shiller
gli investimenti in questo settore andrebbero ponderati, i boss investono senza
pensarci due volte. Hanno la necessità di riciclare denaro. E se Shiller
sostiene che le case hanno continuamente bisogno di manutenzione, le mafie non
cercano altro. Ogni intervento di manutenzione è un’opportunità di riciclaggio
in più, con altri soldi sporchi che vengono ripuliti: nell’acquisto di
materiale o nel pagamento delle prestazioni di operai che spesso lavorano per
aziende controllate dagli stessi proprietari dell’edificio, ma gestite da
prestanome. Capita anche, e molto spesso, che i proprietari degli investimenti
immobiliari siano anch’essi teste di legno. L’interesse per il mattone è
confermato anche dalla percentuale (42 per cento) delle aziende sequestrate ai
clan. Spiega una ricerca di Unioncamere:
Si tratta
di beni sicuri, che possono facilmente essere intestati a prestanome, che non
richiedono grande impegno gestionale, e che quindi non richiedono competenze
specifiche di tipo imprenditoriale, che nelle grandi aree urbane, stante la
situazione del mercato immobiliare (soprattutto quella pre-crisi) possono però
fruttare importanti guadagni. Solo in pochissimi casi i beni sono costituiti da
complessi produttivi, nell’industria, nei servizi o nel turismo. Questo perché
la loro gestione richiede maggiore impegno, numerose autorizzazioni, un
monitoraggio fiscale attento, e un rischio d’impresa.
Ma si
investe sul mattone anche perché le compravendite sono legittimate da atti
pubblici, come spiega ancora Razzante: ‘Una cosa è tenere un milione di dollari
in banca con il rischio di venire scoperto, un’altra è investire in una casa,
potendosela permettere o ricorrendo a un prestanome in grado di poterlo fare’.
Un’altra buona ragione è la ‘rivendibilità sul mercato’: un appartamento che si
affaccia su Piazza di Spagna a Roma o su qualche zona residenziale di una città
importante trova sempre un acquirente. E poi anche l’invenduto per le mafie
rappresenta un vantaggio. Anzi crea concorrenza sleale nei confronti delle
ditte serie che sono costrette a tenerselo in pancia rischiando il fallimento.
Di contro i mafiosi possono tranquillamente aspettare, perché il vero obiettivo
è l’operazione di riciclaggio, non la sua rendita.
A favorire
gli investimenti immobiliari, sono anche i contratti sottostanti al mattone. ‘Su
un’abitazione’ ci spiega ancora Razzante, ‘è possibile mettere un’ipoteca, un
pegno, con cui chiedere altri finanziamenti. Quale banca ti nega dieci milioni
di euro, se hai come garanzia un patrimonio immobiliare che ne vale cento?’. Operazioni di questo tipo vengono condotte anche all’estero in quei paradisi
normativi, dove non esiste il reato di associazione mafiosa e dove il denaro
sporco entra più facilmente nei settori legali dell’economia. L’aspetto della
delocalizzazione è fondamentale, anche nell’ottica dell’allontanamento del
denaro dalla sua provenienza illecita.
Si investe
nel mattone, infine, perché è un bene che genera indotto. Un edificio adibito a
uffici, per esempio, può essere affittato. I soldi del canone sono bancabili e
contribuiscono a creare ricchezza pulita. Spesso i clan affittano locali a
professionisti compiacenti, avvocati, commercialisti, consulenti finanziari.
Puoi tirarci dentro anche l’avvocato che ti cura gli interessi. I soldi non
hanno odore, né colore, ma uniscono, creano ponti, cointeressenze, collusioni,
contiguità.
(Gratteri/Nicaso) ]
Dopo questa breve parentesi storica, circa le meditazioni, distratte ma non certo prevenute, giacché come diceva Falcone: la ‘mafia’ un poco ci assomiglia, quindi è bene non trasformarla in un mostro, infatti bisogna capirla, così come quando ci apprestiamo ad ammirarne ugual ‘panorama’ sfogliandolo da un noto giornale locale, certamente alcune divergenze di vedute circa l’ecosistema osservato, risaltano evidenti all’occhio in maniera paradossale.
Ma a questo
punto, visto che taluni nominano invocano e proclamano, in maniera congiunta,
quasi da affiliati, la famosa e più nota pax, dalla quale deriva l’ottimo
investimento immobiliare (e non solo
romano) con ugual o divergente vista e svista, così come la casa indebitamente bombardata (e non più del popolo), mi appresto a
leggervi e sottolineare in questa stessa data (23 C.M.), per una eretica
simmetria, cotal enunciato circa l’Estetica detta,
e dalla quale ne deduciamo e ricaviamo l’Ecosistema (dal piccolo seppur grande elevato montano paese specchio della propria
ed altrui nazione, e come interpretare il concetto di tutela non solo del
vilipeso paesaggio, ma anche dell’oltraggio costante perpetrato a danno della
più umile Democrazia, inserita sottinteso, in ugual ecosistema del dedotto
ricavato della propria ed altrui economia…), e il suo corretto o scorretto
intendimento per come saper intendere e far risorgere o naufragare il bene
comune della Natura d’ognuno attraversata ed incamminata, oppure impedita da un
più nobile e ricco blindato motorizzato:
Anche
la mafia ha una sua estetica. Non è certamente fatta di coppole storte e lupara
a tracolla.
Per
comprenderla, bisogna partire dalle parole di Giovanni Falcone. ‘La mafia’, diceva
il magistrato palermitano ucciso nel 1992, ‘non è un fenomeno sovra-umano e
sovrannaturale, può quindi essere interpretato, affrontato e sconfitto con
strumenti umani. Se vogliamo combattere la mafia non dobbiamo trasformarla in
un mostro, dobbiamo riconoscere che ci assomiglia’.
I mafiosi
spesso li troviamo negli uffici pubblici, negli ospedali, negli organismi
elettivi. Sono professionisti, gente apparentemente normale, come Giulio
Moneta, il vicino di casa di Jep nel film La grande bellezza di Paolo
Sorrentino. Uno che passa inosservato, nonostante sia tra i dieci latitanti più
ricercati nel mondo.
Sono anche
più colti, come segnala su la Repubblica Attilio Bolzoni. Costretti al carcere
duro, leggono di tutto: da Dostoevskij a Tolstoj, da Svevo a Pirandello, da
Virgilio a Kant. Una volta si limitavano a leggere la Bibbia, Il Padrino di
Mario Puzo, I Beati Paoli e Coriolano della Floresta di Wiliam Galt. L’imprendibile
Matteo Messina Denaro qualche anno fa dialogava per lettera sotto il falso nome
di "Alessio" con l'ex sindaco di Castelvetrano Tonino Vaccarino (che
si firmava ‘Svetonio’) confessandogli, suo malgrado, ‘di essere diventato il
Malaussène di tutti e di tutto’, immedesimandosi nel personaggio inventato
dallo scrittore francese Daniel Pennac. Nelle sue corrispondenze con ‘Svetonio’,
Messina Denaro ricordava anche L’Eneide, ragionava su Toni Negri, citava Jorge
Amado: ‘Non c’è cosa più infima della giustizia quando va a braccetto con la
politica’.
Le mafie
sono cambiate. C’è una sorta di darwinismo criminale
che condanna tutti quei modelli e quelle forme incapaci di adattarsi ai
cambiamenti sociali e alle trasformazioni innescate da meccanismi come la
globalizzazione e le nuove tecnologie. È una mafia che spara di meno, ma che
continua a fornire sul libero mercato beni e servizi legali e illegali. È
silente, come l’ha definita la Corte di Cassazione, rischia di divenire ancora
più invisibile perché, a differenza di quella tradizionale, instaura con i
territori e le popolazioni locali un rapporto meno aggressivo rispetto al
passato, ma sempre più collusivo, all’insegna dello scambio e della reciproca
convenienza. (La
famosa pax) Insomma, cambia, rimanendo sempre la stessa identica ‘cosa’.
Per la
legge, la mafia, come fenomeno criminale specifico, esiste solo dal 1982, da
quando è entrata in vigore la legge 646,
più comunemente conosciuta come Rognoni-La Torre.
Prima la
mafia veniva trattata come qualsiasi altra organizzazione criminale. Questa
legge ha introdotto nel Codice penale l’articolo 416 bis, che oggi recita così:
‘L’associazione
è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di
intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e
di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto
od indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di
concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare
profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri’.
Oggi la
reputazione di certe famiglie è talmente forte che assoggettamento e omertà si
manifestano senza che ci sia necessità di sparare un colpo o di minacciare
nessuno. Come identificare allora la mafia, quando viene meno il metodo mafioso
che, secondo la legge, prevede la forza di intimidazione, l’assoggettamento e l’omertà?
Vale
comunque la pena riprendere la sentenza della Cassazione, pronunciata il 9
giugno 2015. Scrivono i giudici della Suprema Corte:
‘La forza
intimidatrice espressa dal vincolo associativo dalla quale derivano
assoggettamento ed omertà può essere diretta tanto a minacciare la vita o l’incolumità
personale, quanto, anche o soltanto, le essenziali condizioni esistenziali,
economiche o lavorative di specifiche categorie di soggetti. Ferma restando una
riserva di violenza nel patrimonio associativo, tale forza intimidatrice può
venire acquisita con la creazione di una struttura organizzativa che, in virtù
di contiguità politiche ed elettorali, con l’uso di prevaricazioni e con una
sistematica attività corruttiva, esercita condizionamenti diffusi nell’assegnazione
di appalti, nel rilascio di concessioni, nel controllo di settori di attività
di enti pubblici o di aziende parimenti pubbliche, tanto da determinare un
sostanziale annullamento della concorrenza o di nuove iniziative da parte di
chi non aderisca o non sia contiguo al sodalizio’.
In quel ‘sostanziale
annullamento della concorrenza’ e in quella minore ‘riserva di violenza nel
patrimonio associativo’ sono contenute le premesse concettuali per una
possibile revisione del 416 bis, il reato di
associazione a delinquere di tipo mafioso.
I clan
vivono sempre più in un contesto corruttivo che lega innumerevoli interessi,
alimentandosi anche grazie al sostegno di gente estranea all’organizzazione.
Ciò che salda il mondo di sotto con quello di sopra è il denaro che, da sempre,
è funzionale al potere, come spiega efficacemente Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto della Procura della
Repubblica di Messina: ‘I mafiosi sono visibili se violenti, quasi mai, quando
generano consenso. Ciò che è invisibile non lo trascini nei processi, e così la
mafia si è trasformata sempre più da azione pura in metodo’.
Per Ardita, la puoi stanare solo se capisci
la sua essenza. ‘La troveremo a brindare coi banchieri che hanno dato l’assalto
ai risparmi delle famiglie; coi bancarottieri e coi politici corrotti; e
insieme a tutti loro vestita con abiti eleganti condannerà la violenza e farà
inni alla legalità. Per sconfiggerla serviranno più processi di concorso
esterno, più indagini su deviazioni e corruzioni istituzionali: esattamente
quelli che certa propaganda ci ha insegnato a detestare’.
(Gratteri/Nicaso)
Compiuta e
ricomposta questa Ardita conquista ed ascesa all’aspromonte, con la meditata
simmetrica 'nota' da cui l’Ecosistema osservato, e non solo italiano, il
quale l’ha originata ed esportata con ottimo unanime successo, in riferimento
al consenso così come l’inganno maturato, otteniamo la simmetrica ‘formula’ ricavata dalla pagina
letta distrattamente, nonché i continui paradossali riferimenti circa la cosiddetta
‘pax’ per il bene e l’armonia, o meglio,
l’anonimato d’ognuno (almeno come al
peggio o al meglio interpretata), compreso il rimembrato e graduato eroe o
Agente Segreto di Conrad, al quale
concediamo il merito di averlo importato dal Congo, e successivamente in faccia
all’embargo, esportato e stipato (in nome della ‘pax’) con ottimo successo per
l’intera Compagnia anche in quel dì della Sicilia.
[ Mentre nell’Unione Europea si discute della
necessità di interrompere le importazioni di petrolio dalla Russia, negli
ultimi mesi l’Italia si è mossa in direzione contraria alla maggior parte dei
paesi europei. Secondo dati raccolti dal Financial Times, l’Italia questo mese
ha importato 450 mila barili di greggio dalla Russia: è quattro volte la
quantità che era stata importata a febbraio e il dato più alto dal 2013. Di
questo passo, l’Italia potrebbe diventare presto il maggior importatore europeo
di petrolio russo trasportato via mare, superando i Paesi Bassi.
Questo
enorme aumento delle importazioni è dovuto in gran parte alla necessità di
mantenere aperta la raffineria Lukoil Isab di Priolo, in provincia di Siracusa,
che è di proprietà dell’azienda petrolifera russa Lukoil e che, come
conseguenza indiretta delle sanzioni per la guerra in Ucraina, deve usare
esclusivamente greggio di provenienza russa per la sua attività.
La
raffineria Isab di Priolo è una delle più grandi d’Italia. Attualmente, secondo
dati riportati dal Sole 24 Ore, lavora il 13,6 per cento di tutto il greggio
che arriva in Italia (in media 10,6 milioni tonnellate all’anno), e poi esporta
il prodotto finito in tutto il mondo. L’impianto Isab fu costruito nel 1972 e
apparteneva all’azienda energetica italiana ERG, che a partire dal 2008 lo
vendette a Litasco, una società svizzera controllata dalla russa Lukoil.
In
condizioni normali, l’impianto Isab compra il greggio da raffinare da
produttori di tutto il mondo: circa il 30 per cento viene da Lukoil, la casa
madre russa che ha anche ampie attività estrattive, mentre il resto da altri
fornitori. Le sanzioni imposte dall’Occidente contro la Russia per l’invasione
dell’Ucraina, però, hanno cambiato le cose: benché Lukoil non sia sanzionata
direttamente, tutte le principali banche mondiali hanno smesso di concedere
all’Isab il credito e le garanzie necessarie per comprare greggio dall’estero,
per timore di rimanere coinvolte in attività finanziarie che potrebbero essere
sanzionate.
In questo
modo, l’Isab si è trovata a non poter più comprare greggio, e ha cominciato a
importare il 100 per cento del suo greggio direttamente da Lukoil, facendo così
aumentare enormemente le importazioni italiane di greggio russo: attualmente,
due terzi del petrolio russo che arriva in Italia finisce all’Isab, ha scritto
il Financial Times. Secondo i rappresentanti dell’azienda, senza il petrolio
russo lo stabilimento sarebbe costretto a chiudere.
In questo
modo, l’Italia si trova in una posizione molto scomoda. L’aumento delle importazioni
di petrolio russo è in opposizione diretta con gli obiettivi europei, condivisi
anche dal governo italiano, secondo cui è necessario interrompere le
importazioni energetiche dalla Russia come risposta all’invasione dell’Ucraina.
Ma farlo senza una soluzione adeguata per Isab metterebbe in crisi un pezzo
abbastanza grosso dell’economia locale: l’Isab ha circa mille dipendenti e un
indotto piuttosto notevole, e le sue spedizioni costituiscono una parte
consistente dell’attività del vicino porto di Augusta.
Non è
ancora chiaro cosa intenda fare il governo: il ministero dello Sviluppo
economico sta studiando la questione, mentre il governatore della Regione
Sicilia, Nello Musumeci, ha già chiesto che si faccia di tutto per mantenere
aperto lo stabilimento. Tra le possibili soluzioni ci potrebbe essere perfino
la nazionalizzazione, un’ipotesi per ora negata dal governo ma molto citata
dalla stampa: lo stato prenderebbe il controllo dell’impianto per qualche anno,
per poi venderlo a un nuovo compratore.
Il problema
delle raffinerie russe in Europa comunque non riguarda soltanto la Sicilia.
Sempre secondo il Financial Times le importazioni di greggio dalla Russia sono
aumentate anche nel porto di Trieste: questa volta non servono per alimentare
raffinerie locali, ma due raffinerie dell’azienda statale russa Rosneft situate
in Germania, a cui il porto di Trieste è collegato tramite oleodotti.
(Il
Post) ]
Quindi il
giorno non più della strage ma delle continue stragi, è legittimo chiedersi, se
la ‘guerra’ posta nei termini di impropria aggressione (come abbiamo appena letto circa una e più Leggi per contrastare la
mafia…) è e debba considerarsi non disgiunta, se applicata attuata e
conseguita indebitamente, al pari del fenomeno e concetto mafioso che ne
consegue?
Se la
risposta, con possibili innumerevoli rimandi e asterischi, risulta affermativa,
allora lo zar di questa grande illegittima aggressione divenuta guerra globale,
oltre che come criminale debba - a Ragione - essere trattato, quindi perseguito,
secondo ugual schemi di Legge, ovvero come il più grande mafioso che la
secolare storia medita e pretende nella pax mafiosa (per coloro che sono digiuni di Storia la mafia ebbe origine dal non lontano
Medioevo a cui il tiranno aspira non meno del Feudo che ne proclama la
rinascita indiscussa).
Dacché ne
consegue ancora, che chi tratta non più con un Stato canaglia, ma un grande
mafioso, il quale come tale debba e possa essere legittimamente perseguito
entro ugual termini di Legge, la quale applicata in medesima misura di
proporzionati termini e non più interpretativi, tanto al tiranno quanto dal più
piccolo al grande mafioso (e futuro ed
ugual dittatore) a tutela di
soggetti più deboli e inermi, privati dei lori diritti e averi, nonché
aggrediti dal potere congiunto di una mafia universalizzata, quando si
appropria (o tenta) per ciò che non gli appartiene; possa risolvere e
risollevare l’antica questione ampiamente dibattuta circa la reclamata pax
mafiosa, la quale ebbe molte interpretazioni in quella che fu una simmetrica
guerra anch’essa preventiva.
Ma non
solo, ciò che al di fuori di ogni logica o intesa qual ‘pax’ per ogni ‘legittima’
pretesa criminale-mafiosa associata quale protezione (e non più offesa, ecco il grande inganno della mafia ed ogni simmetrica
mafia) per legittimare la presenza sul territorio qual vero liberatore, e
come direbbe uno scrittore Finlandese di recente scomparso, qual ‘liberatore’
di ‘popoli oppressi’; anche i tibetani furono liberati ma mai seppero di quale
liberazione si trattò, forse solo della libertà come di più vasti e ricomposti
territori a beneficio dell’altrui portafoglio?
La grande
capacità di camuffare e sovvertire ogni verità con l’intimidazione non solo
confacente ad una genetica criminale-mafiosa, interi apparati politici
l’adottarono con più ampio unanime consenso storico.
Infatti
quando i tibetani furono liberati con l’inganno, mai seppero da ciò di cui
liberati nonché oppressi, compreso in questa dedotta simmetria, anche la
sacralità di cui portatori nel costante divieto dell’esercizio del libero
pensiero, violato in nome del chierichetto al servizio della più feroce
ortodossia storica.
In
nome e per conto della pax mafiosa?
Cambiamo
religione forse è meglio per ogni popolo oppresso da cotal intendimento e Dio!
Ovvero
liberiamo Dio dal vincolo criminale-mafioso a cui costretto!
(Giuliano)
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