giuliano

lunedì 23 maggio 2022

BREVI E PIU' 'SERIE' RIFLESSIONI

 










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Dalla censura giudicati


poco 'seri'..... 


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ulteriori considerazioni 





 

 

Leggendo in maniera distratta, o meglio distrattamente, circa le locali Grandi Notizie del giorno, mi imbatto in una paradossale condizione meditativa conferita tanto dalla notizia quanto l’icona che al meglio o al peggio, seppur non volendo la evidenzia, tratta nel contesto ben impaginato donde ricavata cotal strana Visione filosofica circa la vita d’ognuno e la propria ed altrui ricchezza universalmente distribuita in cui si specchia.

 

In bella mostra con tanto di casa magnificamente ammobiliata la qual ‘campeggia’ in bella evidenza nella cornice della Grande Notizia e l’invisibile prospettiva conferita:

 

“il mercato immobiliare non risente della crisi italiana, anzi in questa nota (ed innominata) località montana”, ‘nel rispetto della tutela delle Leggi circa il corretto intendimento del bene comune’, aggiungo con sarcasmo,  riprendendo il breve ‘titolato’, “la crescita costante dell’investimento nel settore di importanza vitale”.

 

Come il voler dire ed affermare: ‘finché c’è mattone e catrame anche alle soglie di un Parco naturale, gli addetti ai lavori, siano politici che edili, tirano un sospiro di sollievo nonostante la ‘presunta’ crisi, e per come posta e interpretata una certa Economica, conseguente irreversibile (almeno così ci appare) scelta territoriale.

 

In ugual medesima pagina, come dicevo, non so se un caso una svista, o una presa in giro, un panorama senza più vista, una notizia ben più amara:

 

“Le truppe russe avanzano le genti delle località bombardate debbono evacuare”, ed anche in questo stesso caso un icona che ne illustra ed amplifica il dramma: una serie di persone di anziani e donne con alle loro spalle - ed in ottima e simmetrica inversa prospettiva di decrescita -, le case distrutte e bombardate, diciamo con amaro sarcasmo, ‘arredate a giorno’.    

 

Ho provato un malessere strano per come concepita non solo la vita, ma anche per chi all’occhio altrui così la edifica e crea, e pone di conseguenza allo sguardo vigile (con taluni) e distratto (con tutti) del ricco popolo, il quale locale o non, può pur essere tranquillo nella propria pacifica inviolata coscienza, che oltre all’invariata quota catastale, data dalla riforma, l’attività immobiliare non ne riceverà conseguenza alcuna.

 

Ovvero l’estate e in primavera può sorvolare ed arredare ogni costa!

 

Proprio alle vele che ieri hanno sfilato in Memoria della famosa strage di Capaci, medito talune e azzardate considerazioni date ad ugual vento, non contro la ‘magnifica pace’ così ben tutelata e coltivata, nonché distribuita a reti unificate dal noto imprenditore per la maggior sicurezza o ricchezza d’ognuno, giacché sappiamo altrettanto bene che la ricchezza si sposa con la peggiore volgarità di questo ‘protetto saporito Sentiero’, accompagnato nell’arredamento dai più volgari ‘compari’ della vecchia e nuova Compagnia, ‘vecchi e nuovi’, visto che il populismo dei ‘buffoni’ tende a rimarcare il marchio di provenienza (il più noto copyright) al servizio dell’imperatore, come la Storia del Castello in cotal Feudo impone!

 

[ Tutta Buccinasco l’abbiamo fatta noi, dice l’imprenditore Maurizio Luraghi a un uomo del clan Barbaro-Papalia. ‘[…] Dove c’è il centro commerciale e tutti i capannoni dietro, li abbiamo fatti io, Domenico Barbaro e Rocco Papalia’.

 

Buccinasco, periferia Nord-est di Milano, è una roccaforte della ’ndrangheta. Saverio Morabito, uno dei primi collaboratori di giustizia, l’aveva definita la ‘Platì del Nord’, per la massiccia presenza di calabresi originari del piccolo centro della Locride, isolato e nascosto tra le pieghe dell’Aspromonte.

 

Tra le tante persone oneste arrivate a Buccinasco, Corsico, Cesano Boscone, Rozzano e Trezzano sul Naviglio, ci sono anche boss importanti come Domenico Barbaro e Rocco Papalia, gente che, nel giro di pochi anni, monopolizza il movimento terra in Lombardia, grazie a un esercito rampante di ‘padroncini’. Luraghi, condannato in primo grado per associazione mafiosa, si difende: ‘Mi hanno incendiato decine di automezzi, ho subito minacce. Li ho fatti lavorare perché altrimenti rischiavo la pelle’. Ma i giudici non gli credono. Anzi, sospettano che sotto quell’enorme speculazione edilizia, lungo via Guido Rossa, si nasconda di tutto, rifiuti tossici e sostanze nocive per la salute.

 

Succede spesso quando di mezzo c’è la ’ndrangheta. ‘Anche quando indossano la grisaglia’, fa notare il procuratore aggiunto di Milano, Alberto Nobili, titolare di moltissime indagini, ‘restano sempre ’ndranghetisti, pronti a intimidire, minacciare, corrompere, uccidere’.

 

Sono molte le storie legate ai cantieri dell’edilizia lombarda. In quello di City Life ci hanno lavorato gli Strangio, i subappalti del nuovo Centro Direzionale della Provincia sono finiti nelle mani di tre ditte riconducibili ai clan di Platì e San Luca, nei lavori per il raddoppio della linea ferroviaria Milano-Mortara e della Tav c’è stato lo zampino dei Barbaro-Papalia. Neanche dai lavori per Expo 2015 è stato possibile tenerli fuori. Sangue e cemento, veleni e ricchezza.

 

Oggi investono prevalentemente nel mattone. Un settore che, come spiega Ranieri Razzante, esperto di riciclaggio, rappresenta una riserva di valore. La ’ndrangheta continua a considerarlo un bene rifugio. Se per il premio Nobel Robert Shiller gli investimenti in questo settore andrebbero ponderati, i boss investono senza pensarci due volte. Hanno la necessità di riciclare denaro. E se Shiller sostiene che le case hanno continuamente bisogno di manutenzione, le mafie non cercano altro. Ogni intervento di manutenzione è un’opportunità di riciclaggio in più, con altri soldi sporchi che vengono ripuliti: nell’acquisto di materiale o nel pagamento delle prestazioni di operai che spesso lavorano per aziende controllate dagli stessi proprietari dell’edificio, ma gestite da prestanome. Capita anche, e molto spesso, che i proprietari degli investimenti immobiliari siano anch’essi teste di legno. L’interesse per il mattone è confermato anche dalla percentuale (42 per cento) delle aziende sequestrate ai clan. Spiega una ricerca di Unioncamere:

 

Si tratta di beni sicuri, che possono facilmente essere intestati a prestanome, che non richiedono grande impegno gestionale, e che quindi non richiedono competenze specifiche di tipo imprenditoriale, che nelle grandi aree urbane, stante la situazione del mercato immobiliare (soprattutto quella pre-crisi) possono però fruttare importanti guadagni. Solo in pochissimi casi i beni sono costituiti da complessi produttivi, nell’industria, nei servizi o nel turismo. Questo perché la loro gestione richiede maggiore impegno, numerose autorizzazioni, un monitoraggio fiscale attento, e un rischio d’impresa.

 

Ma si investe sul mattone anche perché le compravendite sono legittimate da atti pubblici, come spiega ancora Razzante: ‘Una cosa è tenere un milione di dollari in banca con il rischio di venire scoperto, un’altra è investire in una casa, potendosela permettere o ricorrendo a un prestanome in grado di poterlo fare’. Un’altra buona ragione è la ‘rivendibilità sul mercato’: un appartamento che si affaccia su Piazza di Spagna a Roma o su qualche zona residenziale di una città importante trova sempre un acquirente. E poi anche l’invenduto per le mafie rappresenta un vantaggio. Anzi crea concorrenza sleale nei confronti delle ditte serie che sono costrette a tenerselo in pancia rischiando il fallimento. Di contro i mafiosi possono tranquillamente aspettare, perché il vero obiettivo è l’operazione di riciclaggio, non la sua rendita.

 

A favorire gli investimenti immobiliari, sono anche i contratti sottostanti al mattone. ‘Su un’abitazione’ ci spiega ancora Razzante, ‘è possibile mettere un’ipoteca, un pegno, con cui chiedere altri finanziamenti. Quale banca ti nega dieci milioni di euro, se hai come garanzia un patrimonio immobiliare che ne vale cento?’. Operazioni di questo tipo vengono condotte anche all’estero in quei paradisi normativi, dove non esiste il reato di associazione mafiosa e dove il denaro sporco entra più facilmente nei settori legali dell’economia. L’aspetto della delocalizzazione è fondamentale, anche nell’ottica dell’allontanamento del denaro dalla sua provenienza illecita.

 

Si investe nel mattone, infine, perché è un bene che genera indotto. Un edificio adibito a uffici, per esempio, può essere affittato. I soldi del canone sono bancabili e contribuiscono a creare ricchezza pulita. Spesso i clan affittano locali a professionisti compiacenti, avvocati, commercialisti, consulenti finanziari. Puoi tirarci dentro anche l’avvocato che ti cura gli interessi. I soldi non hanno odore, né colore, ma uniscono, creano ponti, cointeressenze, collusioni, contiguità.

 

(Gratteri/Nicaso)   ]

 

Dopo questa breve parentesi storica, circa le meditazioni, distratte ma non certo prevenute, giacché come diceva Falcone: la ‘mafia’ un poco ci assomiglia, quindi è bene non trasformarla in un mostro, infatti bisogna capirla, così come quando ci apprestiamo ad ammirarne ugual ‘panorama’ sfogliandolo da un noto giornale locale, certamente alcune divergenze di vedute circa l’ecosistema osservato, risaltano evidenti all’occhio in maniera paradossale.

 

Ma a questo punto, visto che taluni nominano invocano e proclamano, in maniera congiunta, quasi da affiliati, la famosa e più nota pax, dalla quale deriva l’ottimo investimento immobiliare (e non solo romano) con ugual o divergente vista e svista, così come la casa  indebitamente bombardata (e non più del popolo), mi appresto a leggervi e sottolineare in questa stessa data (23 C.M.), per una eretica simmetria, cotal enunciato circa l’Estetica detta, e dalla quale ne deduciamo e ricaviamo l’Ecosistema (dal piccolo seppur grande elevato montano paese specchio della propria ed altrui nazione, e come interpretare il concetto di tutela non solo del vilipeso paesaggio, ma anche dell’oltraggio costante perpetrato a danno della più umile Democrazia, inserita sottinteso, in ugual ecosistema del dedotto ricavato della propria ed altrui economia…), e il suo corretto o scorretto intendimento per come saper intendere e far risorgere o naufragare il bene comune della Natura d’ognuno attraversata ed incamminata, oppure impedita da un più nobile e ricco blindato motorizzato:

 

Anche la mafia ha una sua estetica. Non è certamente fatta di coppole storte e lupara a tracolla.

 

Per comprenderla, bisogna partire dalle parole di Giovanni Falcone. ‘La mafia’, diceva il magistrato palermitano ucciso nel 1992, ‘non è un fenomeno sovra-umano e sovrannaturale, può quindi essere interpretato, affrontato e sconfitto con strumenti umani. Se vogliamo combattere la mafia non dobbiamo trasformarla in un mostro, dobbiamo riconoscere che ci assomiglia’.

 

I mafiosi spesso li troviamo negli uffici pubblici, negli ospedali, negli organismi elettivi. Sono professionisti, gente apparentemente normale, come Giulio Moneta, il vicino di casa di Jep nel film La grande bellezza di Paolo Sorrentino. Uno che passa inosservato, nonostante sia tra i dieci latitanti più ricercati nel mondo.

 

Sono anche più colti, come segnala su la Repubblica Attilio Bolzoni. Costretti al carcere duro, leggono di tutto: da Dostoevskij a Tolstoj, da Svevo a Pirandello, da Virgilio a Kant. Una volta si limitavano a leggere la Bibbia, Il Padrino di Mario Puzo, I Beati Paoli e Coriolano della Floresta di Wiliam Galt. L’imprendibile Matteo Messina Denaro qualche anno fa dialogava per lettera sotto il falso nome di "Alessio" con l'ex sindaco di Castelvetrano Tonino Vaccarino (che si firmava ‘Svetonio’) confessandogli, suo malgrado, ‘di essere diventato il Malaussène di tutti e di tutto’, immedesimandosi nel personaggio inventato dallo scrittore francese Daniel Pennac. Nelle sue corrispondenze con ‘Svetonio’, Messina Denaro ricordava anche L’Eneide, ragionava su Toni Negri, citava Jorge Amado: ‘Non c’è cosa più infima della giustizia quando va a braccetto con la politica’.

 

Le mafie sono cambiate. C’è una sorta di darwinismo criminale che condanna tutti quei modelli e quelle forme incapaci di adattarsi ai cambiamenti sociali e alle trasformazioni innescate da meccanismi come la globalizzazione e le nuove tecnologie. È una mafia che spara di meno, ma che continua a fornire sul libero mercato beni e servizi legali e illegali. È silente, come l’ha definita la Corte di Cassazione, rischia di divenire ancora più invisibile perché, a differenza di quella tradizionale, instaura con i territori e le popolazioni locali un rapporto meno aggressivo rispetto al passato, ma sempre più collusivo, all’insegna dello scambio e della reciproca convenienza. (La famosa pax) Insomma, cambia, rimanendo sempre la stessa identica ‘cosa’.

 

Per la legge, la mafia, come fenomeno criminale specifico, esiste solo dal 1982, da quando è entrata in vigore la legge 646, più comunemente conosciuta come Rognoni-La Torre.

 

Prima la mafia veniva trattata come qualsiasi altra organizzazione criminale. Questa legge ha introdotto nel Codice penale l’articolo 416 bis, che oggi recita così:

 

‘L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto od indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri’.

 

Oggi la reputazione di certe famiglie è talmente forte che assoggettamento e omertà si manifestano senza che ci sia necessità di sparare un colpo o di minacciare nessuno. Come identificare allora la mafia, quando viene meno il metodo mafioso che, secondo la legge, prevede la forza di intimidazione, l’assoggettamento e l’omertà?

 

Vale comunque la pena riprendere la sentenza della Cassazione, pronunciata il 9 giugno 2015. Scrivono i giudici della Suprema Corte:

 

‘La forza intimidatrice espressa dal vincolo associativo dalla quale derivano assoggettamento ed omertà può essere diretta tanto a minacciare la vita o l’incolumità personale, quanto, anche o soltanto, le essenziali condizioni esistenziali, economiche o lavorative di specifiche categorie di soggetti. Ferma restando una riserva di violenza nel patrimonio associativo, tale forza intimidatrice può venire acquisita con la creazione di una struttura organizzativa che, in virtù di contiguità politiche ed elettorali, con l’uso di prevaricazioni e con una sistematica attività corruttiva, esercita condizionamenti diffusi nell’assegnazione di appalti, nel rilascio di concessioni, nel controllo di settori di attività di enti pubblici o di aziende parimenti pubbliche, tanto da determinare un sostanziale annullamento della concorrenza o di nuove iniziative da parte di chi non aderisca o non sia contiguo al sodalizio’.

 

In quel ‘sostanziale annullamento della concorrenza’ e in quella minore ‘riserva di violenza nel patrimonio associativo’ sono contenute le premesse concettuali per una possibile revisione del 416 bis, il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso.

 

I clan vivono sempre più in un contesto corruttivo che lega innumerevoli interessi, alimentandosi anche grazie al sostegno di gente estranea all’organizzazione. Ciò che salda il mondo di sotto con quello di sopra è il denaro che, da sempre, è funzionale al potere, come spiega efficacemente Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Messina: ‘I mafiosi sono visibili se violenti, quasi mai, quando generano consenso. Ciò che è invisibile non lo trascini nei processi, e così la mafia si è trasformata sempre più da azione pura in metodo’.

 

Per Ardita, la puoi stanare solo se capisci la sua essenza. ‘La troveremo a brindare coi banchieri che hanno dato l’assalto ai risparmi delle famiglie; coi bancarottieri e coi politici corrotti; e insieme a tutti loro vestita con abiti eleganti condannerà la violenza e farà inni alla legalità. Per sconfiggerla serviranno più processi di concorso esterno, più indagini su deviazioni e corruzioni istituzionali: esattamente quelli che certa propaganda ci ha insegnato a detestare’.

 

(Gratteri/Nicaso)

 

 

Compiuta e ricomposta questa Ardita conquista ed ascesa all’aspromonte, con la meditata simmetrica 'nota' da cui l’Ecosistema osservato, e non solo italiano, il quale l’ha originata ed esportata con ottimo unanime successo, in riferimento al consenso così come l’inganno maturato, otteniamo la  simmetrica ‘formula’ ricavata dalla pagina letta distrattamente, nonché i continui paradossali riferimenti circa la cosiddetta ‘pax’ per il bene e l’armonia, o meglio, l’anonimato d’ognuno (almeno come al peggio o al meglio interpretata), compreso il rimembrato e graduato eroe o Agente Segreto di Conrad, al quale concediamo il merito di averlo importato dal Congo, e successivamente in faccia all’embargo, esportato e stipato (in nome della ‘pax’) con ottimo successo per l’intera Compagnia anche in quel dì della Sicilia.

 

[ Mentre nell’Unione Europea si discute della necessità di interrompere le importazioni di petrolio dalla Russia, negli ultimi mesi l’Italia si è mossa in direzione contraria alla maggior parte dei paesi europei. Secondo dati raccolti dal Financial Times, l’Italia questo mese ha importato 450 mila barili di greggio dalla Russia: è quattro volte la quantità che era stata importata a febbraio e il dato più alto dal 2013. Di questo passo, l’Italia potrebbe diventare presto il maggior importatore europeo di petrolio russo trasportato via mare, superando i Paesi Bassi.

 

Questo enorme aumento delle importazioni è dovuto in gran parte alla necessità di mantenere aperta la raffineria Lukoil Isab di Priolo, in provincia di Siracusa, che è di proprietà dell’azienda petrolifera russa Lukoil e che, come conseguenza indiretta delle sanzioni per la guerra in Ucraina, deve usare esclusivamente greggio di provenienza russa per la sua attività.

 

La raffineria Isab di Priolo è una delle più grandi d’Italia. Attualmente, secondo dati riportati dal Sole 24 Ore, lavora il 13,6 per cento di tutto il greggio che arriva in Italia (in media 10,6 milioni tonnellate all’anno), e poi esporta il prodotto finito in tutto il mondo. L’impianto Isab fu costruito nel 1972 e apparteneva all’azienda energetica italiana ERG, che a partire dal 2008 lo vendette a Litasco, una società svizzera controllata dalla russa Lukoil.

 

In condizioni normali, l’impianto Isab compra il greggio da raffinare da produttori di tutto il mondo: circa il 30 per cento viene da Lukoil, la casa madre russa che ha anche ampie attività estrattive, mentre il resto da altri fornitori. Le sanzioni imposte dall’Occidente contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina, però, hanno cambiato le cose: benché Lukoil non sia sanzionata direttamente, tutte le principali banche mondiali hanno smesso di concedere all’Isab il credito e le garanzie necessarie per comprare greggio dall’estero, per timore di rimanere coinvolte in attività finanziarie che potrebbero essere sanzionate.

 

In questo modo, l’Isab si è trovata a non poter più comprare greggio, e ha cominciato a importare il 100 per cento del suo greggio direttamente da Lukoil, facendo così aumentare enormemente le importazioni italiane di greggio russo: attualmente, due terzi del petrolio russo che arriva in Italia finisce all’Isab, ha scritto il Financial Times. Secondo i rappresentanti dell’azienda, senza il petrolio russo lo stabilimento sarebbe costretto a chiudere.

 

In questo modo, l’Italia si trova in una posizione molto scomoda. L’aumento delle importazioni di petrolio russo è in opposizione diretta con gli obiettivi europei, condivisi anche dal governo italiano, secondo cui è necessario interrompere le importazioni energetiche dalla Russia come risposta all’invasione dell’Ucraina. Ma farlo senza una soluzione adeguata per Isab metterebbe in crisi un pezzo abbastanza grosso dell’economia locale: l’Isab ha circa mille dipendenti e un indotto piuttosto notevole, e le sue spedizioni costituiscono una parte consistente dell’attività del vicino porto di Augusta.

 

Non è ancora chiaro cosa intenda fare il governo: il ministero dello Sviluppo economico sta studiando la questione, mentre il governatore della Regione Sicilia, Nello Musumeci, ha già chiesto che si faccia di tutto per mantenere aperto lo stabilimento. Tra le possibili soluzioni ci potrebbe essere perfino la nazionalizzazione, un’ipotesi per ora negata dal governo ma molto citata dalla stampa: lo stato prenderebbe il controllo dell’impianto per qualche anno, per poi venderlo a un nuovo compratore.

 

Il problema delle raffinerie russe in Europa comunque non riguarda soltanto la Sicilia. Sempre secondo il Financial Times le importazioni di greggio dalla Russia sono aumentate anche nel porto di Trieste: questa volta non servono per alimentare raffinerie locali, ma due raffinerie dell’azienda statale russa Rosneft situate in Germania, a cui il porto di Trieste è collegato tramite oleodotti.

 

(Il Post)   ]

 

Quindi il giorno non più della strage ma delle continue stragi, è legittimo chiedersi, se la ‘guerra’ posta nei termini di impropria aggressione (come abbiamo appena letto circa una e più Leggi per contrastare la mafia…) è e debba considerarsi non disgiunta, se applicata attuata e conseguita indebitamente, al pari del fenomeno e concetto mafioso che ne consegue?

 

Se la risposta, con possibili innumerevoli rimandi e asterischi, risulta affermativa, allora lo zar di questa grande illegittima aggressione divenuta guerra globale, oltre che come criminale debba - a Ragione - essere trattato, quindi perseguito, secondo ugual schemi di Legge, ovvero come il più grande mafioso che la secolare storia medita e pretende nella pax mafiosa (per coloro che sono digiuni di Storia la mafia ebbe origine dal non lontano Medioevo a cui il tiranno aspira non meno del Feudo che ne proclama la rinascita indiscussa).

 

Dacché ne consegue ancora, che chi tratta non più con un Stato canaglia, ma un grande mafioso, il quale come tale debba e possa essere legittimamente perseguito entro ugual termini di Legge, la quale applicata in medesima misura di proporzionati termini e non più interpretativi, tanto al tiranno quanto dal più piccolo al grande mafioso (e futuro ed ugual dittatore)  a tutela di soggetti più deboli e inermi, privati dei lori diritti e averi, nonché aggrediti dal potere congiunto di una mafia universalizzata, quando si appropria (o tenta) per ciò che non gli appartiene; possa risolvere e risollevare l’antica questione ampiamente dibattuta circa la reclamata pax mafiosa, la quale ebbe molte interpretazioni in quella che fu una simmetrica guerra anch’essa preventiva.

 

Ma non solo, ciò che al di fuori di ogni logica o intesa qual ‘pax’ per ogni ‘legittima’ pretesa criminale-mafiosa associata quale protezione (e non più offesa, ecco il grande inganno della mafia ed ogni simmetrica mafia) per legittimare la presenza sul territorio qual vero liberatore, e come direbbe uno scrittore Finlandese di recente scomparso, qual ‘liberatore’ di ‘popoli oppressi’; anche i tibetani furono liberati ma mai seppero di quale liberazione si trattò, forse solo della libertà come di più vasti e ricomposti territori a beneficio dell’altrui portafoglio?

 

La grande capacità di camuffare e sovvertire ogni verità con l’intimidazione non solo confacente ad una genetica criminale-mafiosa, interi apparati politici l’adottarono con più ampio unanime consenso storico.

 

Infatti quando i tibetani furono liberati con l’inganno, mai seppero da ciò di cui liberati nonché oppressi, compreso in questa dedotta simmetria, anche la sacralità di cui portatori nel costante divieto dell’esercizio del libero pensiero, violato in nome del chierichetto al servizio della più feroce ortodossia storica.

 

In nome e per conto della pax mafiosa?

 

Cambiamo religione forse è meglio per ogni popolo oppresso da cotal intendimento e Dio!

 

Ovvero liberiamo Dio dal vincolo criminale-mafioso a cui costretto!

 

(Giuliano)

[& il capitolo completo]








 

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