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Il 17 ottobre 1900, Zeppelin fece il suo secondo viaggio, e con risultati molto
migliori. Partendo dalla stessa mongolfiera di Manzell, alle quattro e
quarantacinque, si alzò prontamente di mille piedi e manovrò con un vento di
sette miglia, sterzando in grandi curve a volontà del pilota. A volte la velocità
era di quasi venti miglia orarie, come determinato dalle continue osservazioni
della posizione del pallone, presa da tre punti di un triangolo, insieme alla velocità
del vento nel suo corso, debitamente registrata da un anemometro. Finalmente
alle sei fu effettuato uno sbarco in acqua, senza incidenti.
La prevista
linea passeggeri della German Air Ship
Society fu inaugurata l’estate
successiva con serena audacia e magnificenza fiabesca. La prima nave impiegata,
la Zeppelin VII , era un’enorme nave
di insolita potenza, velocità ed eleganza nell’assetto. Era lunga 485 piedi per
46 di diametro, 690.000 piedi cubici e trasportava tre motori per un totale di
420 cavalli e in grado di guidarla a 35 miglia all’ora. A metà sotto il suo
scafo e rigidamente unita ad esso, c’era un’autovettura lunga trentacinque
piedi, con un vestibolo a un’estremità, un gabinetto all’altra e cinque
scompartimenti tra loro, con posti a sedere per venti persone. Oltre le
estremità dell’auto c’erano ponti aperti che portavano alle barche a prua ea
poppa contenenti i macchinari.
Alle tre del mattino del 22 giugno 1910, con il conte Zeppelin al comando e una dozzina di passeggeri a bordo, questa maestosa mongolfiera salpò da Friedrichshafen lungo la valle del Reno verso Düsseldorf, trecento miglia, e dopo un prospero viaggio di nove ore, fece un facile atterraggio. Il mattino dopo, alle otto e mezza, viaggiò da Düsseldorf a Dortmund, trentasette miglia a nord, navigando a un’altezza generale di mille piedi, su alcune delle più belle zone industriali della Germania. Poi è tornata a Düsseldorf con i suoi passeggeri felici, tutti entusiasti per il nuovo modo di viaggiare iniziato così di buon auspicio. Delle trentadue persone a bordo, la maggioranza erano passeggeri pubblici regolari che avevano pagato cinquanta dollari ciascuno per il viaggio, molti dei quali turisti provenienti da vari paesi.
Il viaggio
inaugurale di questo primo aereo di linea fu una meraviglia e un sogno di gioia
per i pochi fortunati che viaggiavano in uno stile così sereno. I comfort e lo
splendore del servizio superarono di gran lunga le loro aspettative. Seduto in
quell’auto fatata con la struttura in alluminio rivestiti di mogano e
palissandro intarsiati di perle, guardavano da ampie finestre il bellissimo
paesaggio tedesco che scivolava sotto di loro e godevano di visioni degne di
divinità itineranti.
Lungo le luccicanti acque del Reno, e sui suoi dirupi arroccato, e fra le sue dolci colline terrazzate di rigogliosi vigneti, ora lambite dalla gloria dell’estate, e sopra maestose città mormoranti di vita popolosa, navigavano nel più sereno conforto e sicurezza, meravigliandosi alla loro strana crociera attraverso il cielo, e ugualmente guardati con meraviglia da tutti gli abitanti sottostanti, per non dire scritti e letti da milioni di persone in tutte le parti del mondo civile. Le delizie del viaggio per terra e per mare erano felicemente mescolate, senza i loro inconvenienti. Non c’erano né polvere né fumo, né sferragliare di rotaie di ferro, né agitate onde in burrasca d’un mare agitato.
Al
contrario.
I sensi
furono incantati dal soffio di venti fragranti che soffiavano sempre e
uniformemente, dal ronzio melodioso delle veloci ruote dell’elica, dalle glorie
verdi della terra e dagli splendori purpurei del cielo. Quando il turista era
sazio di questi poteva rivolgersi al suo libro; quando era stanco della sua
sedia poteva passeggiare avanti e indietro in macchina su un morbido tappeto, o
lungo il ponte a traliccio al di là; quando il suo appetito chiamava, poteva
rispondere con il cibo e il vino più scelti; per ogni comodità era a
disposizione un ampio buffet.
Era tutto
così incantevole, anche se solo pratico.
Ma sappiamo altrettanto bene circa un volo sfortunato che in questa sede ci esentiamo nel rimembrare per gli onori e fasti della rinomata German Air Ship Society.
Chi ebbe
più fortuna nell’evoluzione aerea ugualmente meccanizzata e al quanto evoluta
nella velocità raggiunta, del quale ne ravviviamo l’audacia acrobatica non
meno della memoria persa, fu…
Alle 7:52 del 20 maggio 1927 Charles Lindbergh accese il motore dello ‘Spirit of St Louis’ e la puntò lungo la pista sterrata di Roosevelt Field, Long Island. Pesantemente carico di carburante, l’aereo rimbalzò sul campo fangoso, trentatré ore e mezza e 3.500 miglia dopo atterrò a Parigi, fu il primo a sorvolare l’Atlantico da solo.
Lavorando come pilota postale un anno prima, aveva sentito parlare del premio di $ 25.000 per il primo volo tra New York e Parigi. Sostenuto da un gruppo di uomini d’affari di St. Louis, Lindbergh supervisionò la costruzione del suo aereo speciale e si avviò alla riuscita del premio. Altre squadre stavano tentando l’impresa - alcune avevano incontrarono il disastro. Lindbergh si dotò di quattro panini, due borracce d’acqua e 451 galloni di gas. A metà del volo ‘il nevischio iniziò ad attaccarsi all’aereo. Questo mi preoccupava molto e discussi se dovevo continuare o tornare indietro. Decisi che non dovevo più pensare a tornare indietro’.
La sera del 21 maggio attraversò la costa
francese, seguì la Senna fino a Parigi e atterrò a Le Bourget Field alle 22:22.
La folla in attesa di 100.000 persone si precipitò sull’aereo. ‘Notai che c’era
il pericolo di uccidere le persone accorse con la mia elica e mi fermai subito’. Divenne subito un eroe, ‘l'Aquila
Solitaria’.
Chi ebbe la fortuna o sfortuna di decollare per poi atterrare in un diverso ‘panorama’, ivi appena accennato nell’evoluzione della specie la quale anch’essa, grazie ad i nuovi prodigiosi - nonché - ci informano dalla torre di controllo - ‘evoluti accorgimenti’, ‘vola’ nostro malgrado; andando a conferire alla prospettiva per quanto antica, specchio ed araldo circa l’immutata volontà umana di sconfiggere le Leggi degli Elementi, o della nuova Terra così edificata; non più nel vasto regno della metafisica, bensì nell’impero d’una diversa conquista, seppur celebrata con magno gaudio, benedetta e prospera nella fortuna d’ogni Società Finanziaria, mi dicono infatti, quotata anche in Borsa; la quale - come appena detto - in barba ad ogni Legge e rispetto del più povero Elemento dal Cielo alla Terra celebrato e difeso, ci inganna spia ogni giorno, andando a fondare ciò che non nominiamo ma costantemente pensiamo ed osserviamo, ma sappiamo molto bene qual strana evoluzione compia ogni giorno nel suo ‘artificioso volo’.
Il qual ‘volo’ si contraddistingue dalla merce di cui si fa costantemente carico, giacché mi dicono ancora, regna anche l’Arte di volare, così come l’Arte di contraffare spacciare ed inquinare.
Dedico
codesto breve post a colui che atterrato alla sua Terra natia fu vittima di
tutti coloro i quali ‘Capaci’ d’un diverso volo preannunziato al momento di
scrivere e rimembrarne l’epitaffio.
(Giuliano)
Il giudice,
come era solito fare nei fine settimana, stava tornando in Sicilia da Roma. Il
jet di servizio partito dall’aeroporto di Ciampino arrivò intorno alle 16:45
all’aeroporto di Punta Raisi dopo un viaggio di 53 minuti. Il boss Raffaele
Ganci seguiva tutti i movimenti del poliziotto Antonio Montinaro, il caposcorta
di Falcone, che guidò le tre Fiat Croma blindate dalla caserma ‘Lungaro’ fino a
Punta Raisi, dove dovevano prelevare Falcone; Ganci telefonò a Giovan Battista
Ferrante (mafioso di San Lorenzo, che era appostato all'aeroporto) per
segnalare l’uscita dalla caserma di Montinaro e degli altri agenti di scorta.
Sceso dall’aereo,
Falcone si sistemò alla guida della
Fiat Croma bianca con accanto la moglie Francesca Morvillo, mentre l’autista
giudiziario Giuseppe Costanza andò a occupare il sedile posteriore. Nella Croma
marrone si era posto alla guida Vito Schifani, con accanto l’agente scelto Antonio
Montinaro e sul retro Rocco Dicillo, mentre nella Croma azzurra c’erano Paolo
Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. Le tre auto si misero in fila, con in
testa la Croma marrone, poi la Croma bianca guidata da Falcone e in coda la
Croma azzurra, che imboccarono l'autostrada A29 in direzione Palermo.
In quei momenti, Gioacchino La Barbera (mafioso di Altofonte) seguì con la sua auto il corteo blindato dall’aeroporto di Punta Raisi fino allo svincolo di Capaci, mantenendosi in contatto telefonico con Giovanni Brusca e Antonino Gioè (capo della Famiglia di Altofonte), che si trovavano in osservazione sulle colline sopra Capaci.
Alle ore 17:58, 3-4 secondi dopo aver chiuso la
telefonata con La Barbera e Gioè, Brusca azionò il telecomando che provocò l’esplosione
di 1000 kg di tritolo sistemati all’interno di fustini in un cunicolo di
drenaggio sotto l’autostrada: la prima auto, la Croma marrone, venne investita
in pieno dall’esplosione e sbalzata dal manto stradale in un giardino di olivi
a più di dieci metri di distanza, uccidendo sul colpo gli agenti Montinaro,
Schifani e Dicillo; la seconda auto, la Croma bianca guidata dal giudice,
avendo rallentato, si schianta invece contro il muro di cemento e detriti
improvvisamente innalzatosi per via dello scoppio, proiettando violentemente Falcone e la moglie, che non indossano
le cinture di sicurezza, contro il parabrezza; rimangono feriti gli agenti
della terza auto, la Croma azzurra, che infine resiste, e si salvano
miracolosamente anche un’altra ventina di persone che al momento dell’attentato
si trovano a transitare con le proprie autovetture sul luogo dell’eccidio. La
detonazione provoca un’esplosione immane e una voragine enorme sulla strada. In
un clima irreale e di iniziale disorientamento, altri automobilisti e abitanti
dalle villette vicine danno l’allarme alle autorità e prestano i primi soccorsi
tra la strada sventrata e una coltre di polvere.
(Hai trovato l’aereo in arrivo e partenza?)
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