giuliano

sabato 14 maggio 2022

LA GRANDE MADRE (Seconda parte)

 










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Grande Madre 


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Voli pindarici







Ed il quale come tale riconosce in Lei doti inesauribili generatrici del Principio della terrena condizione della Vita, ciò che in Lei si scorge e ciò che ad ugual velato occhio e di cui al segreto amante nulla sfugge, circa l’impenetrabile ed altrettanto segreta Bellezza. Con questo patto si amano e adorano all’Infinito in nome e per conto degli antichi (segreti Elementi o Eterni piaceri e…) Dèi o un solo Dio.

 

Lei ha mantenuto inalterato per Secoli e Millenni l’inviolato Segreto, giacché la condizione dell’Immacolata purezza conduce l’amante ad un sentimento e più Elevato istinto, rispetto il sessuato frammentato impotente atto d’amore consumato (dato dalla forzata unione), e di cui il marito non più amato ne va fiero, per ogni ‘comune’ bettola osteria castello soppalco e banchetto; violentandola ogni giorno, ovvero da quando impropriamente si è coronato suo (unico) sposo e maestro. Ma l’amante che bene conosce la sua sposa deve celare il vero Sentimento e il patto che li unisce in Segreto, perché ciò che allo sposo taciuto la Natura nasconde, e l’occhio più non scorge intende e vede.




E di cui il marito si armerebbe d’odio e cieca vendetta, giacché solo lui conosce ogni segreto della sua violentata sposa.

 

Ma sappiamo altrettanto bene che là ove si cela violenza per ogni atto d’amore così consumato, la sua bellezza e vera Natura sfiorirà abdicata all’incompreso istinto senza passione e desiderio, e mai proverà né piacere e affetto per ogni violenza subita per ogni posa a cui costretta. I suoi spasmi e deliri, tutte le volte che al suo sposo si cela, nutre la Bellezza e Intelletto del segreto amante e maestro.  

 

La segreta unione vien nascosta soprattutto quando, tal sposo e cavaliere dalla brillante armatura, lo brama e cerca, vuole e chiede vendetta per il disonore subito circa l’impotente natura dall’insoddisfatta amante fuggita, seppur venerata d’amore da cui il più profondo piacere dalla sposa mai provato né consumato, e seppur ogni tavola ben imbandita e di cui la diletta si consuma digiuna e patita…   



 

Qual condizione dell’eterna spirituale convergenza di cui gli ‘amanti’ come tali perseguitati, da un marito innamorato ed ubriaco solo di Bacco e il suo amico Dionisio.

 

L’ubriaco consorte, zoppo e cieco ma dalla doppia vista, non più meritato dalla sposa promessa fors’anche non all’altezza nel comprenderla quanto nell’esaudirla tanto nel suo articolato Linguaggio, come negli ‘amplessi’, di chi palesemente o segretamente, ‘maestro del tempio’; adorata amata come appagata nei suoi veri desideri, nella sua instancabile Prosa, nelle sue Pose, nella segreta vena di musicalità che da ogni poro della sua delicata Natura sboccia come un Fiore di Primavera o Fiocco di neve in profondo gelo, quando scorge l’amante amato, ed ove Lei nuda conferisce allo sguardo contraccambiato dell’amato ogni Sentiero nascosto nel folto del suo inviolato bosco.

 

Ove si nascondono i più profondi sentimenti e capricci della propria austera o ricca bellezza, e ciò che ne deriva, riconoscendo in Lei anche doti divine, celate e quantunque velate come lo Spirito della futura grazia divenuta Madonna promessa.

 

(Giuliano)




  

ERICA COMUNE 

 

SOLITUDINE

 

 

I prati si copriranno sempre di fiori, le pianure di messi, le colline di pampino verde, e le montagne di fitte foreste.

 

Felici pastori!

 

Potete danzare fra i prati, coronarvi delle spighe di Cerere, inebriarvi dei doni di Bacco, e riposarvi all’ombra delle foreste; voi potete, perché tutto è gioia per chi è felice.

 

Io, guidata dal mio spirito malinconico, indirizzerei i miei passi verso quei luoghi ameni, che l’umile erica, amante della solitudine, contende alle fatiche degli uomini: qui, seduta all’ombra di una ginestra, mi immergerei nelle mie malinconiche meditazioni, e presto mi verrebbero incontro da più parti, creature tristi, sofferenti, avvilite come me.

 

La pernice cacciata dalla maggese che ha appena perso la sua famiglia; la cerva inseguita dai cani; la lepre stremata; il timido coniglio, timoroso sulle prime per il mio aspetto, si uniranno al mio pianto; forse verranno ai miei piedi in cerca di protezione dalla passione degli uomini per la caccia!

 

Anche le laboriose api mi circonderanno; e se strappassi un solo stelo di erica alle loro solitudini, verrebbero a depositare sulle mie mani il miele che raccolgono, sì! per gli altri più che per loro stesse. E i rumorosi francolini dal canto squillante! Scandiranno il tempo che fugge, senza lasciare nella desolazione né tracce né rimpianti.

 

Dolci colombelle! teneri usignoli! i vostri singulti e sospiri sono diretti ai boschetti profumati; ma io non posso più sognare alla loro ombra; la voce del deserto vi raggela; per me è invece desiderabile: e al primo chiaro di luna, questa voce lugubre echeggerà nell’aria. Sovrano della sua solitudine, il gufo uscirà dal tronco cavernoso di una vecchia quercia, appollaiato sui rami che nascondono il suo regno di muschio, i suoi suoni terrorizzano l’amante in pena che conta i minuti dell’assenza; fanno trasalire la madre che veglia il letto del figlio con la febbre: ma consolano l’infelice che ha rimesso alla tomba tutto ciò che ha amato sulla terra . . .

 

Spesso questo canto lugubre ti desterà! Sventurato giovane! Per parlarti della morte e dell’eternità: spesso sveglia anche me; e se, diversamente da te, non m’ispira versi sublimi, come a te m’ispira il distacco dal mondo e l’amore per la solitudine.




  

TIMO

 

VITALITÀ

 

 

Insetti di tutte le forme, scarabei di tutti i colori, api operaie, farfalle leggere, circondano senza posa i ciuffi fioriti del timo. Forse quest'umile piantina appare a questi leggeri abitanti dell'aria, che non vivono che una primavera, come un immenso albero antico quanto la terra, coperto di foglie sempreverdi su cui i fiori troneggiano come superbe anfore, colme di miele a loro uso. I greci consideravano il timo simbolo della vitalità; di certo, avevano osservato come il suo profumo, sollecitasse la mente, e fosse benefico per gli anziani cui restituiva forze, agilità e grinta. La vitalità è una qualità battagliera associata da sempre al vero coraggio. È per questo che un tempo le dame ricamavano spesso, sul mantello dei loro cavalieri, un'ape che ronzava intorno ad un ramo di timo. Questo doppio simbolo aggiungeva che colui che l'aveva adottato avrebbe messo dolcezza in ogni azione.






VALERIANA ROSSA 

 

MITEZZA

 

 

La valeriana dai fiori rossi delle Alpi cresce nuovamente nei nostri giardini. Il suo manto è splendente, ma sempre un po’ scomposto. Questa figlia delle montagne mantiene fra i fiori coltivati un portamento rustico che le conferisce un’aria disarmonica facendola apparire fuori posto; ciononostante questa bellezza goffa deve la sua fortuna ai suoi meriti; la radice è eccellente contro la maggior parte delle malattie che provocano debolezza; il suo infuso aguzza la vista, riaccende lo spirito, allontana la malinconia; fiorisce quasi tutto l’anno; la coltivazione la impreziosisce, ma non dimentica mai la sua origine campestre, e la si vede preferire alle aiuole i fianchi di un’arida collina, o la cima di uno scalcinato muro. Le valeriane dei boschi e dei prati hanno le stesse virtù e qualità della valeriana rossa; ma la mano del giardiniere la trascura, perché manca della docilità che caratterizza quella delle Alpi.










 

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