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Ed il quale
come tale riconosce in Lei doti inesauribili generatrici del Principio della
terrena condizione della Vita, ciò che in Lei si scorge e ciò che ad ugual
velato occhio e di cui al segreto amante nulla sfugge, circa l’impenetrabile ed
altrettanto segreta Bellezza. Con questo patto si amano e adorano all’Infinito
in nome e per conto degli antichi (segreti
Elementi o Eterni piaceri e…) Dèi o un solo Dio.
Lei ha
mantenuto inalterato per Secoli e Millenni
l’inviolato Segreto, giacché la condizione dell’Immacolata purezza conduce
l’amante ad un sentimento e più Elevato istinto, rispetto il sessuato
frammentato impotente atto d’amore consumato (dato dalla forzata unione), e di cui il marito non più amato ne va
fiero, per ogni ‘comune’ bettola osteria castello soppalco e banchetto;
violentandola ogni giorno, ovvero da quando impropriamente si è coronato suo (unico) sposo e maestro. Ma l’amante che
bene conosce la sua sposa deve celare il vero Sentimento e il patto che li
unisce in Segreto, perché ciò che allo sposo taciuto la Natura nasconde, e
l’occhio più non scorge intende e vede.
E di cui il marito si armerebbe d’odio e cieca vendetta, giacché solo lui conosce ogni segreto della sua violentata sposa.
Ma sappiamo
altrettanto bene che là ove si cela violenza per ogni atto d’amore così
consumato, la sua bellezza e vera Natura sfiorirà abdicata all’incompreso istinto
senza passione e desiderio, e mai proverà né piacere e affetto per ogni
violenza subita per ogni posa a cui costretta. I suoi spasmi e deliri, tutte le
volte che al suo sposo si cela, nutre la Bellezza e Intelletto del segreto
amante e maestro.
La segreta unione vien nascosta soprattutto quando, tal sposo e cavaliere dalla brillante armatura, lo brama e cerca, vuole e chiede vendetta per il disonore subito circa l’impotente natura dall’insoddisfatta amante fuggita, seppur venerata d’amore da cui il più profondo piacere dalla sposa mai provato né consumato, e seppur ogni tavola ben imbandita e di cui la diletta si consuma digiuna e patita…
Qual condizione dell’eterna spirituale convergenza di cui gli ‘amanti’ come tali perseguitati, da un marito innamorato ed ubriaco solo di Bacco e il suo amico Dionisio.
L’ubriaco
consorte, zoppo e cieco ma dalla doppia vista, non più meritato dalla sposa
promessa fors’anche non all’altezza nel comprenderla quanto nell’esaudirla
tanto nel suo articolato Linguaggio, come negli ‘amplessi’, di chi palesemente
o segretamente, ‘maestro del tempio’; adorata amata come appagata nei suoi veri
desideri, nella sua instancabile Prosa, nelle sue Pose, nella segreta vena di
musicalità che da ogni poro della sua delicata Natura sboccia come un Fiore di
Primavera o Fiocco di neve in profondo gelo, quando scorge l’amante amato, ed
ove Lei nuda conferisce allo sguardo contraccambiato dell’amato ogni Sentiero
nascosto nel folto del suo inviolato bosco.
Ove si
nascondono i più profondi sentimenti e capricci della propria austera o ricca
bellezza, e ciò che ne deriva, riconoscendo in Lei anche doti divine, celate e
quantunque velate come lo Spirito della futura grazia divenuta Madonna
promessa.
(Giuliano)
ERICA COMUNE
SOLITUDINE
I prati si
copriranno sempre di fiori, le pianure di messi, le colline di pampino verde, e
le montagne di fitte foreste.
Felici
pastori!
Potete
danzare fra i prati, coronarvi delle spighe di Cerere, inebriarvi dei doni di
Bacco, e riposarvi all’ombra delle foreste; voi potete, perché tutto è gioia
per chi è felice.
Io, guidata
dal mio spirito malinconico, indirizzerei i miei passi verso quei luoghi ameni,
che l’umile erica, amante della solitudine, contende alle fatiche degli uomini:
qui, seduta all’ombra di una ginestra, mi immergerei nelle mie malinconiche
meditazioni, e presto mi verrebbero incontro da più parti, creature tristi,
sofferenti, avvilite come me.
La pernice
cacciata dalla maggese che ha appena perso la sua famiglia; la cerva inseguita
dai cani; la lepre stremata; il timido coniglio, timoroso sulle prime per il
mio aspetto, si uniranno al mio pianto; forse verranno ai miei piedi in cerca
di protezione dalla passione degli uomini per la caccia!
Anche le
laboriose api mi circonderanno; e se strappassi un solo stelo di erica alle
loro solitudini, verrebbero a depositare sulle mie mani il miele che
raccolgono, sì! per gli altri più che per loro stesse. E i rumorosi francolini
dal canto squillante! Scandiranno il tempo che fugge, senza lasciare nella
desolazione né tracce né rimpianti.
Dolci
colombelle! teneri usignoli! i vostri singulti e sospiri sono diretti ai
boschetti profumati; ma io non posso più sognare alla loro ombra; la voce del
deserto vi raggela; per me è invece desiderabile: e al primo chiaro di luna,
questa voce lugubre echeggerà nell’aria. Sovrano della sua solitudine, il gufo
uscirà dal tronco cavernoso di una vecchia quercia, appollaiato sui rami che
nascondono il suo regno di muschio, i suoi suoni terrorizzano l’amante in pena
che conta i minuti dell’assenza; fanno trasalire la madre che veglia il letto
del figlio con la febbre: ma consolano l’infelice che ha rimesso alla tomba
tutto ciò che ha amato sulla terra . . .
Spesso
questo canto lugubre ti desterà! Sventurato giovane! Per parlarti della morte e
dell’eternità: spesso sveglia anche me; e se, diversamente da te, non m’ispira
versi sublimi, come a te m’ispira il distacco dal mondo e l’amore per la
solitudine.
TIMO
VITALITÀ
Insetti di
tutte le forme, scarabei di tutti i colori, api operaie, farfalle leggere, circondano
senza posa i ciuffi fioriti del timo. Forse quest'umile piantina appare a
questi leggeri abitanti dell'aria, che non vivono che una primavera, come un
immenso albero antico quanto la terra, coperto di foglie sempreverdi su cui i
fiori troneggiano come superbe anfore, colme di miele a loro uso. I greci
consideravano il timo simbolo della vitalità; di certo, avevano osservato come
il suo profumo, sollecitasse la mente, e fosse benefico per gli anziani cui
restituiva forze, agilità e grinta. La vitalità è una qualità battagliera
associata da sempre al vero coraggio. È per questo che un tempo le dame
ricamavano spesso, sul mantello dei loro cavalieri, un'ape che ronzava intorno
ad un ramo di timo. Questo doppio simbolo aggiungeva che colui che l'aveva
adottato avrebbe messo dolcezza in ogni azione.
VALERIANA ROSSA
MITEZZA
La
valeriana dai fiori rossi delle Alpi cresce nuovamente nei nostri giardini. Il
suo manto è splendente, ma sempre un po’ scomposto. Questa figlia delle montagne
mantiene fra i fiori coltivati un portamento rustico che le conferisce un’aria
disarmonica facendola apparire fuori posto; ciononostante questa bellezza goffa
deve la sua fortuna ai suoi meriti; la radice è eccellente contro la maggior
parte delle malattie che provocano debolezza; il suo infuso aguzza la vista,
riaccende lo spirito, allontana la malinconia; fiorisce quasi tutto l’anno; la coltivazione
la impreziosisce, ma non dimentica mai la sua origine campestre, e la si vede
preferire alle aiuole i fianchi di un’arida collina, o la cima di uno
scalcinato muro. Le valeriane dei boschi e dei prati hanno le stesse virtù e qualità
della valeriana rossa; ma la mano del giardiniere la trascura, perché manca
della docilità che caratterizza quella delle Alpi.
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