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& gli Iceberg (14)
La mattina
in cui André ha provato questo terribile esperimento, non si è presentato a
pranzo. Mandai giù la cameriera con un vassoio, ma lei me lo riportò con un
biglietto che aveva trovato appuntato fuori dalla porta del laboratorio:
‘Non mi
disturbare, sto lavorando’.
Di tanto in
tanto attaccava alla sua porta biglietti del genere e, anche se me ne sono
accorto, non ho prestato particolare attenzione alla calligrafia insolitamente
grande del suo biglietto.
Fu subito
dopo, mentre stavo bevendo il mio caffè, che Henri entrò saltellando nella
stanza per dirmi che aveva preso una strana mosca e che mi sarebbe piaciuto
vederla. Rifiutandomi persino di guardare il suo pugno chiuso, gli ordinai di
rilasciarlo immediatamente.
‘Ma, mamma,
ha una testa bianca così buffa!’.
Facendo marciare il ragazzo verso la finestra aperta, gli ho detto di liberare immediatamente la mosca, cosa che ha fatto. Sapevo che Henri aveva catturato la mosca semplicemente perché pensava che fosse curiosa o diversa dalle altre mosche, ma sapevo anche che suo padre non avrebbe mai sopportato alcuna forma di crudeltà verso gli animali e che ci sarebbe stato un trambusto se avesse scoperto che nostro figlio aveva messo una mosca in una scatola o in una bottiglia.
Quella
sera, all’ora di cena, André non si era ancora fatto vivo e, un po’
preoccupato, corsi giù in laboratorio e bussai alla porta.
Non ha
risposto al mio bussare, ma l’ho sentito muoversi e un attimo dopo ha fatto
scivolare un biglietto sotto la porta. Era dattiloscritto:
HELENE,
HO DEI PROBLEMI. METTI A LETTO IL RAGAZZO E TORNA TRA UN’ORA.
Spaventata, ho bussato e chiamato, ma André non sembrava farci caso e, vagamente rassicurato dal rumore familiare della sua macchina da scrivere, sono rientrata in casa.
Dopo aver
messo a letto Henri, sono tornata in laboratorio, dove ho trovato un altro
biglietto infilato sotto la porta. La mia mano tremava quando lo raccolsi
perché ormai sapevo che qualcosa doveva essere radicalmente sbagliato. Leggo:
HELENE,
PRIMA DI TUTTO CONTO SU DI TE PER NON PERDERE I NERVI O FARE NULLA PERCHÉ TU
SOLO PUOI AIUTARMI. HO AVUTO UN GRAVE INCIDENTE. PER IL MOMENTO NON CORRO UN
PARTICOLARE PERICOLO, ANCHE SE È QUESTIONE DI VITA O DI MORTE. E’ INUTILE
CHIAMARMI O DIRE QUALCOSA. NON POSSO RISPONDERE, NON POSSO PARLARE. VOGLIO CHE
TU FACCIA ESATTAMENTE E CON MOLTA ATTENZIONE TUTTO QUELLO CHE TI CHIEDO. DOPO
AVER BUSSATO TRE VOLTE PER DIMOSTRARE CHE AVETE CAPITO E D’ACCORDO, PORTAMI UNA
CIOTOLA DI LATTE CON RUM. NON HO AVUTO NIENTE TUTTO IL GIORNO E NON POSSO FARNE
A MENO.
Tremando di paura, non sapendo cosa pensare e reprimendo un desiderio furioso di chiamare André e tentare finché non apriva, ho bussato tre volte come richiesto e sono corsa fino a casa per andare a prendere quello che voleva.
In meno di
cinque minuti ero di ritorno. Un altro biglietto era stato infilato sotto la
porta:
HELENE, SEGUI ATTENTAMENTE QUESTE ISTRUZIONI. QUANDO BUSSI IO APRO LA PORTA. DEVI AVVICINARTI ALLA MIA SCRIVANIA E POSARE LA SCATOLA DEL LATTE. POI ANDRETE NELL’ALTRA STANZA DOVE SI TROVA IL RICEVITORE. GUARDA ATTENTAMENTE E PROVA A TROVARE UNA MOSCA CHE DOVREBBE ESSERE LÌ MA CHE IO NON RIESCO A TROVARE. PURTROPPO NON POSSO VEDERE LE PICCOLE COSE MOLTO FACILMENTE. PRIMA DI ENTRARE DEVI PROMETTERMI DI OBBEDIRMI IMPLICITAMENTE. NON GUARDARMI E RICORDATI CHE PARLARE È DEL TUTTO INUTILE. NON POSSO RISPONDERE. BUSSA ANCORA TRE VOLTE. E QUESTO SIGNIFICA CHE HO LA TUA PROMESSA. LA MIA VITA DIPENDE INTERAMENTE DALL’AIUTO CHE MI PUOI DARE.
Ho dovuto aspettare un po’ per rimettermi in sesto, poi ho bussato lentamente tre volte.
Ho sentito
André trascinarsi dietro la porta, poi la sua mano che armeggiava con la
serratura e la porta si è aperta.
Con la coda
dell’occhio vidi che era in piedi dietro la porta, ma senza voltarmi portai la
scodella del latte sulla sua scrivania. Evidentemente mi stava osservando e io
dovevo a tutti i costi apparire calmo e raccolto.
‘Puoi
contare su di me’, dissi dolcemente, e posai la ciotola sotto la sua lampada da
scrivania, l’unica accesa, entrai nella stanza accanto dove tutte le luci erano
accese.
La mia
prima impressione fu che una sorta di uragano doveva essere esploso dalla
cabina di ricezione. Fogli erano sparpagliati in ogni direzione, un’intera fila
di provette giaceva sfondata in un angolo, sedie e sgabelli erano rovesciati e
una delle tende della finestra pendeva mezza strappata dall’asta ricurva, In
una grande bacinella smaltata sul pavimento un mucchio di i documenti erano
ancora fumanti.
Sapevo che non avrei trovato la mosca che André voleva che cercassi. Le donne sanno cose che gli uomini suppongono solo per ragionamento e deduzione; è una forma di conoscenza a loro molto raramente accessibile e che chiamano sprezzantemente intuizione. Sapevo già che la mosca che André voleva era quella che Henri aveva catturato e che io gli avevo fatto liberare.
Ho sentito
André che si trascinava nella stanza accanto, e poi uno strano gorgoglio e
succhiava come se avesse difficoltà a bere il suo latte.
‘André, qui
non ci sono mosche. Potete darmi qualche tipo di indicazione che possa essere d’aiuto?
Se non puoi parlare, fai dei segnali o qualcosa del genere: una volta per sì,
due per no’.
Avevo
cercato di controllare la mia voce e parlare come se fossi perfettamente calma,
ma ho dovuto soffocare un canto di disperazione quando ha bussato due volte per
‘no’.
‘Posso venire da te, André, non so cosa possa essere successo, ma qualunque cosa sia, sarò coraggiosa, caro’.
Dopo un
momento di silenziosa esitazione, bussò una volta sulla scrivania.
Sulla porta
mi fermai inorridito alla vista di André in piedi con la testa e le spalle
coperte dalla tovaglia di velluto marrone che aveva preso da un tavolo accanto
alla sua scrivania, il tavolo su cui era solito mangiare quando non voleva
lasciare il suo lavoro. Reprimendo una risata che avrebbe potuto facilmente
trasformarsi in singhiozzi, dissi:
‘André,
domani cercheremo a fondo, alla luce del giorno. Perché non vai a letto? Ti
condurrò nella stanza degli ospiti, se vuoi, e non permetterò a nessun altro di
vederti’.
La sua mano
sinistra battuta due volte sulla scrivania.
‘Hai
bisogno di un dottore, Andre?’.
‘No’, ha
bussato.
‘Vuoi che
chiami il professor Angier? Potrebbe essere di maggior aiuto’.
Per due volte ha bussato ‘no’ bruscamente. Non sapevo cosa fare o dire. E poi gli ho detto:
‘Stamattina
Henri ha preso una mosca che voleva mostrarmi, ma gliel’ho fatta liberare.
Potrebbe essere quello che stavi cercando? Non l’ho visto, ma il ragazzo ha
detto che aveva la testa bianca’.
André emise
uno strano sospiro metallico e io feci appena in tempo a mordermi ferocemente
le dita per non urlare. Aveva lasciato cadere il braccio destro e, invece della
mano muscolosa dalle lunghe dita, un bastoncino grigio con piccoli boccioli
sopra come il ramo di un albero, gli pendeva dalla manica fin quasi al
ginocchio.
‘Andre, mon Cherì, dimmi cosa è successo. Potrei
esserti più d’aiuto se lo sapessi. André... oh, è terribile!’. Ho singhiozzato,
incapace di controllarmi.
Dopo aver bussato
una volta per dire ‘sì’, indicò la porta con la mano sinistra.
Sono uscita e sono caduta a terra piangendo mentre chiudeva a chiave la porta dietro di me. Stava scrivendo di nuovo e ho aspettato. Alla fine si trascinò verso la porta e vi fece scivolare sotto un foglio di carta.
HELENE,
TORNA AL MATTINO. DEVO PENSARE PER DOMANI AVRÒ SCRITTO UNA SPIEGAZIONE. PRENDI
UNO DEI MIEI SONNIFERI E VAI A LETTO. HO BISOGNO DI TE DOMANI FRESCA E FORTE.
ONU.
‘Vuoi
qualcosa per la notte, André?’ gridai attraverso la porta.
Ha bussato
due volte per dire ‘no’, e poco dopo ho sentito di nuovo la macchina da
scrivere.
Il sole in
pieno viso mi svegliò di soprassalto. Avevo puntato la sveglia alle cinque ma
non l’avevo sentita, probabilmente a causa dei sonniferi. Avevo davvero dormito
come un sasso, senza un sogno. Ora ero tornato nel mio incubo vivente e
piangendo come una bambina sono saltata giù dal letto. Erano solo le sette!
Precipitandomi in cucina, senza una parola per la servitù allibita, preparai rapidamente un vassoio carico di caffè, pane e burro con il quale scorre giù in laboratorio.
André ha
aperto la porta non appena ho bussato e l’ha richiusa mentre portavo il vassoio
alla sua scrivania. Aveva ancora la testa coperta, ma dal vestito stropicciato
e dalla branda aperta capii che doveva almeno aver continuato a riposare.
Sulla sua
scrivania c’era un foglio dattiloscritto per me che raccolsi. André ha aperto l’altra
porta e, interpretando questo per indicare che voleva essere lasciato in pace,
sono entrato nella stanza accanto. Ha spinto la porta e l’ho sentito versare il
caffè mentre leggevo:
TI RICORDI
L’ESPERIMENTO DEL PORTACENERE? HO AVUTO UN INCIDENTE SIMILE. MI SONO
“TRASMESSO” CON SUCCESSO L’ALTRO NOTTE. DURANTE UN SECONDO ESPERIMENTO IERI UNA
MOSCA CHE NON HO VISTO DEVE ESSERE ENTRATA NEL ‘DISINTEGRATORE’. LA MIA UNICA
SPERANZA È TROVARE QUEL VOLO E RIPARTIRE CON ESSO. TI PREGO DI CERCARLA
ATTENTAMENTE POICHÉ, SE NON SI TROVA, DOVRÒ TROVARE UN MODO PER PORRE FINE A
TUTTO QUESTO.
Se solo André fosse stato più esplicito! Rabbrividii al pensiero che doveva essere terribilmente sfigurato e poi piansi sommessamente mentre immaginavo la sua faccia al rovescio, o forse i suoi occhi al posto delle orecchie, o la sua bocca dietro il collo, o peggio!
André deve
essere salvato! Per questo, la mosca deve essere trovata!
Rimettendomi
in sesto, dissi:
‘André,
posso entrare?’.
Apri la
porta.
‘André, non
disperare; Troverò quella mosca. Non è più in laboratorio, ma non può essere
molto lontano. Suppongo che tu sia sfigurato, forse terribilmente, ma non si
può parlare di porre fine a tutto questo, come dici nel tuo biglietto; che non
sopporterò mai. Se necessario, se non vuoi essere visto, ti farò una maschera o
un cappuccio in modo che tu possa continuare il tuo lavoro fino a quando non
sarai guarito. Se non puoi lavorare, chiamo il professor Augier, e lui e tutti
gli altri tuoi amici ti salveranno.
Di nuovo sentii quel curioso sospiro metallico mentre bussava violentemente sulla scrivania.
‘André, non
essere infastidito; per favore sii calmo. Non farò nulla senza prima
consultarti, ma devi fare affidamento su di me, avere fiducia in me e lasciare
che ti aiuti come meglio posso. Sei terribilmente sfigurato, caro? Non puoi
farmi vedere la tua faccia? Non avrò paura, sono tua moglie, lo sai’.
Ma mio
marito bussò di nuovo un deciso ‘no’ e
indicò la porta.
‘Va bene.
Adesso cercherò la mosca, ma promettimi che non farai niente di sciocco;
promettimi che non farai nulla di avventato o pericoloso senza prima farmi sapere
tutto!’.
Ha teso la
mano sinistra e ho capito di avere la sua promessa.
Non dimenticherò mai quell’incessante giornata di caccia alla mosca. Tornato a casa, rivoltai la casa e feci partecipare alla perquisizione tutti i domestici. Ho detto loro che una mosca era scappata dal laboratorio del Professore e che doveva essere catturata viva, ma era evidente che mi credevano già pazza. Lo dissero più tardi alla polizia, e la caccia a una mosca di quel giorno molto probabilmente mi salvò dalla ghigliottina più tardi.
Ho
interrogato Henri e siccome non ha capito subito di cosa stavo parlando, l’ho
scosso e schiaffeggiato, e l’ho fatto piangere davanti alle cameriere.
Comprendendo che non dovevo lasciarmi andare, baciai e accarezzai il povero
ragazzo e gli feci finalmente capire cosa volevo da lui. Sì, ricordava, aveva
trovato la mosca proprio vicino alla finestra della cucina; sì, l’aveva
rilasciata immediatamente come gli era stato detto.
Anche d’estate
abbiamo avuto pochissime mosche perché la nostra casa è in cima a una collina e
la brezza che arriva dalla valle la circonda. Nonostante ciò, quel giorno
riuscii a catturare dozzine di mosche. Su tutti i davanzali e in tutto il
giardino avevo messo piattini di latte, zucchero, marmellata, carne, tutte cose
atte ad attirare le mosche. Di tutti quelle che abbiamo catturato, e molte altre
che non siamo riusciti a catturare ma che ho visto, nessuno somigliava a quello
che Henri aveva catturato il giorno prima. Una per una, con una lente d’ingrandimento,
ho esaminato ogni mosca insolita, ma nessuna aveva niente di simile a una testa
bianca.
All’ora di pranzo sono corso da André con un po’ di latte e purè di patate. Presi anche alcune delle mosche che avevamo preso, ma lui mi fece capire che non potevano essergli di alcuna utilità.
‘Se quella
mosca non è stata ancora trovata, André, dovremo vedere cosa fare. E questo è
ciò che propongo: mi siedo nella stanza accanto. Quando non puoi rispondere con
il metodo ‘sì-no’, scrivi quello che vuoi dire e poi lo fai scivolare sotto la
porta. Daccordo?’.
‘Sì’, rispose
André.
Al calar
della notte non avevamo ancora trovato la mosca. All’ora di cena, mentre
preparavo il vassoio di André, crollai e singhiozzai in cucina davanti ai
servitori silenziosi. La mia cameriera pensava che avessi litigato con mio
marito, probabilmente per la mosca smarrita, ma seppi in seguito che il cuoco
era già abbastanza sicuro che fossi fuori di me.
Senza dire una parola, presi il vassoio e poi l’ho posai di nuovo mentre mi fermavo vicino al telefono. Che questa fosse davvero una questione di vita o di morte per André, non avevo dubbi. Né dubitavo che intendesse del tutto suicidarsi, a meno che non potessi fargli cambiare idea, o almeno rimandare una decisione così drastica.
Sarò abbastanza
forte?
Non mi
avrebbe mai perdonato per non aver mantenuto una promessa, ma date le
circostanze, importava davvero? Al diavolo con promesse e onore! A tutti i
costi André deve essere salvato! E così decisi, alzai lo sguardo e composi il
numero del professor Augier.
‘Il
professore è via e non tornerà prima della fine della settimana’, disse una
voce educata e metallica all’altro capo del filo.
Salverei
André qualunque cosa accada!
Tutto il mio nervosismo era svanito quando André mi fece entrare e, dopo aver deposto il vassoio del cibo sulla sua scrivania, andai nell’altra stanza, come concordato.
‘La prima
cosa che voglio sapere’, dissi mentre chiudeva la porta alle mie spalle, ‘è cos’è
successo esattamente. Puoi dirmelo per favore, André?’.
Ho
aspettato pazientemente mentre scriveva una risposta che ha spinto sotto la
porta poco dopo.
HELENE, PREFERISCO NON DIRLO, VISTO CHE DEVO ANDARE, PREFERISCO CHE TI RICORDI DI ME COME ERO PRIMA. DEVO DISTRUGGERE ME STESSO IN MODO TALE CHE NESSUNO PUÒ SAPERE COSA MI È SUCCESSO. OVVIAMENTE HO PENSATO SEMPLICEMENTE DI DISINTEGRARMI NEL MIO TRASMETTITORE, MA FAREBBERO MEGLIO DI NON PERCHÉ, PRIMA O POI, POTREI TROVARMI REINTEGRATO. UN GIORNO, DA QUALCHE PARTE, QUALCHE SCIENZIATO FARÀ SICURO LA STESSA SCOPERTA. HO QUINDI PENSATO AD UN MODO CHE NON È NÉ SEMPLICE NÉ FACILE, MA TU PUOI E MI AIUTERAI.
Per diversi minuti mi chiesi se André non fosse semplicemente impazzito.
‘André’,
dissi infine, ‘qualunque cosa tu abbia scelto o pensato, non posso e non
accetterò mai una soluzione così codarda. Non importa quanto terribile sia il
risultato del tuo esperimento o incidente, sei vivo, sei un uomo, un
cervello... e hai un’anima. Non hai il diritto di distruggerti! Lo sai!’.
La risposta
fu presto digitata e infilata sotto la porta.
SONO
BEN VIVO, MA GIÀ NON SONO PIÙ UN UOMO. QUANTO AL MIO CERVELLO O INTELLIGENZA,
PUÒ SCOMPARIRE IN QUALSIASI MOMENTO. COSÌ COM’È, NON È PIÙ INTEGRO. E NON PUO’
ESSERCI ANIMA SENZA INTELLIGENZA. . . E TU LO SAI!
‘Allora devi dire agli altri scienziati della tua scoperta. Ti aiuteranno e ti salveranno, André!’.
Barcollò
all’indietro spaventato mentre picchiava rabbiosamente la porta due volte.
‘André...
perché? Perché rifiuti l’aiuto che sai che ti darebbero con tutto il cuore?’.
Una dozzina
di colpi furiosi scossero la porta e mi fecero capire che mio marito non
avrebbe mai accettato una soluzione del genere. Ho dovuto trovare altri
argomenti.
Sembrava
che per ore gli parlassi del nostro ragazzo, di me, della sua famiglia, del suo
dovere verso di noi e verso il resto dell’umanità. Non rispose. Alla fine gridai:
‘André...
mi senti?’.
‘Sì’, bussò
molto dolcemente.
‘Bene, allora ascolta. Ho un’altra idea. Ricordi il tuo primo esperimento con il posacenere? …Bene, pensi che se l’avessi fatto una seconda volta, forse sarebbe uscito con le lettere girate al contrario?
Prima che
avessi finito di parlare, André era impegnato a scrivere e un attimo dopo ho
letto la sua risposta:
CI
HO GIÀ PENSATO, ED E’ PER QUESTO CHE HO BISOGNO DELLA MOSCA. DEVE VENIRE CON ME,
ALTRIMENTI NON C’È SPERANZA.
‘Prova lo
stesso, André. Non si sa mai!’.
HO
GIÀ PROVATO SETTE VOLTE.
è stata la
risposta che ho ricevuto.
‘André!
Riprova, per favore!’.
La risposta questa volta mi diede un sussulto di speranza, perché nessuna donna ha mai capito, o capirà mai, come un uomo che sta per morire possa considerare divertente qualcosa.
AMMIRO
PROFONDAMENTE LA TUA DELIZIOSA LOGICA FEMMINILE. POTREMMO CONTINUARE A FARE
QUESTO ESPERIMENTO FINO AL GIORNO DEL GIUDIZIO. TUTTAVIA, SOLO PER DARTI QUEL
PIACERE, PROBABILMENTE L’ULTIMO CHE POTRÒ DARTI, CI PROVERÒ ANCORA UNA VOLTA.
SE NON RIESCI A TROVARE GLI OCCHIALI SCURI, VOLTA LE SPALLE ALLA MACCHINA E
PREMI LE MANI SUGLI OCCHI. FAMMI SAPERE QUANDO SEI PRONTA.
‘Pronto,
Andre’ gridai senza nemmeno cercare gli occhiali e seguire le sue istruzioni.
L’ho sentii
muoversi e poi aprire e chiudere la porta del suo ‘disintegratore’. Dopo quella
che sembrò un’attesa molto lunga, ma probabilmente non fu più di un minuto
circa, sentii un violento crepitio e percepii un lampo luminoso attraverso le
palpebre e le dita.
Mi girai
mentre la porta della cabina si apriva.
Con la testa e le spalle ancora coperte dal tappeto di velluto marrone, André ne stava uscendo cautamente.
‘Come ti
senti, André? Qualche cambiamento? chiesi toccandogli il braccio’.
Cercò di
allontanarsi e inciampò con il piede in uno degli sgabelli e fece uno sforzo
violento per ritrovare l’equilibrio e il tappeto di velluto gli scivolò
lentamente dalle spalle e dalla testa mentre cadeva pesantemente all’indietro.
L’orrore
era troppo per me, troppo inaspettato. In effetti, sono sicura che, anche se l’avessi
saputo, l’impatto dell’orrore non avrebbe potuto essere meno potente. Cercando
di infilarmi entrambe le mani in bocca per soffocare le urla e sebbene le mie
dita sanguinassero, ho urlato ancora e ancora. Non riuscivo a staccargli gli
occhi di dosso, non riuscivo nemmeno a chiuderli, eppure sapevo che se avessi
guardato ancora per molto, avrei continuato ad urlare per il resto della mia
vita.
Lentamente, il mostro, la cosa che era stato mio marito, si coprì la testa, si alzò, si fece strada a tentoni verso la porta e la oltrepassò. Anche se stavo ancora urlando, riuscii a chiudere gli occhi.
Io che sono
sempre stata una vera cattolica, che ho creduto in Dio e in un’altra vita
migliore nell’aldilà, oggi ho solo una speranza: che quando morirò, morirò
davvero, e che non ci possa essere nessun tipo di aldilà perché, se ci sarà,
allora non dimenticherò mai! Giorno e notte, sveglia o addormentata, lo vedo, e
so che sono condannata a vederlo per sempre, forse fino all’oblio!
Finché non
sarò completamente estinta, niente potrà, niente potrà mai farmi dimenticare
quella spaventosa testa pelosa bianca con il cranio basso e piatto e le due
orecchie appuntite. Rosa e umido, anche il naso era quello di un gatto, un
gatto enorme. Ma gli occhi! O meglio, dove avrebbero dovuto esserci gli occhi c’erano
due protuberanze marroni delle dimensioni di piattini. Al posto di una bocca,
animale o umana, c’era una lunga fessura verticale pelosa da cui pendeva un tronco
nero e fremente che si allargava all’estremità, a forma di tromba, e da cui la
saliva continuava a gocciolare.
Devo essere svenuta, perché mi sono ritrovata a pancia in giù sul freddo pavimento di cemento del laboratorio, a fissare la porta chiusa dietro la quale si sentiva il rumore della macchina da scrivere di André.
Intorpidita
devo averlo guardato come fanno le persone subito dopo un terribile incidente,
prima che capiscano appieno cosa è successo. Riuscivo solo a pensare a un uomo
che avevo visto una volta sulla banchina di una stazione ferroviaria, del tutto
cosciente, e che si guardava stupidamente la gamba ancora sulla linea dove era
appena passato il treno.
La mia gola
era terribilmente dolorante, e questo mi fece pensare se le mie corde vocali
non fossero forse state strappate e se sarei mai stata in grado di parlare di
nuovo.
Il rumore
della macchina da scrivere si interruppe improvvisamente e sentii che stavo per
urlare di nuovo quando qualcosa toccò la porta e un foglio di carta scivolò da
sotto.
Rabbrividendo
di paura e disgusto, strisciai fino a dove potevo leggerlo senza toccarlo:
ORA CAPISCI QUEST’ULTIMO ESPERIMENTO È STATO UN NUOVO DISASTRO, MIA POVERA HELENE. QUANDO SONO ENTRATO NEL DISINTEGRATORE, LA MIA TESTA ERA SOLO QUELLA DI UNA MOSCA. ORA MI SONO RIMASTI SOLO GLI OCCHI E LA BOCCA. IL RESTO È STATO SOSTITUITO DA PARTI DELLA TESTA DEL GATTO. POVERO DANDELO I CUI ATOMI NON SONO MAI STATI INSIEME. ORA VEDI CHE PUO’ ESSERCI SOLO UNA SOLUZIONE POSSIBILE, VERO? DEVO SCOMPARIRE. BUSSA ALLA PORTA QUANDO SEI PRONTA E TI SPIEGERÒ COSA DEVI FARE. ONU.
Naturalmente
aveva ragione, ed era stato sbagliato e crudele da parte mia insistere per un
nuovo esperimento. E sapevo che ora non c’era alcuna speranza possibile, che
ulteriori esperimenti avrebbero potuto solo portare a risultati peggiori.
Alzandomi
frastornata, sono andata alla porta e ho cercato di parlare, ma dalla gola non
usciva alcun suono... così ho bussato una volta!
Ovviamente puoi indovinare il resto. Ha spiegato il suo piano in brevi note dattiloscritte e io ho accettato, ho accettato tutto!
Con la
testa in fiamme, ma tremante di freddo, come un automa, lo seguii nella
fabbrica silenziosa. Avevo in mano una pagina intera di spiegazioni: quello che
dovevo sapere sul maglio a vapore.
Senza
fermarsi o voltarsi indietro, indicò il centralino che controllava il martello
a vapore mentre lo superava. Non andai oltre e lo guardai fermarsi davanti al
terribile strumento.
Si
inginocchiò, si avvolse con cura il tappeto intorno alla testa e poi si distese
a terra.
Non è stato
difficile. Non stavo uccidendo mio marito. Andre, povero Andre, se n’era andato
molto tempo fa, anni fa sembrava. Stavo semplicemente realizzando il suo ultimo
desiderio... e il mio.
Senza esitare, gli occhi fissi sul lungo corpo immobile, premetti con decisione il pulsante ‘corsa’. La grande massa metallica sembrò cadere lentamente. Non era tanto il clamoroso clangore del martello a farmi sobbalzare quanto lo schiocco acuto che avevo distintamente udito nello stesso momento. Mio marito... il corpo della cosa tremò per un secondo e poi rimase immobile.
Fu allora
che notai che aveva dimenticato di mettere il braccio destro, la zampa volante,
sotto il martello. La polizia non capirebbe mai, ma gli scienziati sì, e non
devono! Quello era stato anche l’ultimo desiderio di André!
Dovevo
farlo e anche in fretta; il guardiano notturno doveva aver sentito il martello
e sarebbe arrivato da un momento all’altro. Ho premuto l’altro pulsante e il
martello si è alzato lentamente. Vedendo ma cercando di non guardare, corsi su,
mi chinai, sollevai e spostai in avanti il braccio destro che
sembrava terribilmente leggero. Tornato al centralino, ho premuto di nuovo il
pulsante rosso e il martello è sceso una seconda volta. Poi sono corso
fino a casa.
Conosci il
resto e ora puoi fare tutto ciò che ritieni giusto.
Così finì il manoscritto di Helene.
Il giorno
dopo telefonai al commissario Charas per invitarlo a cena.
‘Con
piacere, signor Delambre. Mi permetta, però, di chiedere: lei invita il
commissario o solo il signor Charas?’.
‘Ha qualche
preferenza?’.
‘No, non in
questo momento’.
‘Bene,
allora, come preferisci. Le otto ti vanno bene?’.
Nonostante
piovesse, quella sera il commissario arrivò a piedi.
‘Dal
momento che non sei venuto alla porta di corsa con la tua Citroen nera, deduco
che hai optato per Monsieur Charas, fuori servizio?’.
‘Ho lasciato la macchina in una strada laterale’, mormorò il commissario con un sorriso mentre la cameriera barcollava sotto il peso del suo impermeabile.
‘Grazie’,
disse un minuto dopo mentre gli porgevo un bicchiere di Pernod in cui versava
alcune gocce d’acqua, osservandolo trasformare il liquido ambrato dorato in
latte azzurro pallido.
‘Hai
sentito della mia povera cognata?’.
‘Sì, poco
dopo che mi hai telefonato stamattina. Mi dispiace, ma forse era tutto per il
meglio. Essendo già responsabile del caso di tuo fratello, l’inchiesta viene
automaticamente affidata a me.
‘Suppongo
sia stato un suicidio’.
‘Senza
dubbio. Cianuro, dicono giustamente i dottori; Ho trovato una seconda tavoletta
nell’orlo scucito del suo vestito’.
‘Monsieur
est servì’, annunciò la cameriera.
‘Vorrei mostrarti un documento molto curioso dopo, Charas’.
‘Ah sì. Ho
sentito che Madame Delambre aveva scritto molto, ma non siamo riusciti a
trovare nulla oltre la breve nota che ci informava che si stava suicidando’.
Durante il
nostro tête-à-tête, abbiamo parlato di politica, libri e film, e della squadra
di calcio locale di cui il Commissario era un convinto sostenitore.
Dopo cena,
l’ho portata nel mio studio, dove ardeva un fuoco vivo – un’abitudine che avevo
preso in Inghilterra durante la guerra.
Senza
nemmeno chiederglielo, gli ho passato il
brandy e ho mescolato quello che lui chiamava ‘succo di insetto
schiacciato in acqua gassata’ - il suo apprezzamento per il whisky.
‘Vorrei che
tu leggessi questo, Charas; primo, perché in parte era destinato a te e,
secondo, perché ti interesserà. Se lei pensa che il commissario Charas non
abbia obiezioni, dopo vorrei bruciarlo’.
Senza una parola, prese il pacco di fogli che Helene mi aveva dato il giorno prima e si mise a leggerli.
‘Cosa ne
pensi di tutto questo?’ chiesi una ventina di minuti dopo mentre lui piegava
con cura il manoscritto di Helene, lo faceva scivolare nella busta marrone e lo
metteva nel fuoco.
Charas
osservò le fiamme lambire la busta, dalla quale uscivano volute di fumo grigio,
e solo quando prese fuoco disse, alzando lentamente gli occhi nei miei:
‘Penso che
dimostri in modo inequivocabile che Madame Delambre era pazza’.
Per molto
tempo abbiamo guardato il fuoco divorare la ‘confessione’ di Helene.
‘Stamattina mi è successa una cosa strana, Charas. Sono andato al cimitero, dove è sepolto mio fratello. Era abbastanza vuoto ed ero solo’.
‘Non
proprio, signor Delambre. Ero lì, ma non volevo disturbarti’.
‘Poi mi hai
visto’.
‘SÌ. Ti ho
visto seppellire una scatola di fiammiferi’.
‘Sai cosa c’era
dentro?’.
‘Una mosca,
suppongo’.
‘SÌ. L’avevo
trovata stamattina presto, impigliata in una ragnatela in giardino.
‘Era morta?’.
‘No, non
proprio. Io... l’ho schiacciata... tra due pietre. La sua testa era...
bianca... tutta bianca’.
(G. Langelann)
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