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e non solo... (14)
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Misticismo o
& Nel cuore delle
Ande (16)
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direttamente negli occhi un animale e questi sono pieni di dolore e di bellezza
perché contengono la verità della vita, dolore e piacere in ugual misura, la
capacità di gioire e la capacità di soffrire.
Gli
occhi degli uomini molto primitivi e inconsci hanno la stessa strana
espressione di uno stato mentale precedente alla coscienza, che non è né di
dolore né di piacere; non si sa esattamente che cosa sia. È piuttosto
sconcertante, ma indubbiamente qui sta guardando nella vera anima dell’animale,
e questa è esattamente l’esperienza che doveva avere.
In
caso contrario sarebbe rimasta scollegata dalla natura.
È l’esperienza che ognuno di noi dovrebbe avere per ritrovare il legame con la natura interiore, con la propria natura e con il dio dei primitivi. Si potrebbe dire che questi sono gli occhi dell’inizio, del Creatore, il quale era inconscio perché all’inizio tutto era inconscio. Non si può sapere che cosa sia in se e perché, dal nostro punto di vista, un animale non ha coscienza corrisponde esattamente a ciò che noi chiamiamo inconsceità.
Non
posso addentrarmi in una discussione filosofica su questo argomento, ma è
davvero possibile che in ciò che noi chiamiamo inconscio - la somma dei
contenuti autonomi - ognuno di quei contenuti abbia in sé una coscienza.
Perché
no?
La nostra coscienza è un complesso autonomo, e ognuno degli altri complessi potrebbe avere una coscienza indipendente; non è dunque possibile che la somma totale di coscienza e inconsceità abbia un centro con cui i contenuti possano entrare in relazione?
Sarebbe
quella allora la coscienza, perché l’unica definizione di coscienza che si
possa produrre è un’associazione di cose con un Io al centro. Ovunque si trovi
un tale centro è perciò davvero possibile che li si trovi la coscienza;
pertanto ciò che chiamiamo l’inconscio sarebbe un’altra forma di coscienza di
qualcos’altro in qualcun altro.
...Loro
invece vissero sulle vette e compirono gli atti più riprovevoli.
Dimenticarono una cosa non vissero il proprio animale (o, come spesso ‘postulato’: ‘il proprio Primo stato naturale e Dio’…).
L’animale
non si ribella contro la propria natura.
Osserva
gli animali: come sono retti (e dirò
ancor di più…: osserva la simmetria nascosta compiere parola per ogni loro
gesto una simmetrica primordiale immagine della natura - o forse chissà -
invisibile pittogramma del Primo Dio Straniero… Quante ne ho scorte nel momento
dell’umana visione affollare la simmetria osservarmi e fuggire, oppure al
contrario, ferme come per dire – ‘noi siamo la probabile visioni di ciò che non
dichiarato umano ciò che è nominato privo di vita… ma sappi che per ogni umano
gesto componiamo il bestiario dell’umana loro natura…
Osservaci
siamo tranquilli nel nostro regno apostrofati bestie…
Osserva invece le bestie nell’innominato intento affollare ugual e medesimo luogo…quali catastrofi quali incompiute opere pur nella evoluta architettura dissimile dalla nostra Prima Natura…’) …e modesti, come obbediscono alle tradizioni, come sono fedeli alla Terra che li sostiene, come ritornano sui loro passi abituali, come curano i piccoli, come vanno a cibarsi insieme e si attirano l’un l’altro alla fronte.
Non
ve n’è uno che nasconda la preda che sopravanza, lasciando morire di fame i
propri fratelli.
Non
ve n’è uno che costringa al proprio volere la sua specie.
Non
ve n’è uno che vaneggi di essere un elefante quando invece è una zanzara.
L’animale vive con modestia e fedeltà la vita della propria specie, nulla di più e nulla di meno*.
(C. G.
Jung; da Giuliano, l’Eretico Viaggio)
(*come sovente ci accade di assistere anche nel semplice frangente dell’Idea o dello Spirito riflesso e specchio dell’Anima e Dio, avvertiamo la ‘materia’, la nuova forma dell’involuta - o da taluni dichiarata - ‘evoluta materia’ - la quale inesorabile volgerà sino all’apocalittico Abisso nemico d’ogni Natura letta nella infinita numinosità del Sacro; dacché ne apprendiamo circa la duplice interpretazione evolutiva adottata nell’uomo da Lei nato; impropriamente intromettersi e, per effetto della ‘forza’ della dotta ignoranza - circa l’esclusiva pretesa della conoscenza delinearla, e quindi, assoggettarla e costringerla....
[così come ogni Forza della Natura da cui dedotta la simmetrica forza dell’uomo nell’assoggettarla e sottometterla, pur non comprendendone o solo avendone perso Memoria circa i gradi di partecipazione per singoli Elementi, pur cogliendoli ciascuno nessuno escluso, nel Ciclo da cui presuppone leggerne la Vita, ovvero dalla nascita alla morte, dall’Alba sino al Tramonto, dalla Primavera all’Inverno; ed in codesta sottile differenza constatiamo la Natura migliorare riproponendo in Universale Spirale sempre maggior grado di perfezione; così come avremmo dovuto leggerne ed intenderne circa l’uomo evoluto, anche se purtroppo l’interpretazione circa i vari gradi evolutivi posti, fra ciò cui la materia - intende ed enumera - superiore e inferiore -, difettare della necessaria comprensione; quanto tutti gli immateriali gradi di simmetrica connessione, ed ovvero come il Sacro esplicita ‘materia’]
...rapportandola al vasto dominio in cui specificata - evoluta - e quindi dedotta, fors’anche tradotta; ovvero privata di tutte quelle necessarie argomentazioni sottratte della dovuta ‘dottrina’ rimossa nel beneficio o maleficio evolutivo della ‘materia’, dalla constata ‘materia’, modificare il superiore disegno della Natura e Dio, o meglio potremmo dire, l’intero Viaggio rappresentato e nel Sacro interpretato….)
Più a nord si fermarono nei loro viaggi con maggiore forza.
Erano monolitici; le loro mura,
torreggianti e scoscese, suggerivano il Palazzo Potala a Lhasa in Tibet,
un’architettura montuosa di contemplazione ascetica. Passavamo in mezzo a loro, separati da loro
da non più di mezzo miglio. Camminavo da
un lato all’altro della nave, chiedendomi come qualcosa di così imponente nel
suo suggerimento di vita potesse essere
avvicinato così da vicino, eppure
sembrare così remoto.
Era come stare su un dirigibile al largo dell’Annapurna e dell’Everest nell’Himalaya.
(B. Lopez)
Dopo colazione, mentre Samdadchiemba stava raccogliendo intorno alla tenda gli animali che si erano dispersi in cerca di pascolo, abbiamo recitato una parte del nostro breviario. Verso mezzogiorno ci concedemmo un breve riposo, qualche minuto di sonno dolce ma profondo, mai interrotto da incubo o sogni spiacevoli. Questo riposo era tanto più necessario che le serate si prolungavano fino a notte fonda. Fu sempre con difficoltà che ci astenemmo dalle nostre abituali passeggiate al chiaro di luna sulle rive del fiume.
Durante il giorno tutto era
silenzioso e tranquillo intorno a noi, ma non appena le ombre della notte
iniziarono a coprire il deserto, la scena divenne animata e rumorosa.
Gli uccelli acquatici, arrivando in immensi stormi, si diffusero sulle varie pozze e presto migliaia di grida acute riempirono l’aria di un’armonia selvaggia.
Grida di rabbia, il tartaro è
popolato da uccelli migratori.
Alza lo sguardo quando puoi e li vedrai
fluttuare liberi in alto nell’aria, i vasti stormi formano, nel loro volo
sistematicamente capriccioso, mille fantastici contorni, dissipandosi non
appena si formano, formandosi di nuovo non appena dissipati, come le creazioni
di un caleidoscopio.
Oh! cosa sono esattamente questi uccelli migratori nella loro Natura posta in maniera transitoria nel deserto tartaro, dove l’uomo stesso come loro non è mai fisso in un sol luogo, ma costantemente in movimento.
È stato molto piacevole ascoltare il
ronzio distante di questi stormi, vagano come noi. Riflettemmo sulle loro
lunghe peregrinazioni e volgemmo il pensiero ai paesi che il loro rapido volo
doveva aver sorvolato, il ricordo della nostra terra natia ci venne incontro.
‘Chissà’, ci diciamo l’un l’altro,
‘chissà, se tra queste Anime ci sono alcuni che hanno attraversato e transitato
e addirittura sostato per un po’ nella nostra cara Francia; che hanno cercato
il riposo transitorio e il ristoro nelle pianure della Linguadoca o sulle
alture del Giura.
…Dopo aver visitato il nostro paese hanno senza dubbio proseguito il loro percorso verso il nord Europa e sono arrivati qua e là attraverso le nevi della Siberia e dell’Alta Tartaria.
Oh! se questi uccelli potessero
capire le nostre parole o se potessimo parlare la loro lingua, quante domande
non dovremmo porre loro!’.
Ahimè! non sapevamo quindi che per
altri due anni dovremmo essere privati di ogni comunicazione con la nostra
terra natia. Gli uccelli migratori che visitano la Tartaria sono per la maggior
parte conosciuti in Europa come oche selvatiche, anatre selvatiche, alzavola,
cicogne, otardi e così via. C’è un uccello che può meritare una menzione
particolare: lo Youen-Yang, un uccello acquatico che frequenta stagni e paludi;
ha le dimensioni e la forma dell’anatra selvatica, ma il suo becco, invece di
essere piatto, è rotondo, la sua testa rossa è cosparsa di bianco, la sua coda è
nera e il resto del suo piumaggio un bel viola; il suo grido è estremamente
forte e triste, non il canto di un uccello, ma una specie di sospiro chiaro e
prolungato, che ricorda i toni lamentosi di un uomo sofferente.
Questi uccelli vanno sempre in coppia; frequentano, in modo speciale, luoghi deserti e paludosi. Li vedi sfiorare incessantemente sulla superficie delle acque senza che la coppia si separi mai l’una dall’altra; se uno vola via, l’altro segue immediatamente; e ciò che muore per primo non lascia il compagno a lungo nella vedovanza, poiché presto viene consumato dal dolore e dalla solitudine. Youen è il nome del maschio, Yang quello della femmina: Youen-Yang la loro comune denominazione.
Abbiamo osservato un’altra specie di
uccello migratore, che offre varie peculiarità singolari in se stesse e forse
sconosciute ai naturalisti.
Ha le dimensioni di una quaglia; i
suoi occhi, di un nero brillante, sono circondati da un magnifico anello di
azzurro; il suo corpo è di colore cenere, maculato di nero; le sue zampe,
anziché piume, sono coperte da una specie di pelo lungo e ruvido, come quello
del cervo muschiato; i suoi piedi sono totalmente diversi da quelli di
qualsiasi altro uccello; assomigliano esattamente alle zampe della lucertola
verde e sono coperte da squame così dure da resistere al bordo del coltello più
affilato.
Questa singolare creatura, quindi, un anello evolutivo del mammifero quadrupede e del rettile… fino a noi. I cinesi lo chiamano Loung-Kio (Dragon’s Foot). Questi uccelli compaiono periodicamente in gran numero dal nord soprattutto dopo una grande nevicata. Volano con sorprendente rapidità e il movimento delle loro ali emette un suono forte e tintinnante, come quello della grandine.
Compiono il Pellegrinaggio e ciclo della Natura!
(S. Hadin, da Giuliano, Un mondo
perduto)
Di tutti i sensi, il suono è quello che viaggia più lontano negli oceani. Per questo motivo, i metodi acustici sono uno strumento importante che i ricercatori utilizzano per comprendere meglio i mari polari e la biodiversità che esiste in essi. Le osservazioni ottiche raggiungono i loro limiti semplicemente a causa della profondità degli oceani o della copertura di ghiaccio. Lì, i dati acustici possono fornire informazioni preziose sulle abitudini riproduttive, sui modelli di migrazione e sull'impatto negativo del rumore prodotto dall'uomo sull'ambiente marino. Lo studio del rumore di fondo dei mari rivela molto sullo stato degli oceani.
Ci
siamo chiesti cosa possiamo fare con questi dati oltre a valutarli scientificamente.
Come possiamo condividere questi suoni ultraterreni con il resto del mondo?
Queste domande ci hanno dato lo slancio per il progetto Polar Sounds, afferma il dott. Geraint Rhys Whittaker, ricercatore artistico presso HIFMB e coordinatore del progetto Polar Sounds.
Quasi
300 artisti provenienti da 45 paesi hanno chiesto di avere l’opportunità di
reinterpretare questi suoni. Questo enorme numero di partecipanti ha spinto il
team di Polar Sounds a selezionare 105 artisti, anche più di quanto inizialmente
previsto. Era importante per la squadra avere un buon equilibrio per quanto
riguarda, tra le altre cose, origine, background e genere. Ai partecipanti è
stato permesso di comporre qualcosa da diversi clip audio.
Le Nazioni Unite hanno dichiarato che il 2021-2030 sarà il decennio degli oceani ‘ed è imperativo rendere ampiamente accessibili importanti ricerche sui nostri oceani’, ha affermato Geraint Rhys Whittaker.
‘Ciò che mi è particolarmente
piaciuto mentre lavoravo a questo progetto è l’unicità di questi suoni e il
modo in cui possono creare una connessione intuitiva tra noi umani e il mare.
Il prossimo passo del progetto sarà presentare questi suoni in una mostra
itinerante’.
È
stato anche un progetto entusiasmante dal punto di vista scientifico, il Dott.
Ilse van Opzeeland è uno dei principali scienziati dell’Ocean
Acoustics Group dell’AWI, che ha compilato le registrazioni insieme al suo gruppo di
lavoro.
Ci spiega:
‘I paesaggi sonori che stiamo
registrando nei mari polari sono mozzafiato in relazione alle nuove conoscenze
scientifiche che stanno dando risultati da quando abbiamo iniziato il nostro
monitoraggio acustico passivo. Una ‘traduzione’ attraverso l’arte infonde nuova
vita ai nostri dati scientifici, andando oltre una pubblicazione tradizionale o
un documento politico rendendoli accessibili ai non scienziati. Dobbiamo
compiere il massimo sforzo per proteggere, conservare e ripristinare gli
habitat vulnerabili del nostro pianeta. L’interazione tra arte e scienza può
aiutare creando consapevolezza e attenzione’.
Ma
un esame artistico di argomenti e oggetti scientifici può fare ancora di più?
Gli scienziati coinvolti, Geraint Rhys Whittaker, Prof. Kimberley Peters e Dr. Ilse van Opzeeland, conducono interviste qualitative con gli artisti partecipanti. Vogliono esplorare la misura in cui l’arte rivela prospettive innovative ed emarginate che altrimenti rimarrebbero inesplorate, e come gli artisti si avvicinano all'interpretazione creativa dei dati scientifici - al fine di aprire nuove vie di dialogo tra arte e scienza.
(AWI)
Con il termine “scomparire”, gli scienziati intendono dire che la parte più consistente della copertura di ghiaccio si scioglierà e che l’Oceano Artico sarà aperto dall’America all’Eurasia. Ovviamente, rimarranno delle sacche di ghiaccio, soprattutto lungo le coste e in canali come il Passaggio a Nordovest, per un totale di un milione di chilometri quadrati o poco più. Ma la maggior parte del ghiaccio scomparirà. Come vedremo nel prossimo capitolo, ogni feedback artico che possiamo identificare è positivo e non esiste un processo da escogitare per rallentare o arrestare il regresso dei ghiacci marini estivi verso la loro completa scomparsa. L’evento più significativo sarà forse che il Polo Nord, e la rotta per raggiungerlo, saranno liberi dai ghiacci in settembre; questa possibilità è vista da molti come l’equivalente di un Artico libero dai ghiacci.
Torniamo a esaminare ciò che ha contribuito all’accelerazione recente di questo ritiro. Il ghiaccio pluriennale è quasi del tutto scomparso, e anche se la circolazione atmosferica artica cambiasse improvvisamente, non ci sarebbe abbastanza tempo per consentire al ghiaccio che rimarrebbe nell’Artico di raggiungere spessori sostanzialmente maggiori.
Il
riscaldamento dell’oceano libero dai ghiacci in estate non accenna a diminuire,
e continuerà a ritardare ulteriormente il congelamento autunnale, aumentando la
percentuale di frammentazione del ghiaccio esistente dovuta alla presenza di
pozze d’acqua sul ghiaccio e all’azione delle onde.
Negli ultimi anni il concetto di “punto di non ritorno” è divenuto popolare, anche in settori non collegati al clima, e ha assunto un significato molto generico. Intendo invece adottare qui una definizione rigorosa, e dire che un “punto di non ritorno” si verifica quando un sistema, che è stato sottoposto a uno stress al di là di un certo livello, non ritorna più al suo stato originale quando lo stress viene rimosso, ma assume piuttosto un nuovo stato.
Molti
di noi hanno studiato a scuola la legge di Hooke, l’allungamento subito da un corpo
elastico è direttamente proporzionale alla forza applicata; se appendiamo un
peso a una molla, questa ritorna alla sua lunghezza originale quando il peso
viene rimosso. Ma se il peso è troppo grande viene superato il cosiddetto
limite elastico della molla, che continua a estendersi sempre più con lo stesso
peso. Se il peso viene rimosso, la molla non ritorna alla sua lunghezza
originale, e non potrà mai più farlo, perché la struttura cristallina del
metallo è stata modificata.
Ha superato un punto di non ritorno.
Il
ghiaccio marino artico ha raggiunto un punto di non ritorno?
Credo
proprio di sì, per il seguente motivo.
Sappiamo
che l’area di ghiaccio pluriennale presente nella regione artica durante
l’inverno sta diminuendo di anno in anno. Ciò è in parte un effetto del campo
di pressione atmosferica, che al momento porta il ghiaccio fuori dal Bacino
Artico, dalle regioni in cui si è formato, seguendo percorsi diretti, invece di
consentire al ghiaccio di compiere delle circolazioni di lungo periodo
nell’ampio Beaufort Gyre.
Se questo forzante atmosferico continuerà a prevalere, un’area sempre maggiore di ghiaccio marino si scioglierà completamente anno dopo anno, anche in considerazione del fatto che il ghiaccio del primo anno cresce più lentamente rispetto al passato, si scioglie più rapidamente e permette ogni anno a una maggiore area di acqua in via di riscaldamento di essere libera dai ghiacci. Una volta che la copertura di ghiaccio si sarà completamente sciolta in una data estate, il ghiaccio dell’inverno seguente sarà tutto del primo anno, e quindi si scioglierà nuovamente del tutto durante l’estate successiva.
Dunque,
non c’è alcuna possibilità che una copertura di ghiaccio pluriennale di una
certa entità possa formarsi di nuovo.
Il “punto di non ritorno” per il ghiaccio marino si verifica, quindi, quando il tasso di scioglimento estivo è tale, rispetto al tasso di crescita invernale, che tutto il ghiaccio del primo anno si può sciogliere durante l’estate. Inoltre, nessun ghiaccio del primo anno sopravvive fino a diventare pluriennale nel mese di ottobre (quando inizia il congelamento), e la frazione pluriennale nella regione artica non può aumentare, ma dovrà continuare a diminuire fino a quando non rimarrà più alcun ghiaccio.
Allora l’Artico, per sempre (o almeno fino a quando il clima non diventerà di nuovo più freddo) avrà solo una copertura di ghiaccio stagionale.
(P. Wadhams)
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