Prosegue con:
l' 8 Settembre (7)
E il guerriero riparte, ripassa i grigi e verdi
lidi, si lancia a galoppo sul mare e cavalca lungamente finché un profumo di
fieni freschi e un suono di campane gli annuncia la terra vicina. Balzato sulla
spiaggia trasalisce al riconoscersi intorno la sua terra natia, l’Irlanda, ma
non quale l’aveva lasciata tre secoli avanti tutta echeggiante gridi di guerra
e clamori di festini, ma attediata dalle preghiere e dalle salmodie de’
monasteri.
S’avvede allora che tutte le belle imaginazioni
della sua terra pagana son morte, e passati sono i cari eroi co’ lor canti e le
loro cacce e i cavalli e gli amori e i begli occhi dei Fènia sfavillanti come
seta. Si ravviluppa il volto nei capelli e piange, piange lacrime che son grosse
come bacche. Poi cavalca verso l’Ovest e s’imbatte nell’apostolo dell'Irlanda,
San Patrizio, il quale gli dice come quel suo antico mondo di ferocità e di follia
i demoni se lo sono per sempre subissato nelle loro fiamme…
Allora Usheen, lampeggiando d’ira:
“ Dammi il bordone o chierico.
Vo’ andare dai Fènia e cantare quei canti antichi che un tempo li
suscitavano
Sorgeranno essi facendo nube coi loro fiati, esultando e cantando,
innumerevoli; e la terra palpiterà sotto i loro piedi, e i demoni saranno
sgominati e calpestati a morte.
E noi svelleremo le
fiammeggianti pietre, e percoteremo alle porte di rame, e entreremo, e nessuno
dirà:
No! quando entrerà la ben armata coorte.
E gittato il rosario, spera morire e ricongiungersi ai suoi eroi,
siano essi in mezzo alle fiamme dell’inferno o agli splendori del paradiso”.
…Gli Irlandesi della fine del quinto secolo e dei primi anni del sesto trovarono presto una soluzione, da loro definita il MARTIRIO VERDE in opposizione al tradizionale Martirio Rosso, legato allo spargimento di sangue. I Martiri Verdi furono coloro che, rinunciando alle comodità e ai piaceri della comune società umana, si ritirarono nei boschi, o in cima ad una montagna, oppure in un’isola deserta – per farla breve, in una delle VERDI TERRE di nessuno fuori delle giurisdizioni tribali dei clan – per studiare le Sacre Scritture ed essere in comunione con Dio.
Tra
le raccolte fornite da Patrick avevano
infatti trovato esempi di anacoreti disseminati nel deserto egiziano, i quali,
privati anch’essi del rito purificatore della persecuzione, avevano finito per
inventare una nuova forma di santità, la quale consisteva nel vivere da soli in
eremi isolati affrontando ogni tipo di disagio fisico e psicologico, e
nell’imporsi i più eroici digiuni e penitenze, il tutto allo scopo di
avvicinarsi a Dio.
…Dopo
che ebbero imparato a leggere i Vangeli e gli altri libri della Sacra Bibbia,
le vite dei martiri e degli asceti, i sermoni e i commentari dei Padri della
Chiesa, cominciarono a divorare la letteratura pagana greca e latina che gli
capitasse a tiro. Con il loro cattolicesimo privo di restrizioni sconvolsero
gli uomini di chiesa convenzionali, che erano stati abituati ad apprezzare
soprattutto la letteratura cristiana e a tenersi alla larga dalla dubbia
moralità dei classici pagani. Secondo
John T. McNeill, il più equilibrato di tutti gli storici della Chiesa, fu
precisamente ‘l’ampio respiro e la ricchezza dell’erudizione monastica
irlandese, derivata dagli autori classici’ che avrebbe assegnato all’Irlanda il
suo ‘ruolo unico nella storia della cultura occidentale’.
Grazie a questi amanuensi è giunto sino a noi un ricco tesoro di letteratura irlandese primitiva, la più antica letteratura europea in lingua volgare sopravvissuta, poiché venne presa abbastanza seriamente da essere trascritta. E sebbene i primi Irlandesi istruiti fossero affascinati dalle tre lingue classiche (il greco, il latino e – in forma rudimentale – l’ebraico), amavano troppo la propria lingua per smettere di usarla. Mentre in Europa un uomo colto non si sarebbe mai sognato di ricorrere ad una lingua volgare, gli Irlandesi consideravano tutti i linguaggi alla stregua di un gioco, troppo divertente ai loro occhi per privarsi di una sola parte di esso. Erano, cioè, ancora troppo fanciulleschi e troppo giocosi per trovare un qualche valore nello snobismo.
Gli
Irlandesi accolsero l’istruzione a modo loro, come qualcosa con cui giocare.
L’unico alfabeto che avevano conosciuto sino allora era ogham, un rozzo insieme di linee basate sull’alfabeto romano, con
il quale incidevano laboriosamente gli angoli di pietre verticali per
trasformarle in monumenti. Queste iscrizioni simili a rune, che continuarono ad
apparire durante i primi anni del periodo cristiano, non suggerivano certo ciò
che stava per accadere, dal momento che, nel volgere di una generazione, gli
Irlandesi avrebbero padroneggiato il latino e il greco e si sarebbero sforzati
di acquisire un’infarinatura di ebraico.
Concepirono delle grammatiche irlandesi, e trascrissero per intero la propria letteratura orale indigena. Tutto questo si rivelò abbastanza semplice, anche troppo, una volta che ebbero capito il trucco. Cominciarono ad inventare delle lingue. I membri di una remota setta segreta, formatasi già verso la fine del quinto secolo, erano in grado di scrivere l’un l’altro adoperando una forma di latino inusitato ed ermeticamente erudito chiamato Hisperica Famina, non dissimile dal linguaggio-sogno del Finnegans Wake, o dai linguaggi inventati da J.R.R. Tolkien per i suoi gobbi e folletti.
Combinarono
le nobili lettere degli alfabeti greci e romani con la semplicità talismanica e
magica dell’ogham, per produrre maiuscole iniziali e titoli che
inchiodavano l’occhio alla pagina, suscitando reverenza nel lettore.
Per
il corpo del testo svilupparono due
calligrafie differenti; la prima in un carattere maestoso ma arrotondato
chiamato ‘semionciale irlandese’ e la
seconda in un carattere facile da scrivere detto ‘maiuscola irlandese’, più leggibile, più scorrevole e – diciamolo
pure – molto più allegra di qualsiasi grafia inventata precedentemente.
La
cosa degna di nota e interessante dal punto di vista di una Storia di cui
abbiamo perso Memoria in questa nuova èra, è che per ornare i testi dei loro
libri più preziosi, gli Irlandesi cercarono istintivamente un modello, anziché
nelle rozze linee dell’ogham, nella
loro matematica preistorica e nelle tracce più antiche dell’esistenza dello
spirito umano in Irlanda, ossia le tombe megalitiche della valle del Boyne.
Queste tombe furono edificate in Irlanda nel 3000 a.C. circa, la stessa epoca della costruzione di Stonehenge in Britannia.
Misteriose
al pari di Stonehenge, sia per quanto riguarda la loro origine sia per la
complessità dell’ingegneria, queste grandi tombe a tumolo rappresentano la più
antica architettura irlandese, e sono rivestite dalle indecifrabili forme, a
zigzag e a losanga caratteristiche dell’arte primitiva irlandese. Questi
imponenti tumoli che raccontano una storia il cui senso possiamo solo
congetturare, fornirono per lungo tempo ai fabbri irlandesi la loro ispirazione
artistica. Nelle ampie linee delle affascinanti incisioni del Boyne possiamo infatti discernere l’origine
dei magnifici gioielli e degli altri oggetti in metallo realizzati, all’inizio
del periodo patriziano, dai fabbri, i quali detenevano nell’ambito della
società irlandese il rango di indovini. Questa intricata profusione di lavori
in metallo si presenta come una serie di variazioni sul tema originale…
Di
quale tema si trattava?
L’equilibrio
nello squilibrio!
Prendiamo ad esempio l’arguto coperchio della scatola bronzea appartenente al tesoro del Somerset proveniente da Galway: fa mostra di una precisione matematica, eppure è deliberatamente decentrato; forgiato da un fabbro abile nell’uso del compasso, e dotato di ironia. Il suo fascino è Infinito poiché, in quanto variazione/ripetizione sul tema della circolarità, non ha fine… Sembra che dica ‘il cerchio non esiste’, esiste soltanto la spirale che si configura senza fine, non esistono linee rette, ma solo curve…
Esiste un’espressione presso un antico scrittore cabalistico sull’uomo che cade all’interno della sua stessa circonferenza: ora ad ogni generazione ci troviamo più lontani dalla Vita stessa e l’Anima-Mundi che forma la sua essenza, e cadiamo sempre di più in preda di quell’influenza cui si riferiva Blake quando scrisse:
I Re ed il Parlamento (e tutti i loro
cortigiani) mi sembrano cosa diversa dalla vita umana (dalla realtà e verità
umana)…
Perdiamo
sempre più la libertà man mano che fuggiamo da noi stessi, e non solo perché le
nostri menti sono stravolte dalle frasi astratte e dalle generalizzazioni,
riflessi su uno specchio che sono un’apparenza della vita, ma perché abbiamo
capovolto la scala dei valori e crediamo che la radice della realtà non stia al
centro, ma da qualche parte in quella
vorticosa circonferenza. E in che modo potremmo creare come gli antichi, se
innumerevoli considerazioni di probabilità esterne o di utilità sociale
distruggono il potere creativo, solo apparentemente irresponsabile che è la
Vita stessa?
…Ogni
argomento come abbiamo letto non casualmente circa le valide argomentazioni di Cahill ci riconduce a qualche concezione
filosofica-religiosa, e alla fine
l’energia creativa degli uomini dipende dalla loro fede di possedere, nel loro
intimo, qualcosa di immortale e di incorruttibile (là ove regna sovrana la corruzione sia materiale che spirituale), e
che ogni altra cosa non è che un’immagine in uno specchio formare la spirale appena detta…. Sino a che questa fede non sarà
soltanto formale, un uomo trarrà le sue creazioni da un’energia piena di gioia,
senza cercare tante prove per un impulso che può essere davvero sacro, e senza
ricorrere ad alcun fondamento fuori dalla vita stessa…
L’arte, nei suoi momenti più alti, non è una creazione volontaria, ma deriva da un sentimento potente, dalla pura essenza intesa quale Anima-Mundi di vita, ed ogni sentimento è figlio di tutte le età passate (come una Spirale donde la vita) e sarebbe diverso se anche un solo istante fosse stato trascurato. E davvero non è proprio quel piacere della bellezza e dell’armonia che dice all’artista che egli ha immaginato quel che forse non morirà, ed è esso stesso soltanto un piacere delle forme perenni e tuttavia cangianti in spirali di vita, nelle sue stesse membra e nei suoi tratti?
Quando
la vita l’ha donato, non ha forse dato nient’altro che se medesima?
Riserva
forse mai altra ricompensa, perfino ai santi?
Se
uno fugge verso il deserto, non è quella luce chiara che cade sull’Anima quando
tutte le cose insignificanti sono state allontanate, altri che la vita che l’ha
sempre circondato, ora finalmente goduta in tutta la sua pienezza?
Se
un uomo trascorre tutti i suoi giorni in buone opere sinché nel suo cuore non
resti emozione alcuna che non sia colma di virtù, la ricompensa che implora non
è forse vita eterna?
Allo stesso modo, anche l’artista ha le sue preghiere e il suo monastero, e se non si allontana dalle cose temporali, dallo zelo del riformatore e della passione della rivoluzione, quell’amante gelosa non gli rivolgerà che un’occhiata di scherno…
(W. B. Yates, Anima Mundi)
EVOLUZIONE DELLA SPIRALE
È stato a lungo considerato un fatto accertato che le chiese d’Irlanda, prima del XII secolo, erano interamente costruite in legno, o in cannicci imbrattati di argilla. Di conseguenza si ritenne, sulla base dell’autorità di Ware, che nel paese non rimanesse un solo esempio di architettura sacra di un periodo molto antecedente all’AD.1148, anno in cui morì Malachy O’Morgair, che si dice abbia eretto a Bangor il primo edificio ecclesiastico in pietra mai apparso in Irlanda.
Gli sforzi ben mirati di George Petrie, nel
cercare tra i resti archeologici stessi la prova in base alla quale la loro
epoca potesse essere determinata, e nell’addurre la testimonianza di
manoscritti irlandesi relativi a strutture che erano in uso al momento della
loro composizione, rimossero il velo di oscurità che aveva così a lungo avvolto
l’argomento ecclesiastico irlandese.
Ha dimostrato che il paese non solo contiene
esempi di architettura ecclesiastica del primo periodo del cristianesimo nel
regno, ma mostra anche molte caratteristiche di eccezionale interesse. Sebbene
il legno sembri essere stato il materiale con cui furono costruite le prime
chiese, dove la pietra non era abbondante e altrimenti inutilizzata,
successivamente furono costruite in pietra, e per le loro piccole dimensioni e
caratteristiche peculiari sono tra i resti più interessanti ora esistenti. Gli
edifici chiamati oratori erano evidentemente destinati alla devozione privata
dei fondatori, le cui tombe si trovano così spesso nelle loro immediate
vicinanze. Più singolari di queste si trovano nell’ovest e nel sud-ovest dell’Irlanda,
e si trovano generalmente in luoghi isolati, non solo sulle piccole e quasi
inaccessibili isole al largo della costa, ma sulle cime delle montagne e sulle
solitarie isole lacustri.
Seguendo le pratiche ascetiche e la vita monastica della primitiva Chiesa orientale, questi luoghi, lontani dalle dimore degli uomini, furono scelti come ritiri dai primi missionari della Chiesa irlandese. Sulla selvaggia e quasi inaccessibile Skellig Rock, sulla Slieve League e sul monte Brandon, nel lago Gougane Barra, su High Island, Inishglora, Inismurray e in numerosi altri luoghi isolati, furono erette celle di pietra e oratori, singolarmente o in connessione con insediamenti monastici.
Fu adottata la forma edilizia a clochaun
riscontrata in uso, e fu su questo tipo di rozza struttura che furono eretti in
questi luoghi i primi edifici ad uso ecclesiastico cristiano. Le celle
monastiche cambiarono presto dalla forma pagana circolare o ovale, e divennero
rettangolari, in primo luogo internamente, come troviamo in quelle dei resti di
Skellig…
Tombe paleocristiane erano solitamente
contrassegnate da pietre che non differivano in alcun modo dalla pietra del
pilastro pagano, tranne che in alcuni casi erano scolpite con una croce. Questi erano della forma più semplice e tagliati
grossolanamente, e consistevano in una linea trasversale elementare, oppure
leggermente sviluppata e interna a un cerchio. In genere si adottavano in prima
istanza lastre semplici, grezze o pietre grezze, utilizzando lo strumento del
tagliatore solo sull'opera incisa. Molte delle pietre di questa classe si
trovano in antichi cimiteri cristiani o nell’area dei primi stabilimenti
monastici.
Sembra che a questo stile di memoriale sia succeduta una croce di forma rozza, i cui bracci sono poco più che indicati, e che di solito è fissata in una presa, tagliata in una grande pietra piatta. Tali croci raramente presentano alcun tipo di ornamento; ma occasionalmente, anche in esempi molto rozzi, la parte superiore dell'asta è scavata nella forma celtica già descritta, e le porzioni della pietra con cui è indicato il cerchio sono spesso perforate o leggermente incassate. Una bella croce semplice di questo stile può essere vista sulla strada adiacente al cimitero di Tully, nella contea di Dublino; e ce n’è un esempio antico decorato vicino alla chiesa di Finglas, nella stessa contea.
Nel processo di sviluppo dell’arte e dell’architettura
cristiana troviamo un progresso nel lavoro sulle memorie dei defunti. Il
disegno si fa più complicato, gli ornamenti più abbondanti; e nelle iscrizioni
c’è un cambiamento nella forma minuscola dell’alfabeto. Dalla rozza colonna di
pietra, contrassegnata dal simbolo della Fede cristiana racchiuso entro un
cerchio, emblema dell’eternità, si svilupparono le croci finemente
proporzionate ed elaboratamente scolpite di un periodo successivo.
In quest’ultimo, il cerchio, invece di essere semplicemente tagliato sulla faccia della pietra, è rappresentato da un anello, che lega insieme, per così dire, l’asta, i bracci e la parte superiore della croce. La sommità del fusto ha solitamente la forma di un tetto con i lati spioventi, somigliante ai santuari dell’epoca destinati a contenere le reliquie dei santi. Gli spazi tra l’anello di legatura e i bracci che si intersecano sono forati; e questi sono finemente alleggeriti da fasce arrotondate attraverso gli angoli di intersezione, o sulla superficie interna dell'anello.
L’intera scultura forma così la croce, ed è in
netto contrasto con il tipo di memoriale scozzese, che ha la croce scolpita in
rilievo su una lastra verticale. Le croci iscritte erano sepolcrali e venivano
utilizzate principalmente per coprire la tomba; ma le croci libere furono
erette o alla memoria di qualche famoso ecclesiastico o re, oppure dedicatorie,
come nel caso delle SS. Patrick e Columba Cross a Kells, o terminale, che segna
i confini di un santuario.
Ne restano quarantacinque croci, molte delle quali in discreto stato di conservazione. La caratteristica sorprendente di queste croci è il lavoro ornamentale e pittorico mostrato nell’intaglio. Come nei manoscritti e nella lavorazione dei metalli, e nell’ornamento generale delle chiese, questo è di carattere molto elaborato. C’è una profusione di motivi a spirale, trafori celtici e disegni zoomorfi trovati su queste croci.
L’intero corpo della dottrina cristiana trova la
sua espressione nelle loro sculture, destinate, senza dubbio, attraverso la
rappresentazione simbolica, ad essere grandi lezioni oggettive sulla via della
fede per ogni spettatore. L’idea centrale sulla faccia della croce è
solitamente la Crocifissione, e sul retro la Resurrezione, o Cristo in gloria;
i rimanenti spazi nei riquadri e sui lati furono riempiti con vari soggetti
sacri e non.
Sembra che queste croci altamente scolpite siano
state erette generalmente tra il X e il
XIII secolo; e restano pochi esempi di una data successiva, se eccettuiamo
un piccolo numero recante iscrizioni in latino o inglese, che generalmente
appartengono alla fine del XVI o al XVII
secolo, e che difficilmente può essere considerato irlandese o antico.
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