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Il Tempo & la Memoria (1)
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Raccontare la
frattura che si preannunciava in quella Chiesa, non è la ‘storia’, ma un evento
della nostra geografia. Io in tutta la mia umiltà così ho percepito e visto.
Perché non ho mai varcato il sottile confine fra ciò che va detto e ciò che va taciuto. Questa
differenza, questo abito, questo costume da pagliaccio che indosso, ancora mi
danno l’onore della vita, se questa può dirsi vita. Prego anche’ io chino di fronte alla croce, e
quando l’alto prelato incrocio, nel silenzio di qualsiasi sermone, abbasso gli
occhi e prego per la mia vita e quella del prossimo. Nel lento scorrere della
litania, della preghiera, recito la mia parte, la mia ora, il mio giorno, nel
divenire del tempo. Nel lento camminare del giardino chino ammiro la vita della
foglia che trasuda la sua umidità invernale. Prego lei, fra la sua e la mia litania.
In questo girare in tondo, qualche libro abbiamo ‘miniato’ nel segreto della
biblioteca e abbiamo nascosto agli sguardi attenti dei fratelli. Così ora anche
di giorno riesco a leggere qualcosa della radice della pianta, mia sola
compagna, mia sola amica, mia sola anima, di questo Inverno che si preannuncia
severo. Ma i primi freddi alle ossa sono il nulla di fronte ai brividi della
caverna che scende, fino alle volte insperate di panorami di altri secoli.
Quello di cui io ora sono testimone, e di cui spero mai mortificare il mio
umile spirito dentro queste carni già sofferenti, è la costanza dell’ Assoluto,
divenuto parola attraverso il mio confratello -
Eraclio - .
Nel lento deambulare
e girare attorno noi stessi abbiamo imparato che la sua parola è più della
nostra vita, che il suo dire è più della luce che riusciamo a vedere ogni
mattina, che il suo pensare è un conversare con Dio, a cui noi ancora non ci è …. e mai sarà concesso.
Il tramite del nostro parlare con la Croce, il miracolo della vita, il nostro
mangiare e sopravvivere, è opera di nostro fratello Eraclio. Tutto, con il
tempo, abbiamo imparato da lui dipendere. Nel segreto della nostra cella
vediamo e preghiamo nostro fratello – Eraclio - . L’uomo che ora io vedo aver
preso voce da quella fitta boscaglia dietro l’altare…. e parlare… domandare. E
con lui i figli d’altare, a cui spesso confuso nel fitto cerimoniale attorno ad
esso, non riusciamo più a dar un nome. Con lui i suoi fratelli e sudditi, i
dottori, da cui – Eraclio - insegna ed apprende, nel lento fluire del
tempo, immobile, di fronte all’assoluto della verità.
Con lui Vescovi e
Cardinali, i medici della nostra anima, dei nostri dolori, custodi delle nostre
celle, padroni dei nostri pensieri, seminatori dei nostri sogni, raccoglitori
della nostra semenza . Con lui il lento
trasmutare della storia, il lento progredire della scienza Teologica in seno
alla verità scientifica. La stagione di una verità scorre attraverso la
mutabilità apparente, apparenza del tempo. Lento deambulare in circolo per
questo giardino. Questo il nostro camminare, pregare…. e troppo spesso sperare.
Nella solitaria quiete dell’ Eremo le stagioni sono ricorrenze da calendario.
Sono Messe da celebrare, penitenza da rispettare, comunioni per i nostri visitatori
di tutto il feudo, di cui disconosciamo persino i confini. Sono cornici ed usanze, litanie ripetute fino
allo stordimento. Così incorniciamo lo scorrere lento del tempo e con esso la
vita che spesso vediamo e ammiriamo da lontano . La vita, per noi, dissidenti
cultori della biblioteca, si nasconde in cornici di quadri ammirati da lontano:
è profumo di Primavera, spensieratezza di neve, freddo e gelo, e poi i colori
assordanti dell’Estate. Quei quadri li
possiamo ammirare e vedere… talvolta…..
Ma ben attenti a non essere visti. Non essere osservati nel nostro lento
volare verso altri luoghi. La nostra –
anima - , così ci spiega Eraclio, è la parola donata da nostro Signore, è il
mistero del – verbo - , il sacrificio a cui tutti noi ci dobbiamo umiliare, per
comprendere, capire… e poi celebrare. Il
nostro – Spirito – , ci insegna , deve perseguire la dura disciplina della
penitenza, della severità, del castigo. La nostra – Salvezza – il pregare
quell’ anima che un giorno incontrerà la gloria dei cieli. La penitenza della
preghiera e la paura del potere Divino, che nostro Signore e Padrone possono su
di noi. La vita, tramanda fratello –
Eraclio – , può conoscere solo questa umiliazione, questo castigo, questa eterna
penitenza. La luce della preghiera deve penetrare in noi, dall’alto di quella
feritoia nella Chiesa, come immagine manifesta di Dio. La prima ed assoluta
creazione, la prima sua manifestazione, la prima sostanza.
Così nel buio della
nostra anima, il corpo deve prendere forma e spirito. Nel nostro pregare nel buio dei nostri
patimenti, possiamo sperare solo nella salvezza di quella luce. La prima luce
dell’ – Altissimo - . Il creatore di tutte le cose. Quando fratello – Eraclio –
parla in codesto modo, ci illumina tutti. Apre ai nostri occhi chiusi la
comprensione vera del Mondo, del Creato, dell’ Universo. Io, e tutti i miei confratelli, dai lontani
tempi del seminario, abbiamo compreso la verità tangibile del mondo attraverso
la parola di fratello – Eraclio - . Con
i fratelli più anziani abbiamo imparato che la luce della sostanza della
materia creata si deve riflettere su tutte le opere che leggiamo, sulle
preghiere che recitiamo, sulle pitture che componiamo. Sulle croci che
fabbrichiamo. Quelle e solo quelle sono le nostre stagioni, gli sguardi di un
desiderio di vita e salvezza. Panorami
di verità. Il resto è vista di un mondo che ci è proibito vedere,
ammirare, contemplare. E’ solo l’immagine di quel Dio di cui i nostri occhi
debbono celebrare in eterno la sua venuta, la sua figura, il suo martirio. Gli occhi
di quel Dio riflessi nella sua sostanza, nell’ icona, e sacrificati per
sempre alla sua opera creata. Ma con il tempo l’ opera creata ha mosso i nostri
animi, gli spiriti, la segreta volontà non del tutto assopita della conoscenza.
Nella rigida regola dell’ Eremo, ci è concesso celebrare il – Verbo – incarnato
in diversa maniera. In questo fratello – Eraclio - , ci ha sempre stimolato,
insegnato, e poi comandato.
Nella regola del
quotidiano vivere orologio del tempo,
oltre alle tre funzioni giornaliere, abbiamo la possibilità di prestare la
nostra ignoranza alla – Sacra – conoscenza.
La biblioteca diviene spesso il nostro rifugio. Diviene la fuga, lo
sguardo, la vista. La voglia di vivere dinnanzi ad una non manifesta cecità. In quanto, pur ciechi, tutti noi, almeno
quando prestiamo attenzione alle scritture, sembriamo vedere.
Ma dalla cecità, in
realtà troppo spesso passiamo solo ad una forte miopia. Raramente ci è concessa la vista. Quando io , ed altri miei fratelli vi
riusciamo, cerchiamo di nascosto a fratello – Eraclio – di coniugare la luce
interiore con quella esteriore....
(Prosegue....)
(Prosegue....)
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