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…. Quando il 6 aprile 1252 frate Pietro da Verona si avvia verso Milano,
non poteva immaginare che si stava incamminando verso la ‘santità’ e che la sua
morte sarebbe stata un volano repressivo. Quando nel 1307 frate Lanfranco da
Bergamo termina la stesura del suo ‘quaternus
racionum’, mai avrebbe pensato che quel quaderno contabile, così
disordinatamente pasticciato da numeri cancellati e riscritti, sarebbe
diventato una delle fonti superstiti più preziose per lo studio
dell’inquisizione: una fonte dalla vertiginosa ricchezza informativa. Quando
nell’ottobre del 1303 il frate Predicatore Niccolò di Boccassio diventa
Benedetto XI, non poteva prevedere che, nonostante la brevità del pontificato,
la sua azione ai vertici della Chiesa sarebbe stata un capitolo importante per
la storia dell’inquisizione..
Una santità antiereticale, la contabilità della repressione, un
progetto di governo della Chiesa e di coercizione all’ortodossia: alcuni frati
Predicatori sono i protagonisti di specifici contesti – assai diversi, anche
per la produzione documentaria – che diventano pilastri tematici e tiranti
problematici dell’architettura di questo libro… E’ evidente che non si è in
procinto di leggere una sintesi di storia dell’inquisizione medievale, bensì
una ricostruzione mirata di fatti (e effetti) in uno specifico spazio
geocronico: una provincia italiana del nord percorsa dai frati Predicatori
inquisitori negli anni che dall’azione di frate Pietro da Verona, e soprattutto
dalla reattività della sua morte santa nel 1252, giungono all’esaltazione
artistica della sua funzione storica quando è portata a termine l’arca dedicata
a san Pietro martire nel 1337.
Attenzione prevalente è concentrata sul Duecento in quanto fase ancora
dinamica del consolidamento dell’ ‘officium fidei’ che si definirà in forma
stabile a partire dai primi decenni del secolo successivo. Le vicende della
repressione in questa porzione di territorio italico sono state per lo più
trascurate: non ne troviamo riferimento
alcuno nelle più recenti e mediate rassegne storiografiche, nonostante che
in quest’aria e in questi anni si manifesti un’importante produzione sia
giudiziario-inquisitoriale sia polemistico-idelogica: un riferimento importante
per la storia dell’inquisizione medievale in Italia (e non solo).
Apparentemente locali e di medio raggio, i contatti professionali e confessionali
emergenti dalle note contabili di frate Lanfranco non si riducono ad una specie
di microstoria, ma si dilatano a dimensioni di vertice illustrando il ruolo
propulsivo dell’Ordine dei frati Predicatori in una doppia fortunata
congiuntura: alla metà del XIII secolo con l’omicidio di frate Pietro da
Verona, tra la fine del XIII secolo e l’inizio del secolo seguente quando frate
Niccolò da Boccassio da maestro dell’Ordine diventa papa Benedetto XI. E’
chiaro come l’inquisizione si ponga in un delicato punto d’intreccio tra
diverse competenze specialistiche – religioso-istituzionali,
politico-istituzionali, economico-finanziarie, giuridiche – nel passato, ma
pure nel presente per chi accinga a studiarla: tale delicato intreccio deve
essere affrontato per liberare l’involucro documentario da una astratta
fragilità intrinseca e per offrire una realtà allargata e poliedrica al fine di
chiarire a fondo il funzionamento di una macchina repressiva che, nella metà
del Duecento, si caratterizza per dinamicità e duttilità.
Ciò palesa nuovi orizzonti e nuovi problemi lessicali: si dovrà
scrivere ‘Inquisizione’ o ‘inquisizione’? Il termine minuscolo presente nelle
pagine di questo libro dà ragione di una stagione di mobilità perpetua e di
flessibilità adattativa, di progressiva acquisizione di spazi nelle istituzioni
già esistenti (ecclesiastiche e civili), prima di diventare realtà
giuridicamente strutturata.
Nel settembre 1304 frate Lanfranco da Bergamo si reca a Milano. In
occasione del capitolo provinciale dei frati Predicatori e a margine delle
sedute, consegna 40 fiorini al confratello priore del convento di
San’Eustorgio. Regolarmente la spesa viene registrata nel ‘liber racionum’, il libro che frate Lanfranco compila nel corso
dei lunghi anni in cui è titolare dell’ ‘officium
fidei’ di Pavia. L’esborso di 40 fiorini viene giustificato allegando al
rendiconto la lettera che frate Giacomo da Bologna, vescovo di Mantova e
familiaris di papa Benedetto XI, aveva inviato nel mese di febbraio dello
stesso anno al frate Guido da Coccolato, priore provinciale di Lombardia. In
essa il nome del pontefice, il vescovo Predicatore sollecitava il completamento
del sepolcro monumentale del beato Pietro martire in costruzione presso il
convento milanese, richiedendo un contributo di 200 fiorini ai frati
inquisitori di Lombardia Guido da Coccolato, Tommaso da Como, Raniero da
Pirovano e Lanfranco da Bergamo.
‘Volens obbedire dominio pape’,
durante l’incontro capitolare frate Lanfranco consegna al priore milanese una
parte dei fiorini richiesti. Il monumento funebre del martire inizia a prendere
concreta forma architettonica nel 1297, durante il capitolo generale di
Venezia, quando l’allora maestro generale frate Niccolò da Treviso aveva
sollecitato la ricerca di aiuti finanziari per la costruzione dell’opera
d’arte… Divenuto Benedetto XI, egli insiste richiedendo aiuti anche agli
inquisitori dell’ officium fidei’ per
commissionare l’opera….
Passeranno circa trent’anni prima che l’artista e scultore Giovanni di
Balduccio da Pisa sia chiamato a Milano per realizzare in Sant’Eustorgio
un’opera in forma e materia simile alla ‘structura solempnis’ che Nicola Pisano
nel 1267 aveva terminato per san Domenico nella omonima chiesa bolognese. Gli
inquisitori collaboreranno, seppur tardivamente, anche al compimento di questo
progetto…. All’anno 1317, nei libri contabili di frate Corrado da Camerino, ‘inquisitor haereticae pravitatis’ a
Ferrara, Modena e Reggio, leggiamo che alcuni di loro avevano versato 10 lire
bolognesi per l’opera a celebrazione perpetua di san Domenico….
(M. Benedetti, Inquisitori lombardi del Duecento)
Mi vide tremare,
di fronte
alle porte
di uno
sperduto altare.
Non
conosce la morte,
né il
paradiso o l’inferno.
Un corpo
calato nella fossa
profonda,
forse
solo un mausoleo…
nominato
tomba.
Perché
non v’è dimora
per un
anima…,
e
l’infinita sua ora. (26)
Tanti
toccano la bara onorano
la salma,
chiedono
il miracolo domandano
perdono,
mostrano
la lacrima
per chi
non farà più ritorno.
Hanno
barattato la donna
con un
santo devoto e orgoglioso.
Non
conosce l’amore
solo
castità nominata dolore.
Non
conosce desiderio di vita,
solo
penitenza che mortifica
il corpo.
Perché il
suo sogno…
non è mai
nato,
nella
difficile semina..,
di un
diverso racconto. (27)
Ora
pregano la speranza
di un
mondo migliore:
l’osso di
un santo guarisce
la vita,
e un
popolo in attesa di una fine
peggiore.
Mentre
fuori muore l’intero mondo…
di
dolore. (28)
Chi
confuse la verità
con una
antica superstizione,
chi
confuse l’inganno
con nuovo
dolore.
La bara,
la fossa, e l’intero
mausoleo,
e la
grande chiesa sopra
al
tempio,
custodiscono
il silenzio
e il
ricordo…
di un
corpo morto,
giammai
l’anima di un sogno
mai
raccolto. (29)
Ora la
preghiera dona denari
alla
santa congrega… ,
sopra la
tomba di una dèa (nostra amata Natura).
Sogno di
un Primo Dio disceso
nella
materia,
mai
seminato in questo
strato di
terra.
Denari
tesoro e l’intero raccolto,
per
illudere con il miracolo
l’intero
volgo.
Volgo che
prega una strana
preghiera,
lenta
cantilena cancella
il
ricordo.
Una
stella e la sua dèa
mi
donarono la parola
una
fredda mattina.
Vicino ad
un orto
ed a uno
strano
volto:
maschera
e ombra d’un regno
mai
morto. (30)
Chi
chiede la vista
per un
occhio
che non
vuol più vedere
tutte
queste pene.
Chi di
alleviare le piaghe
di una
crosta di pelle
già
decrepita e morente,
per le
troppe ulcere
donate da
un male banale,
e figlio
di una guerra
ché il
mio vero sogno
è smarrito…
in questa
loro eterna preghiera. (31)
Eterno
parto di una terra
che non
conosce tregua:
amore
senza pane
e con
troppa fame. ( 32)
Chi
chiede di camminar retti
per la
via,
che la
gamba ha perso un giorno
quando la
vita gli fu restituita.
Freddo di
rancore
quando
l’ascia l’ha amputata
per un
poco di pena donata,
e per il
troppo odio…
in nome
d’un Cristo risorto.
Con
l’elmo e la spada
comanda
la mia nuova
preghiera,
scordando
per sempre la vera
rima
dentro ad una chiesa.
Ed ora
fuori a quella,
prego la
mia nuova cantilena. (33)
Chi la
febbre del fanciullo,
che lo
lascia muto e senza parola,
con il
viso idiota.
Domanda e
implora una cura
nuova
per il
male che divora.
Chi un
solo tozzo di pane
per
alleviare la fame.
Chi
l’ulcera d’una malattia
che si
nutre della zolla rigogliosa,
prega
come me
la Madre della
terra,
affinché
l’antica promessa
cresca
ancora…,
nella
poesia della mia Rima. (34)
Chi un
riparo dal giorno e la notte
per non
morir massacrati di botte,
per poi
essere dimenticati nella fossa
senza
neppure un nome sulle ossa.
Chi non
vuol sentir carestia,
e chi
dolore che lentamente
porta
via.
Chiude
gli occhi e muore
dentro
una grotta….
in nome
di un’anima risorta.
Chi un
soldo per un bicchiere
di vino,
che la
vita ha confuso lungo
il
cammino.
Chi una
moneta per l’infante
magro più
della carestia,
che pian
piano lo trascina via.
Chi un
fuoco di legna,
per
scaldare la zolla dove
senza
tetto riposa.
Chi un
indulgenza
alla
sottana del prete,
perché ora
geme assieme
alle sue
preghiere.
Dopo aver
sacrificato
l’anima
mia,
fin
dentro la sacrestia. (35)
Per un
tozzo di pane
in nome
della sola fame,
che
trascina più in basso
del
letame.
E della
nuda terra
ne fa
solo nutrimento,
e a noi
non rimane
che la
sua preghiera
e
l’eterno suo tormento.
Pasto di
un prelato
e il suo
grande sovrano,
fieri del
loro regno
in questo
sogno indegno. (36)
Questa la
triste visione
di una
stella mai morta
e per
sempre risorta.
Nel
miracolo della creazione,
illumina
il cielo
quale
eterna visione,
di un
diverso Creatore…
….Ed i
suoi poveri perfetti
senza
neppure un nome….
sotto
questo sole. (37)
Nella
sacra dottrina
la vera
fede è solo
eresia,
perché il
pane della vita
dividiamo
con il Primo Dio.
Mentre la
fede pregata
nella
chiesa,
chiusa
nell’ortodossia
della
vita,
chiede
obbedienza e amore,
contraccambiato
con terrore
per il
resto delle ore.
Ad un
Secondo Dio
confuso
nel dolore. (38)
Vendo
ancora e per sempre
la stessa
parola,
ora
quotata anche in borsa.
Ho
accesso alle segrete stanze
del
potere talare,
posso
contare sulla compiacenza
tradotta
da questa storia antica
in
complicità segretezza
e
discrezione…,
di una
banca antica.
Non deve
rendere di conto
né ad una
strega né ad una zingara,
né ad un
pazzo che scava la terra
e si
crede… anche profeta. (3)
Son re d’
una diversa dinastia
con il
compito di conservare…
memoria:
è dono di
gloria
privata
della cattiva coscienza
assente
alla vera parola….
perché
son padrone della storia. (4)
Inquisitore
dell’eretica parola
ogni sera
e ogni mattina,
come una
Natura per sempre
sconosciuta,
da noi
nominata solo Eresia.
Non
conosce parola e scrittura,
ricchezza
infinita della mia dinastia.
Cognome
composto e celebrato
su ogni libro
di questo grande creato.
Narrano
di un mondo senza peccato,
letto
custodito e interpretato
nella
grande biblioteca vicino
al
sacrato.
E da noi
sempre celato
per
questa Genesi satura
di ogni
innominato peccato.
Cui noi
accogliamo l’anima malata
entro la
sicura ortodossia,
e curata
nella vera parola
prigioniera
della loro strana
menzogna….,
chiusa
nell’eterno peccato.
Che non
sia mai narrato
per
questo sacrato!
Dopo
l’immensa sacrestia
che
arreda la grande storia
della
sacra Dottrina. (5)
Ne orna
l’unica e sola memoria:
Stato
antico nominato Pontificio,
simbolo
araldico di un grande prelato
eletto
quale grande e unico sovrano.
Solo per
caso cinge corona di Papa,
pur
essendo peggio di qualsiasi
monarca,
da lui
solo inventato nel nobile
e fiero Creato.
Per
nostra salvezza
è re e
padrone di questa
grande
terra.
E custode
del potere immacolato.
La
nobiltà si inginocchia
e prega
parola,
un uomo
prezioso quanto
il grande
quadro ammirato.
Orna la
grande cappella
col viso
affranto e umiliato
per ogni
loro peccato.
Ma il
nobile prega il valore
della
tela,
questo è
il suo vero mercato. (6)
Con lui
il marmo decorato
sulla
piazza,
ove con
lo sguardo schifato
immoliamo
e puniamo
il
peccato già nominato.
Se gli
occhi del disgraziato sacrificato
sono
uguali a quelli del quadro…,
non
datemene colpa.
L’idea mi
viene quando brucio
ogni
eretico
per
vedere stessa pena,
…perché
il popolo allieta.
Questa è
l’arte mia segreta
non
andate di fretta.
Commissionata
ad ogni artista
che non
vuol fare ugual fine
nel
quadro della storia,
perché
narra il mio ardire
e sposa
la vera fede
con la
sacra memoria.
Così la
tela per mano del pittore
dona la
luce alla vista assopita
di un
diverso ricordo.
Ora
ammira in alto sul soffitto
dipinto
l’intero paradiso,
memoria
di un rogo
che l’ha
appena ucciso.
È l’Abbazia della storia,
io ne
curo arte e architettura
…specchio
della vera Parola. (7)
Sono il
muratore della segreta
Loggia…
….scontate
ogni mia colpa
popolo
che in nome mio…
prega e
lavora..
Il mio
araldo è borsa e vita,
non va a
braccetto con quella
lurida
rima,
con
quella strega o zingara
che sia.
Neppure
con una bestia feroce,
o altra
maledetta idiozia.
Sono io
mercato e denari,
padrone
della storia
e di ogni
dottrina,
perché
orna pensiero e mistero
di ogni
sogno taciuto e soppresso
….per
questo mio Regno. (8)
(G.
Lazzari, Frammenti in Rima, Il Primo Dio - secondo dialogo - fr. 25/38;
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