giuliano

domenica 9 aprile 2017

SEMPRE E SOLO UN SOL UOMO... (2)













































Precedente capitolo:

Un sol uomo.... (da 2 ad.... 1)














Il potere totalitario oppressore è il suo Dio (con lui anche ex nazisti quanto comunisti); il modello che egli ha dell’ordine è la simmetria delle croci in un cimitero.
In tale simmetria si incasella, lui stesso, senza discutere: non può immaginare nulla di nuovo o di diverso. Il nuovo e il diverso lo spaventano. Devoto quanto un prete a sistemi già collaudati, divinizza i regolamenti e vi obbedisce nel modo in cui obbedisce ai banali canoni dell’eleganza: abito blu, camicia bianca, cravatta blu.
Il vero inquisitore è un uomo lugubre (2*). Filosoficamente è il vero fascista assommato al nazista, privo di colore che serve tutti i fascismi ( e ne diventa docile strumento), tutti i totalitarismi, tutti i regimi purché servano a mettere gli uomini in fila come croci in un cimitero.
Lo trovi ovunque vi sia un’ideologia, un principio assoluto, una dottrina che proibisca all’individuo di essere se stesso.
L’inquisitore si dichiara idealista ma odia gli ideali. Ha uffici in ogni contrada della Terra, capitoli in ogni volume di storia, ieri serviva i tribunali dell’Inquisizione cattolica (a caccia di cani!) e del terzo Reich, oggi serve la caccia alle streghe delle tirannie orientali e occidentali, di destra e di sinistra.
Egli è eterno, onnipresente, immortale….
E mai umano… Più bestia che uomo…
Forse si innamora, all’occorrenza piange e soffre come noi, forse ha un’anima. Ma, se ce l’ha giace dentro una tomba così profonda che per disseppellirla ci vorrebbe un bulldozer, o un trattore.
(Oriana Fallaci, Un Uomo)






(2*) Come durante il medioevo, gli inquisitori non frequentavano scuole particolari, ma imparavano il loro mestiere sul campo, talvolta iniziando la carriera in qualità di vicari, ma ciò non rappresentava una regola. Una volta eletti, veniva loro consegnata una patente da parte dalla Congregazione, raggiungevano la sede loro assegnata, pubblicavano in genere un editto di fede e iniziavano l’attività.
Nei primi quarant’anni di funzionamento del Sant’Uffizio romano gli inquisitori non godettero generalmente di effettiva autonomia giuridica, dato che nei casi finora studiati in modo sistematico i vescovi o i loro vicari influenzarono più di quanto avrebbero fatto dopo l’opera del tribunale. Sul piano economico e logistico, gli inquisitori all’inizio dipendevano dal convento che li ospitava e dagli ordinari, che fornivano i luoghi dove celebrare i processi, i cancellieri per redigere gli atti processuali, come pure i messi giurati e la polizia per  eseguire le citazioni, le perquisizioni e gli arresti. Ugualmente di proprietà vescovile o conventuale furono nei primi tempi le carceri, che cominciarono poi a essere costruite dagli inquisitori con i propri fondi.




Per tutta l’età moderna non mancarono i conflitti con le sedi conventuali, perché gli inquisitori (che a volte erano anche priori) suscitavano la gelosia degli altri frati del chiostro, occupavano locali spesso spaziosi e godevano di ampie eccezioni al rispetto della regola. Altri conflitti con i poteri civili vennero innescati dalla presenza di familiari e patentati. Solo con i papati di Pio V (1566-1572) e del successore Gregorio XIII (1572-1585) gli inquisitori iniziarono a godere di entrate proprie che, negli anni, portarono anche a una parità effettiva fra i due giudici di fede (ordinario e delegato) nell’attività giudiziaria. Pio V infatti dotò di una pensione perpetua almeno le sedi di Alessandria, Bergamo, Bologna, Brescia, Ceneda, Cremona, Faenza, Genova, Mantova, Milano, Novara, Parma, Pavia, Pisa, Vercelli, Verona. Gregorio XIII garantì delle entrate fisse derivanti da pensioni agli uffici di Belluno, Capodistria, Faenza, Padova e Rimini, mentre concesse dei benefici alle sedi di Alessandria, Asti, Bergamo, Firenze, Novara, Udine e Vicenza. Negli anni successivi il papato continuò ad assegnare sia pensioni sia benefici.
Alla fine del Cinquecento gli inquisitori locali erano finanziariamente autonomi, ma il tribunale continuò a essere composto e gestito da due giudici, l’inquisitore e l’ordinario, che decidevano assieme quali denunce dovevano trasformarsi in processi informativi, quali processi informativi in processi formali, decretavano il modo di condurre le cause, l’eventuale comminazione della tortura e stabilivano la sentenza con le relative pene.




Nei primi decenni di funzionamento del Sacro Tribunale gli inquisitori furono molto probabilmente mobili sul territorio della loro giurisdizione. Solo nel corso del primo Seicento pare che essi assumessero le funzioni prevalenti che il diritto assegnava loro nella repressione dell’eresia rispetto all’autorità dei vescovi, cominciarono a nominare dei propri vicari foranei nei paesi più importanti e a risiedere più stabilmente nella città principale del territorio loro assegnato.
Gli inquisitori non avevano obblighi procedurali se non quelli dovuti alla prassi e alle disposizioni inviate per lettera dalla Congregazione nei casi particolari: non esisteva infatti nessuna istruzione organica e neppure un manuale ufficialmente avallato, ma solo dei testi giuridici più o meno autorevoli e delle raccolte di ordini impartiti dalla Congregazione in seguito a richieste dei singoli inquisitori. Sui poteri, compiti e privilegi dell’inquisitore e sulle sue relazioni con il vescovo, i commissari del Sant’Uffizio, i superiori dell’Ordine, le autorità secolari, i propri vicari, consultori, notai ecc., danno indicazioni quasi tutti i manuali, come ad esempio quello di Cesare Carena nel Titulus quintus. ‘De apostolicis inquisitoribus’, dove in 112 paragrafi viene trattata sia l’Inquisizione romana sia quella spagnola.
Come risulta da studi fatti sulla documentazione archivistica, nella conduzione del processo formale i giudici della fede seguivano diversi modelli di interrogatorio: uno molto ridotto per i testimoni, normalmente uno semplice per gli imputati, inteso a verificare gli indizi già emersi, più raramente uno complesso e approfondito per gli imputati, con la proposta di nuovi argomenti. Nelle procedure sommarie, pare molto utilizzate nel Sei e Settecento, in teoria non ci dovrebbero essere state domande, se non per facilitare la confessione volontaria dell’imputato e fargli rivelare i complici.




Gli inquisitori locali comunicavano alla Congregazione, attraverso le lettere, i casi più rilevanti o difficili, e ricevevano da parte del cardinale segretario indicazioni e ordini stabiliti dai cardinali inquisitori e talvolta dal papa nelle sedute del mercoledì e del giovedì. Quanto funzionasse la centralizzazione dei controlli è un problema ancora discusso e in fase di revisione, perché in realtà ci sono ancora pochi studi sistematici condotti contemporaneamente sui processi e sulle lettere.
Gli inquisitori inoltre erano soggetti al controllo da parte della Congregazione non solo sul piano procedurale, ma anche su quello finanziario: dovevano infatti inviare ogni anno una relazione dello stato economico del loro ufficio, con tanto di inventario, comprendente i costi e i ricavi relativi all’anno solare precedente. Ci furono comunque degli sforzi da parte della Congregazione per omogeneizzare i comportamenti degli uffici periferici, in cui talvolta i giudici si macchiarono di abusi procedurali o di corruzione: nel 1578 per esempio fu inviata una importante lettera circolare, Ordini generali quali si devono osservare inviolabilmente da tutti l’inquisitori, ufficiali fiscali et notari nelle cause del Sant’Ufficio sotto pena della privatione degl’uffici et d’altre pene ad arbitrio dell’illustrissimi e reverendissimi signori cardinali generali inquisitori, in cui furono uniformate le spese processuali a carico del Sant’Uffizio periferico e quelle a carico degli imputati.




Nel 1611 fu inviata un’altra circolare contenente gli Ordini da osservarsi dagli inquisitori: si trattava di disposizioni concernenti i comportamenti che i giudici dovevano assumere nel periodo in cui ricoprivano l’incarico. L’ufficio non aveva una scadenza prefissata e gli inquisitori più meritevoli agli occhi di Roma potevano essere promossi in sedi più prestigiose, a capo di una diocesi, in incarichi di Curia, nella rete delle nunziature, nella stessa Congregazione.
Carriere particolarmente brillanti ebbero gli inquisitori di Malta. Vi furono anche figure di giudici della fede che ascesero fino al papato: il primo fu Marcello Cervini (Marcello II, 1555), ma i più famosi furono Gian Pietro Carafa (Paolo IV, 1555-1559), Michele Ghislieri (Pio V, 1566-1572) e Felice Peretti (Sisto V, 1585-1590).
In seguito una notevole parte dei papi provennero dalle file dell’Inquisizione o dell’Indice fino alla metà del Settecento, e in alcuni casi anche oltre: Urbano VII Castagna (1590), Innocenzo IX Facchinetti (1591), Paolo V Borghese (1605-1621), Innocenzo X Pamphili (1644-1655), Alessandro VII Chigi (1655-1667), Clemente X Altieri (1670-1676), Alessandro VIII Ottoboni (1689-1691), Innocenzo XII Pignatelli (1691- 1700), Clemente XI Albani (1700-1721), Clemente XII Corsini (1730-1740), Clemente XIV Ganganelli (1769-1774), Pio VIII Castiglioni (1829-1830), Gregorio XVI Cappellari (1831-1846), Benedetto XVI Ratzinger, in precedenza prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (2005-vivente nel 2010).
Con l’abolizione delle tre Inquisizioni moderne alla fine del Settecento e nei primi decenni dell’Ottocento gli inquisitori locali scomparvero, eccetto che nello Stato pontificio, dove furono nominati fino al 1880 anche dopo il passaggio al Regno d’Italia. L’attività di controllo del dissenso religioso non fu generalmente ripresa dai vescovi, ma venne svolta per tutto il mondo cattolico dalla Congregazione del Sant’Uffizio, che assunse ufficialmente questo nome nel 1908 e venne riformata nel 1911. Alla fine del Concilio ecumenico Vaticano II, con il ‘motu proprio Integrae servandae’ di Paolo VI del 7 dicembre 1965, è stata trasformata nella Congregazione per la Dottrina della Fede, con propri scopi, procedure e strutture. La Congregazione comprende tre sezioni: dottrinale, disciplinare e matrimoniale, è diretta dal prefetto, coadiuvato dal segretario, dal sottosegretario e dal promotore di giustizia ed è attualmente costituita da 23 cardinali, arcivescovi e vescovi di 14 nazionalità, assistita da 33 consultori e fatta funzionare da 37 vari ufficiali stabili (nel 2009).

















Nessun commento:

Posta un commento