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Due Eretici (3/1)
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Metti un'Eresia a cena (5)
Io: Ecco il mistero di questa immonda eresia:
tu cerchi il calore della vita all’albero della tua ultima venuta, io vago nel
freddo senza Tempo dell’opera taciuta e la vista coglie lo spirito
(prigioniero) della vita in ogni opera che tu pensi compiuta… perché scritto
nella materia della tua visibile (e Seconda) natura…
Rimase immobile nel ricordo racchiuso nel sogno
della linfa specchio di una foglia, lui che fu privato ed ingannato della vita
ora con una corda è trascinato lungo la via, lui che non voleva morire e donava
solo memoria, ora su un fuoco dovrà
patire il rogo per tutte le vite di troppe eresie all’ombra di uno stretto
cortile che conta l’ora della fine. Lui che indicò il pensiero ad ogni illustre
o stolto forestiero, lui che indicò la via quando il caldo soffocava l’ora e il
sudore di un ricordo antico scendeva goccia a goccia da un viso d’improvviso
impietrito, come una paura raccolta da una fuga agitata, un frutto, ricordo di
un sogno interrotto: stanchezza che sa’ di paura taciuta poi una sete agitata, un attimo di salvezza ed
il pensiero torna vivo nell’invisibile frescura di un ombra scura…: il viandante
risorge alla sua nuova natura… Solo un incubo raccolto da una fatica dura,
Prima anima racchiusa nello specchio di un lenta tortura prigioniera di una
Seconda natura…
Lui che parlava come una rima racchiusa all’ombra
della sua poesia, ora tagliano e deturpano ogni suo frammento, immobile ed
eterno nell’apparenza di un tronco di legno non ancora sepolto al fuoco
dell’architettura nominata vita, lui come un fante in questa guerra ora è
trascinato via… a miglior vita…
Lui: Ecco, ci siamo; gli omuncoli ai suoi piedi
sfuggono dal luogo del loro delitto; colpevoli hanno lasciato cadere l’ascia e
la sega. La caduta è lenta, come se l’Albero fosse appena mosso dalla brezza
estiva e ritornasse senza un sospiro alla sua celeste dimora.
Io: Mi ricordo di loro in questo momento senza
Tempo, in questo grande albergo, ma sono solo uno Straniero come una foglia al
vento di un lungo inverno coperto di neve, chi mi vede ha la strana visione o
forse solo illusione, ma per taluni è assoluta certezza, di un pazzo vicino ad
un bosco, immobile come una preghiera del Tempo privato della parola.
Immobile e coperto di neve in questo specchio
di Tempo riflesso nell’ora nominata Autunno, calendario di una antica litania
che vorrebbe essere vita, certezza costretta
ed ancorata ad un lento patimento all’urlo ingordo di una bufera che spazza e
cancella ogni cosa perché così è la storia, lasciando solo cenere al vento
perché lo scheletro anche privato di ogni foglia è troppo bello esposto a quel
tormento, ed ugual viandante al fresco di un primaverile ricordo rimembra il
sogno al suo cospetto divenire silenzioso rispetto.
Mira la stessa via ed il pensiero muta in
preghiera fors’anche invisibile eresia: un poeta ad ugual vista divenne
profeta, un viandante mutò la sua seconda natura, un boia seppellì la sua
corda, un soldato depose la sua spada e contemplò di nuovo la vita, un
prigioniero mi narrò l’intera sua via quando il ramo spezzò la cima della corda
che lo teneva stretto alla soffocata vita, una donna cercò l’amore scoprendo la
foglia della sua ugual natura, un bambino trovò il seme dell’intera sua
esistenza divenne nuovo profeta, un affamato mi accarezzò un ramo e io appagai
la fame della sua venuta, un prete bigotto, invece, lo spezzò per farne un
bastone, poi accese un fuoco con decisione: dalla fiamma di quel ricordo
divenne cacciatore e ad una strega fanciulla senza più onore rubò la segreta
natura mentre quella gridava nella violenza taciuta del suo dolore… foglia
caduta…
Anch’io feci la stessa sua fine e lo scheletro
della prematura sepoltura non allieta neppure la vista dell’ingorda natura,
strada nuda che all’ombra del mio ricordo ora non matura più il sogno, ed il
volgo muta la sua Prima Natura racchiusa nella visibile materia che trasuda
invisibile onda: un traliccio color acciaio dove un mare agita e smuove ogni
ricordo… nella falsa certezza nominata parola… rima di un falso progresso in
nome del mio patimento, morire a stento foglia bruciata all’onda del vento…
Lui: Adesso sfiora la collina nella sua caduta e
giace sul suo letto nella vallata, da cui non dovrà mai più rialzarsi, soffice
come una piuma, avvolgendosi nel suo verde mantello come un guerriero che,
stanco di stare eretto, volesse abbracciare la Terra in gioia silenziosa,
restituendo la sua materia alla polvere.
Io: Ora l’Inverno della prematura fine della
Natura si avvia al convento della Storia, sempre la stessa, certo più brutta e
volgare della semplice e povera foglia, ma grazie a quella ogni pensiero compie
la sua lenta evoluzione e all’ombra del fumo della falsa dottrina ogni morte si
avvicina. Un frammento di neve mi sussurra nella pagina della sua nuova venuta
una strofa una rima, simmetria della vita, mi narra la strana avventura entro
la carne nominata vita perché con il dono della parola fu destinata ad una
lenta tortura.
Mi narra di quando cadde nel corpo della morta
materia, lei che solo linfa era, poi ebbe ogni sorta di tortura, quando solo la
vita celebrava…
Quando solo bellezza concedeva ad ogni nostra
muta preghiera…
Quando solo la vita prometteva ad ogni respiro
della nostra immutata èra…
Ebbe ad espiare colpe mai commesse, ebbe a
soddisfare passioni e desideri sfrenati e nascosti, lei che vegliava la vita
all’ombra di un desiderio appena scorto vicino alla radice dove un uomo azzanna
la bellezza come fosse un desiderio represso e mai concesso al falso progresso…
Lei che vegliava quelle misere ore all’ombra di
non visti strani accadimenti.
Ricorda un uomo godere dei suoi frutti e
divorarli come pensieri strani e arguti di una guerra infinito principio di
vita.
Ricorda quell’uomo godere del sapore freschezza
e linfa di stagione, del suo principio come fosse un frutto proibito di uno
strano giardino.
Ricorda di averlo visto azzannare e masticare
con i denti non riuscendo a distinguere il profumo, perché è solo un istinto
astuto caduto in un moderno mito incompiuto.
Ricorda il suo istinto evoluto non percepire
odore né sapore, non scorgere colore…, pur parlando della vita del nostro ugual
Creatore…
Ricorda di averlo udito mentre mastica ugual
Genesi e Principio dal palato così mal concepito, il suo è solo istinto
immaturo mentre ruba il mio frutto maturo…
Ricorda spogliare i rami di ogni frutto senza
rendere di quanto ricevuto, forse perché si pensa astuto, forse perché non ode
la voce del vento mentre risentito per l’accaduto abbatte il suo ordine
incompiuto: ha scomposto la regola della vita e gode del frutto mai seminato
nel giardino dell’eterno peccato all’ombra della foglia… sogno per sempre
perduto…
Forse perché un albero muto può anche essere
abbattuto… dopo averne impropriamente goduto ogni suo frutto maturo.
Forse perché alla sua ombra ogni dottrina può
essere consumata a chi pensa la vita riflessa nella Natura cieca muta e senza
il dono della parola.
Forse perché quello è solo un albero del suo
Dio e lui può disporre di ogni suo frutto pensando il Creato opera del suo
palato…
... Ma ora la neve avvolge e torno al freddo
del Primo Dio quando ero solo spirito e pensiero di un incompreso ed infinito
evento fuori dal loro Tempo. Ora il freddo porta il sommo colore della passione
dopo un’intera stagione dedicata alla vita, la linfa lenta scorre dalle vene e
un urlo soffocato di dolore misto a piacere regala bellezza a chi non vede la
segreta via racchiusa nell’incompiuta materia governata da un Secondo muto alla
vista, nello spirito Ora di nuovo nel suo Universo taciuto…
Torno a remare nella fredda simmetria di un
Primo Pensiero compiuto e racchiuso nell’inverno di una morte apparente donde
la vita per il vero proviene….
Quando nella nuova simmetria della neve
qualcuno riconoscerà il mio profilo taciuto, vita di un disegno compiuto,
qualcuno proverà diletto incompreso al caldo di un pensiero goduto al fuoco del
mio Frammento donato e bruciato nel Tempo di questo misero Creato.
Proverà piacere e diletto nel freddo e morto
vento, proverà piacere a scivolare ed accarezzare la neve, se pur fredda da lei
nascerà la Primavera, se pur apparente nemica della vita, da lei sgorgherà la
linfa… della vita…, ed in quella misera e solitaria bufera troverà un Primo
Pensiero taciuto e bruciato al rogo di un Dio incompiuto…: scorgerà il mio
profilo, il volto della vita ornare ed accompagnare il passo chi di nuovo
fuggito dal calore di una apparente materia che orna ogni falsa ricchezza….
Io spoglio e caduto sogno il mio Dio taciuto…
Ora che la neve mi avvolge guardo allo specchio
lontano nella sala illuminata dai colori
di ogni mio principio, scorgo la parola celebrata al tepore di un fuoco che
scalda l’illusione di un falso ricordo, perché nel Tempo la verità hanno
ingannato e poi sacrificato al rogo del loro… Creato… specchio di ogni elemento
incarnato…
… Nel silenzio del desiderio compiuto di un Dio
per sempre taciuto…
...Lui: Ma
fin qui avete solo visto e non udito. Ecco che sorge dalle rocce un fragore
assordante: vi avverte che nemmeno gli Alberi muoiono senza un lamento. Ed ora
tutto è di nuovo e per sempre calmo; fermo all’occhio e all’orecchio. Scesi e
misurai!
(Thoreau
incontra uno Straniero…)
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