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Rosso o nero medesimo il 'Quadro' dal politico ispirato (11/2)
Come il
periodo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Duemiladieci, anche quello
dalla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento all’inizio dei Dieci del Novecento
fu un’era di globalizzazione. La saggezza convenzionale di entrambe le fasi riteneva
che la crescita stimolata dalle esportazioni avrebbe prodotto una politica
illuminata e posto fine al fanatismo. Questo ottimismo si sgretolò durante la
Prima guerra mondiale e durante le successive rivoluzioni e controrivoluzioni.
Il’in fu un primo esempio di questa tendenza. Giovane sostenitore del principio
di legalità, si spostò verso l’estrema destra pur ammirando le tattiche che
aveva osservato nell’estrema sinistra.
L’ex sinistroide
Benito Mussolini guidò i fascisti nella marcia su Roma poco dopo che Il’in era
stato espulso dalla Russia; il filosofo scorse nel duce una speranza per il
mondo corrotto. Il’in considerava il fascismo la politica del mondo a venire. Durante
l’esilio, negli anni Venti, temeva che gli italiani arrivassero al fascismo
prima dei russi. Si consolò con l’idea che i Bianchi fossero stati la fonte
d’ispirazione per il colpo di stato mussoliniano: ‘Il movimento bianco è, come
tale, più profondo e più ampio del fascismo [italiano]’.
La
profondità e l’ampiezza, spiega Il’in, vengono dall’adozione del genere di
cristianesimo che impone il sacrificio del sangue dei nemici di Dio. Credendo,
negli anni Venti, che i Bianchi potessero ancora conquistare il potere, si
rivolse loro chiamandoli ‘Miei fratelli bianchi, fascisti’.
Il’in
restò altrettanto colpito da Adolf Hitler.
Pur
visitando l’Italia e passando le vacanze in Svizzera, tra il 1922 e il 1938
visse a Berlino, dove lavorò per un istituto culturale finanziato dal governo.
Sua madre era tedesca ed egli si sottopose alla psicoanalisi con Freud in tedesco,
studiò la filosofia tedesca e scrisse in tedesco con la stessa padronanza e
frequenza con cui scrisse in russo. Durante il lavoro revisionava e scriveva
studi critici sulla politica sovietica (Un mondo sull’orlo dell’abisso in
tedesco e Il veleno del bolscevismo in russo, per esempio, solo nel 1931).
Considerava Hitler un difensore della civiltà contro il bolscevismo: il Führer,
scrive, ‘ha reso un enorme servigio a tutta l’Europa’ impedendo ulteriori rivoluzioni
sul modello russo. Osserva soddisfatto che l’antisemitismo hitleriano deriva dall’ideologia
dei Bianchi russi. Lamenta che ‘l’Europa non comprende il movimento nazionalsocialista’.
Il nazismo, continua, è soprattutto uno ‘spirito’ cui i russi devono prendere
parte.
Nel 1938
Il’in lasciò la Germania per la Svizzera, dove visse fino alla morte, nel 1954.
Lì ricevette un aiuto economico dalla moglie di un uomo d’affari
tedesco-americano e guadagnò anche qualche soldo tenendo conferenze pubbliche
in tedesco. L’essenza di questi interventi, afferma uno studioso svizzero, è
che la Russia dovrebbe essere intesa non come minaccia comunista presente,
bensì come salvezza cristiana futura.
Secondo Il’in,
il comunismo fu inflitto alla povera Russia dall’Occidente in declino. Un
giorno la Russia libererà se stessa e gli altri con l’aiuto del fascismo
cristiano.
Un
critico svizzero definì i suoi libri ‘nazionali nel senso che si oppongono all’intero
Occidente’.
Le idee
politiche di Il’in non cambiarono quando scoppiò la Seconda guerra mondiale. I
suoi contatti in Svizzera erano uomini dell’estrema destra: Rudolf Grob credeva
che la Svizzera avrebbe dovuto imitare la Germania nazista; Theophil Spoerri
apparteneva a un gruppo che mise al bando ebrei e massoni; Albert Riedweg era
un avvocato di destra il cui fratello Franz fu il più illustre cittadino svizzero
nella macchina di sterminio nazista. Franz Riedweg sposò la figlia del ministro
tedesco della Guerra ed entrò nelle SS. Partecipò alle invasioni della Polonia,
della Francia e dell’Unione Sovietica, l’ultima delle quali fu, secondo Il’in, un
esperimento bolscevico durante il quale i nazisti avrebbero potuto liberare i
russi.
Quando,
nel 1945, l’URSS vinse la guerra ed estese il suo impero verso ovest, il
filosofo cominciò a scrivere per le future generazioni di russi. Paragonò la
propria produzione al gesto di accendere una piccola lanterna in una fitta
oscurità. Con quella fiammella, i leader russi degli anni Duemiladieci hanno
provocato una conflagrazione.
Il’in fu
coerente.
La sua
prima grande opera filosofica, scritta in russo (1916), fu anche l’ultima,
nella traduzione tedesca rivista (1946).14 L’unico bene nell’universo, sostiene,
è stata la totalità di Dio prima della creazione. Quando Dio creò il mondo,
mandò in frantumi l’unica e totale verità, ossia Se stesso. Il’in divide il
mondo nel ‘categorico’, la dimensione perduta di quel singolo concetto
perfetto, e nello ‘storico’, la vita umana con i suoi fatti e le sue passioni.
Per lui, la tragedia dell’esistenza è che i fatti non si possono riassemblare
nella totalità di Dio né le passioni nel Suo scopo.
Il
pensatore romeno Emil M. Cioran, a sua volta un propugnatore del fascismo
cristiano, spiega questo concetto: prima della storia, Dio è perfetto ed
eterno; una volta che dà inizio alla storia, sembra ‘frenetico, incline a
commettere un errore dopo l’altro’.
Come dice
Il’in: ‘Quando Dio sprofondò nell’esistenza empirica, fu privato della sua
unità armoniosa, della ragione logica e dello scopo organizzativo’. Per lui, il
mondo umano dei fatti e delle passioni è assurdo. Egli trova immorale che un
fatto possa essere compreso nel suo contesto storico: ‘Il mondo dell’esistenza
empirica non si può giustificare teologicamente’. Le passioni sono malvage.
Durante la creazione, Dio commise l’errore di dare libero sfogo alla ‘perfida
natura del sensuale’. Cedette a un impulso ‘romantico’ creando esseri, cioè noi,
spinti dal sesso. Così ‘il contenuto romantico del mondo supera la forma
razionale del pensiero, e il pensiero cede il posto allo scopo irrazionale’,
l’amore fisico. Dio ci abbandonò nel ‘relativismo spirituale e morale’. Condannando
Dio, Il’in responsabilizza la filosofia, o almeno un filosofo: se stesso. Conserva
la visione di una ‘totalità’ divina che esisteva prima della creazione del mondo,
ma si considera l’unico capace di rivelare come si possa riconquistarla. Avendo
tolto di mezzo Dio, può dare giudizi su ciò che è e su ciò che dovrebbe essere.
C’è un mondo divino che in qualche modo deve essere redento, e questo compito sacro
ricadrà sugli uomini che, grazie a lui e ai suoi libri, conoscono la propria
situazione.
È una
visione totalitaria.
Chi aspira
a una condizione in cui pensiamo e sentiamo come una cosa sola, cioè non
pensiamo e non sentiamo affatto?
Dobbiamo smettere
di esistere come singoli esseri umani. ‘Il male’ scrive Il’in ‘inizia dove
inizia la persona’. La nostra individualità dimostra soltanto che il mondo è
difettoso: ‘La frammentazione empirica dell’esistenza umana è una condizione
sbagliata, transitoria e metafisicamente falsa del mondo’.
Il’in
disprezza le classi medie, la cui società civile e la cui vita privata alimentano,
a suo parere, la frammentazione del mondo e tengono lontano Dio. Appartenere a uno
strato della società che offre agli individui il progresso sociale significa
essere il peggior tipo di essere umano: ‘Questa condizione è il livello più
basso di esistenza sociale’. Come ogni forma di immoralità, la politica
dell’eternità inizia facendo un’eccezione per se stessa. Tutto il resto del
creato sarà anche malvagio, ma io e il mio gruppo siamo buoni, perché io sono
me stesso e il mio gruppo è mio. Altri saranno anche confusi e affascinati dai
fatti e dalle passioni della storia, ma io e la mia nazione abbiamo conservato un’innocenza
preistorica. Siccome l’unico bene è questa qualità invisibile che dimora dentro
di noi, l’unica linea politica è quella che salvaguarda la nostra innocenza, a prescindere
dai costi. Coloro che sposano la politica dell’eternità non si aspettano di
avere una vita più lunga, più felice o più proficua. Accettano la sofferenza
come segno di rettitudine, se pensano che gli altri colpevoli soffrano di più.
La vita è rozza, breve e disgustosa; il piacere dell’esistenza è la possibilità
di renderla più rozza, più breve e più disgustosa per gli altri.
Il’in fa
un’eccezione per la Russia e per i russi.
L’innocenza
russa, dice, non è osservabile nel mondo. Questo è l’atto di fede che egli chiede
al suo popolo: la salvezza impone di vedere la Russia come non è. Poiché i
fatti del mondo sono soltanto i detriti corrotti della creazione fallita di
Dio, vedere davvero significa contemplare l’invisibile.
Corneliu
Codreanu, il fondatore di un analogo fascismo romeno, vide l’arcangelo Michele
in carcere e riassunse la visione in poche righe.
Benché
Il’in esponga l’idea della contemplazione in diversi libri, in realtà essa non
è altro che questo: il filosofo vede la propria nazione come virtuosa, e la purezza
di questa visione è più importante di qualunque cosa i russi abbiano
effettivamente fatto. La nazione, ‘pura e oggettiva’, è ciò che il filosofo
vide quando preferì chiudere gli occhi. L’innocenza assume una forma biologica
specifica. Ciò che Il’in vede è un corpo russo vergine. Come i fascisti e altri
despoti dell’epoca, il filosofo pensava che la sua nazione fosse una creatura, ‘un
organismo della natura e dell’anima’, un animale dell’Eden senza peccato
originale. A decidere chi debba far parte dell’organismo russo non è
l’individuo, perché le cellule non scelgono se far parte di un corpo.
La
cultura russa, scrive Il’in, produce automaticamente l’ ‘unione fraterna’
ovunque si estenda il potere russo.
(T.
Snyder, La paura & la Ragione)
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