Precedenti capitoli composti da...:
Buone maniere (pre e post) natalizie con delizie del G.C.C.
& l'immancabile girandola dei pazzi (2)
Questa mia (breve introduzione)
dedicata a tutti quei bravi onesti truffatori, linfa spirito ed anima di
codesta sofferta terra, primo articolo ‘spacciato’ per democratico lavoro
privato di qualsivoglia onestà e decoro:
allerto la ‘difesa’ che l’offesa supera
alla lunga la maschera con cui cinta la divisa!
La Verità carbone con cui allietare l’evento
dell’anno mai arrivato o solo pensato…
Colgo l’occasione di porgere l’ardente
fuoco a tutti coloro che calunniano il prossimo giacché traggono giusta pecunia
nel mondo roverso così cantato - e non solo dall’Eretico - offrendo la brace
alla Verità dispensata rimata e per sempre devotamente perseguitata:
…divenuta devota pecunia degli onesti
guadagni, oltre che segreto godimento finché dritta e mai roversa la cupola del
dio pregato per ogni Cristo divenuto peccato all’altare immolato…
Mi scusino i miei cari concittadini
apostrofati se mi astengo dal ballo in maschera per ogni festa così mal celebrata…
…Preferisco diversa preghiera e
bestia alla disgraziata materia così distintamente divorata…
…Alleata alla lumaca storica nemica
del lombardo qui ferito, proteso e dismesso, ugual terra del Napoleone esiliato e vigilato dall’alto
pellegrinare nello spazio profondo nel mondo così avariato, lui che pur tutto
intero lo vuol consumare e sacrificare…
…Rimembriamo la lumaca se ancor non
consumata, sugo e sangue di codesta trista novella, sua acerrima nemica se pur
attaccata risalir ancor più viva che morta i bordi della scodella avversare la
polenta nell’aspra contesa ben maneggiata:
…povera umile sofferta tapina riparo
d’un disperato approdato elmo calcato al roverso di come forgiato nell’immancabile
maschera e divisa del futuro nazional padano consumato obeso esiliato
all’altrui terra natia, interpretarne principio primo dal carrocciato avariato
mezzo…
Maneggiar lenta la giostra giostrata
altrimenti attacca la brocca dell’elmo del fu’ Scipio sconfitto e trapassato
alla Scala dell’ultima disperata contesa tradotta anche in caratteriale
cirillico amico con lardo aggiunto!
Il sugo all’elmo conteso prende
vigore nonché colore, al comizio di Cesare vien preferito Cinque nobil
cavaliere con le sue eterne padelle non ancor novelle…
…La lumaca ad intervalli aggrappata
all’elmo nomina l’unno al luppolo assiso, aggiungere il wurstell della val
pusteria là ove l’esercito meditò la Grande Prima!
E giammai fu detta sconfitta!
Il Secondo vien banchettato a legna
finita quando al gas (dedotto) sarà servito l’arrosto!
Al roverso di sì vasta estesa
geografia fin dentro la padella che gira, lui grande sovrano usurpato del trono
cantare sacrificio a Giove mentre vaga nello spazio d’un sugo ben più profondo…
…Ed Al - il romano - ultimo modello
della diletta Compagnia - vien varato dall’intera fregata dispensata dall’oracolo
con civile dotta ignoranza mascherata da saggezza.
…L’ultima detta corre ed inciampa
spensierata, lei la vera e sola esiliata, depredata di Tomo e Spirito,
rivenduta al litro, o meglio, che dico, alla damigianetta dalla invisibile
cantina, là oggi come ieri - al roverso del Tempo conquistato - si forgia sana
duratura ignoranza e non solo in nome della tradotta panza rivenduta ubriaca
per la girandola per conto della materia pregata.
Lo manico (della panza detta), vien
trastullato e/o sconquassato (dipende molto dai punti dell’alto dell’inusuale
Vista della innominata Compagnia) ad intervalli di misurato Tempo, ed ove ognun
misura distanza fra il recto e il dritto della detta innominata bottega (sempre
aperta).
…La Compagnia vien per ogni via:
illumina la terra quanto il cielo del suo piacere divenuto universal diletto,
le lucciole lo trattengono alla nobil bocca per decantar tanta civile bontà
evaporata e schizzata per ogni via non ancor Galleria crollata.
…Come il lampo correre e divenir
saetta l’impotenza precoce evaporata sulla terra così cantata nella secolare proverbiale viril potenza maneggiata…
Taluni astrologi legiferano et
annunziano in dovuto mistero non ancor ministero che:
né piove, né urla bufera, solo mesto
spirito inalato bevuto non men che - negli intervalli dei capaci interventi -,
fumato…
…L’oste ne va fiero non men dello
scudiero, la scuola sua gode di ‘profonda’ celebrata unanime cultura, dalla
gola fino al ventre ballato e saltato in padella:
Viscere connesse e sacrificate:
…Unanime futuro desiderio d’ognun
immolato rendere pubblico quanto di privato in cotal letame digitalizzato:
…Frammentato sospiro dal canone
retribuito, ove ogni disturbato può – oltre che al meglio disturbare, misurare
anche l’altrui grado di roversata retta pazzia, in intervalli di tempo
prepagato:
…Quando le viscere esprimere al
meglio ugual tempo condiviso: destino
e piacere in ciò cui digerito con medesimo ‘analitico’ appetito:
…Godimento travasato fra il trascorso
ano direttamente alla bocca, in roversa confusione ove il rito consumato per il
bene della pecunia e lo spirito può esser così boccaccescamente trattenuto e deglutito fondare sapore e seme della terra…
…E come fu detto in Principio ben
maneggiato così come il lombardo e l’amata diletta sua lumaca…
…DEDICATO
ALL’ILLUSTRISSIMO INNOMINATO MIO DOTTO SIGNORE LUCE D’UN MONDO MIGLIORE BEN
MANEGGIATO NONCHE’ CURATO DALLA GIRANDOLA FINO AL PICO (DELLA MIRANDOLA) ULTIMO
GENE DELL’INUMANA GENTE TRADOTTA E DALLA BESTIA DEDOTTO E ALL’HUMANO APPRODATO
ED A VOI FINALMENTE DONATO…
Ogn'un mi
dice, tu sei sì barbuto,
Pallido in
faccia, magro e scolorito,
E sempre
vai d'un abito vestito,
Pensoso,
solo, sconsolato e muto.
Un Eraclito
ormai sei divenuto,
Nel duolo
immerso; or chi ti tien supito
In tal
miseria? Ché pur sei gradito
In ogni
parte ove sei conosciuto?
Io rispondo
a ciascun che la stagione
Empia dove
noi siamo a ciò mi tira,
E mi dà di
doler ampia cagione,
Però se 'l
miser cor s'ange e sospira,
Vien che
corrotte son l'usanze buone,
E ognun a
l'util suo risguarda e mira
E
ciascheduno aspira
Al
guadagno, per dritta o torta strada,
E sol'
attende a quel che più gli aggrada,
E più
nissun non bada
Alla virtù,
ma ognun gli fa contrasto,
Ché tutto
il mondo è rovinato e guasto.
L'asin
cavalca il basto,
Il rio
villan nella città si serra,
E 'l pover
cittadin zappa la terra,
La Pace dalla
Guerra
E' stata
uccisa, e dalla Crudeltade,
L'Amicizia,
l'Amor e la Pietade;
E dalla
Falsitade
La Fedeltà
vien morta, e dall'Inganno
E
l'Allegrezza estinta dall'Affanno,
L'Insolenza
fa danno
Alla
Modestia, e la Discortesia
Scaccia la
Civiltà per ogni via.
E dalla
Villania
La
Gentilezza è offesa e la Creanza
E la Virtù
sta sotto l'Ignoranza.
La perfida
Arroganza
Conculca
l'Umiltade, e l'Avarizia
Accieca e
cava gli occhi a la Giustizia,
La Fraude e
la Malizia
Spent'hanno
la Bontà, l'Odio e lo Sdegno
Alla
Benignitade han tolto il regno.
E con ira e
disdegno
Vien morto
e lacerato il Beneficio
Dall'empia
Ingratitudine e dal Vizio,
Giace
estinto il Giudizio,
Dall'Importunitade
e dal Furore,
E la
Vergogna supera l'Onore,
Dalla Viltà
il Valore
Vien' oscurato
e l'Obbedienza fugge,
Perché il
Poco Timor le scaccia e strugge.
La
Riverenza rugge
Vedendosi
insidiata dal Dispregio,
E l'Infamia
alla Gloria usurpa il pregio.
E 'l suo
onorato fregio
Perso ha la
Pudicitia onesta e pia,
Che spenta
vien dalla Ruffianeria,
Morta dalla
Bugia
Giace la
Verità tutta straziata,
E
dall'Adulation pesta e calcata.
La Gioventù
sfrenata
L'Onestà
sprezza, e segue l'Adulterio,
La Carne,
il Senso, il Mondo e 'l Vituperio.
Il Biasmo e
l'Improperio
Supera la
Patzenza e la confonde,
E la Ragion
dal Torto si nasconde,
E più per
queste sponde
La
Liberalità non fa dimora,
Perché
l'empia Ingordigia la divora;
La pigrizia
s'onora;
La Gola, il
Sonno e l'oziose Piume
Hanno
bandito ogni gentil costume.
Il Senno il
suo bel lume
Ha perso, e
la Prudenza può più poco,
Ché la
Pazzia gli ha tolto il primo loco.
La Vanitade
e 'l Gioco
L'Inerzia
vile, e la Mormorazione
Spent'hanno
affatto la Compassione,
E la
Discrezione
Più non si
trova in alcun luogo al mondo,
Perché la
Crudeltà l'ha posta al fondo.
A tal, che
'l Mondo immondo
È tutto
guasto, rotto e fracassato,
Per esser
malamente governato.
Voltatevi
in che lato
Volete, per
la dritta o la traversa,
Ogni cosa
si regge alla roversa.
La buona
usanza è persa,
Com'ho già
detto, e vedo il servitore
Voler'
esser da più del suo signore,
La serva fa
romore
Con la
madonna, e spesso sta assettata,
Mentre
ch'essa patrona fa bucata;
E ognor fra
la brigata
S'ode quel
che sa peggio ragionare
Non voler
mai finir di cicalare,
E 'l zoppo
camminare
Vuol più
del dritto, e se gli mostra acerbo,
E più del
ricco il povero è superbo.
Ancor non
mi riserbo
Di dir
ch'assai più brava uno stroppiato
Che non fa
un valoroso e buon soldato,
E molto più
trincato
È un
fanciul di quattr'anni, e assai più astuto
Che non è
un uom d'età vecchio e canuto.
E par vi
sia un statuto,
Che tutti
quanti quei c'han bel tacere,
D'infamar
sempre altrui han gran piacere.
Ancor certe
mogliere
Vi son, di
s'insatiabile appetito
Ch'esser
voglion da più del lor marito,
E s'ei non
è assentito,
E che a la
prima si lasci squadrare,
Voglion
portar le brache e governare;
E gli fanno
lavare
Fin' a i
piatti, i catini e le scodelle,
E fregar le
caldaie e le padelle,
E ancor, se
pare a quelle
Che faccino
bucata, essi la fanno,
Ed esse a
pancia tesa se ne stanno.
E molte,
che gli danno
Di buone
busse, e i poveri castroni
Stan lì,
come bagnati cornacchioni.
E non san
che i bastoni
Son la
miglior ricetta che s'accatti
Per frenar
questi umor bestiali e matti.
Ancor
forz'è ch'io gratti
La pancia
alla cicala, e andar scoprendo
I vizi,
ch'ogni dì vedo e comprendo.
E dir
com'io l'intendo,
Per
dimostrar con ordine e misura
Quant'oggi
sia corrotta la natura.
Ché più
semplice e pura
È' una
donna di tempo maritata
Che non è
una fanciulla scapestrata,
E a una
troia foiata
Son fatti
mille inchini e sberrettate,
E le donne
da ben non son stimate.
Ed oggi più
apprezzate
Son le
lingue maligne e viziose
Che non son
le fideli e virtuose.
E tutte
queste cose
Procedono
che 'l nostro naturale
Ha l'abito
d'ogn'un piegato al male,
Né più v'è
un uom reale,
Ma ognun
attende all'utile e al guadagno,
E beato chi
può farla al compagno.
La mosca
piglia il ragno,
La lepre il
cane, e la formica il tordo,
E tal la
carca altrui, che par balordo.
Il nostro
senso ingordo
Mai non si
sazia, e la Ricchezza ria
Vorrebbe
ognor veder la Carestia.
E tal va
per la via
Che par
messer Schivoso nella cera,
Qual poi ha
in sen le carte da primiera,
E sta
aspettar la sera
Per andar'
a giocar alle baccane,
Alle
bettole, ai chiassi, alle puttane.
Quante
persone vane,
Che si
fanno conscienza d'un quattrino
E poi
rubano la notte un magazzino?
Quanti fan
l'indovino
E
predicendo van l'altrui venture,
Che
conoscer non san le lor sciagure,
Né lor
disavventure?
E quanti
vanno attorno pitoccando
Che sempre
han cento scudi al lor comando?
E quanti
passeggiando
Fanno il
grande con abiti pomposi,
Che son
scritti fra i pover vergognosi?
Quanti fan
gli amorosi,
I belli e i
profumati con le dame,
Che poi la
sera crepan della fame?
Quante
vecchiette infame
A torto
collo vanno, e a testa china,
Che poi
portano i polli alla vicina?
Quanti sono
in rovina
Andati, che
non han speso un marchetto,
Per far un
beneficio a un poveretto?
E tal fuori
dal suo tetto
Fa il
bell'umor, e tiene ognuno in spasso,
Che in casa
sua poi sembra un Satanasso?
Quanti
fanno il gradasso
E bravano a
credenza tutto il giorno,
Che
all'occasion si caccerìan in un forno?
Quanti han
bei panni intorno,
Danari e
servi, e buon cavalli in stalla,
Che gli
starebbe meglio un sacco in spalla?
E s'un di
questi falla,
Non v'è chi
lo riprenda di niente,
Ché la roba
fa l'uom parer prudente.
Quanti per
accidente
Dalla
fortuna son fatti felici,
Che
ingrossano la vista ai loro amici?
Quanti a
quaglie e pernici
Sguazzano a
mensa e s'empiono il budello,
Che non
credon la fame al poverello?
Quanti
sopra il cappello
Portan
pennacchi e voglion parteggiare,
Che farìan
meglio andare a lavorare?
Quanti
vanno a comprare
Dai loro
amici, per aver vantaggio,
Che spendon
più, ed han più scarso saggio?
Quanti
vanno in viaggio,
Pensando
che si sguazzi in gli altrui lati,
Che a casa
tornan frusti e consumati?
Quanti si
fan soldati
Per viver
sullo scoppio e sulla spada,
Che lassan
le reliquie per la strada?
E quanti
dicon: “Vada
Il resto”,
e san di tutti allegramente,
Che poi si
van sbattendo fra la gente?
Quanti
cortesemente
Prestano i
lor denari a tali e quali,
Che gli son
poi nemici capitali?
Quanti
uomini bestiali
Senza
giudizio alcun, senza ragione
Battono le
mogli oneste e buone?
Quanti fan
professione
Di rovinar'
i figli di famiglia,
Col fargli
far dei stocchi a tutta briglia?
E tale
altrui consiglia,
Che se
fosse suo conto, o fatto espresso,
Non lo
farìa, per quanto val se stesso.
Quanti
fanno un processo
De' fatti
altrui, e sopra li banconi
Menan le
gambe, e dan delle canzoni,
Ché, mentre
sui cantoni
Tassano
questo e quel di stolto e pazzo,
Ne le lor
case altri si dà sollazzo?
Chi 'l
taglia catenazzo
Fa con
longhi mostacchi e faccia oscura,
Pensando
che nel pel stia la bravura,
E mentre si
procura
Far trecce,
ricci, e transformarsi il viso,
Move per
tal pazzie le genti a riso?
Quanti
fanno il narciso
Che son
pieni di cauteri e fontanelle,
E ammorban
di pedane e san d'ascelle?
Quanti
portan la pelle
D'agnello,
e quando vengon maneggiati
Si scopron
tanti lupi arrabbiati?
Quanti sono
ingannati
Da certe
dolci e belle paroline,
Sotto cui
stan nascoste opre volpine?
Quanti
aspettano al fine
A
soccorrere un povero ammalato,
E quand'ei
non ha più spirto né fiato?
Quanti, che
mai errato
Non han, vengon
puniti? Quanti ladri
Sguazzan
giocondamente agli altrui quadri?
Quanti
poveri padri
Prodotto
hanno di figli una canaglia,
Che da lor
mai non han quant'è una maglia?
Quanti
vedon la paglia
Nell'occhio
altrui, e gli par duro e grave,
Che ne' lor
propri non vedon' il trave?
Quanti
sotto la chiave
Tengon, né
voglion dare il loro argento,
Se non ne
cavan venti e più per cento?
Quanti per
testamento
Lassan la
roba a certi squaquaroni
Che poi
tiran coreggie da poltroni
Privando
spesso i buoni,
Onde i figli,
i nipoti e le sorelle
Van poi
tapini in queste parti e in quelle?
Quante fan
le donzelle,
Le savie,
le modeste, e le schivose,
Che pria
chiamate son madri che spose?
E quante
stomacose
Si
scortican con lisci e con belletti,
Quanti
cacazibetti
Fan l'amor
di secreto, ch'in palese
Gli mangia
poi il naso il mal francese?
Ed altri fa
il cortese,
E il
liberale con la roba altrui,
Che nol
farìa, s'appartenesse a lui.
V'è ancor
tal uomo a cui
Meglio
fiorisce in bocca una bugia
Quanti per
mala via
Van, con le
vesti lor fruste e stracciate,
Che son
falliti per le sicurtate?
Quante mal
maritate
S'odon
rammaricar, quanti mariti
D'aver mai
preso moglie son pentiti?
Quanti fan
de' partiti
A questo e
quello, e danno moglie a tale
Perché con
tale e quale
Credon far
parentado ed amicizia,
E fanno una
perpetua inimicizia.
Quanti per
avarizia
Portan più
tosto i panni rotti indosso,
Che cavarsi
di borsa un mezzo grosso?
E l'han
tanto nell'osso,
Che quel
ch'ai servi lor dovrìan donare,
E si fan
rappezzare
Cento volte
i giupponi e le calzette,
Roversar li
cappelli e le berrette.
E se
qualcun le smette,
Che non
sian troppo fruste o troppo rotte,
Ne cavano
pantofole per la notte.
Queste non
son carotte,
Ch'io vedo
tal berretta, alcuna fiata,
O roba mal'
usata,
Quante
genti per te vanno in disperso,
Per
seguirti pe'l dritto e pe'l traverso?
Il gallo fa
un bel verso
Mentre fra
le galline sta cantando,
Ma col pie'
sempre indietro va raspando,
Così lo va
imitando
L'amico
finto, che bugie ti vende
O quanti
fan faccende
Con il
cervello e con la fantasia,
Ch'in fatti
poi non san trovar la via?
Quanti fan
mercanzia
Delle lor
mogli e delle lor figliuole,
Lasciandone
la cura a chi la vuole?
Quanti ti
dan parole
E mentre tu
gli attendi e che gli credi
E quanti
ganimedi,
Con que'
suo bei collar' fatti a cannoni
Con
l'amito, la salda e bei cresponi
Van facendo
i pavoni
Portando il
collo intiero a più non posso,
Che Dio sa
poi s'hanno camicia indosso?
Quanti
fanno all'ingrosso
Sguazzar le
lor sgualdrine e le ruffiane,
Quanti fan
feste al cane,
Per amor
del padrone, e dan covelle,
Che senza
quel gli leverìan la pelle?
E quante
artigianelle
Han quattro
soldi in dote ed una cotta
Non
crederiano alla regina Isotta?
E tal ti dà
una botta
In testa, e
tosto nasconde il coltello,
Chi ti fa
bello bello,
E ride in
bocca e par che t'accarezzi,
Che
vorrebbe vederti in mille pezzi?
Altri par
che ti prezzi
E ti lodi
in presenza della gente,
Che poi
dopo di te dice altrimente.
Altri ti fa
il parente,
S'hai della
roba, ma se sei mendico
Ma perché
m'affatico
A voler
dimostrar quel che si vede
S'ancora
n'è di più che non si crede?
Basta ch'io
facci fede
Che 'l
mondo è guasto, e ch'ognun vuol' oprare
Al
contrario di quel ch'ei dovrìa fare.
Però, s'io
sto a penare
E s'ho
d'ogni piacer perso la scrima,
Vien che 'l
mondo non è com'era prima.
Perché più
non si stima
Virtù, ma
sol (ahi, che di duol' io scoppio)
Chi simula,
chi finge e chi va doppio.
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