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Della festa dei Fiori (Introduzione...) (1)
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Il diavolo & l'acqua santa (3/4)
All’economia ho già dedicato tutto un capitolo, così come al
Progresso. Vediamo di studiare le altre virtù negative, che indorano l’orizzonte
del vecchio sano e felice.
Il giovane è per
sua natura poco paziente.
Ha la pelle fina e irascibile e ogni
puntura di spillo è per lui un’offesa fatta alla sua dignità e contro cui reagisce
violentemente. Non offende e non vuol essere offeso; cerca la gioia e la vuole
piena, festante. Ha molto da fare e non vuol esser seccato. Quando sulla via
trova un seccatore o una seccatura (come un nativo e la propria Terra e Natura il quale balla
alla Luna un ballo antico per essere da lui capito, non meno dal suo Dio
interpretato come recitato nella Sacra Scrittura: appare un dèmone Spettro
d’opposto nemico del Verbo comandato, danza mima voce udita comporre Rima, mima
ed interpreta lo Spirito di ugual Dio
scritto nella stessa ugual Natura: per il giovane il quale deve sottomettere
ogni Natura per sempre dominata… è solo un pazzo vecchio antiquato derelitto
d’una passata Stagione della Vita tornare nel Bosco… Fiore Pianta o Foglia ne
scorgeremo come decifreremo l’invisibile Sentiero…).., getta l’uno e
l’altra da parte; senza badare se il suo pugno abbia fatto male a qualcuno o a
qualche cosa. Non essendo paziente, non è tollerante, né indulgente; dacché la tolleranza
e l’indulgenza sono figliuole legittime della pazienza.
Il vecchio
invece ha imparato con una lunga e spesso dolorosa esperienza
che molte seccature sono necessarie condizioni della vita, e che il volerle
abbattere con la violenza è lo stesso che dare un pugno ad un tronco, che ci
contende il cammino.
Il tronco rimane al suo posto e la nostra mano ne rimane ferita o storpiata. E il
vecchio si guarda bene dal voler abbattere la pianta, ma la gira, continuando
il suo cammino.
Il giovane
quando coglie le rose è ben raro che non si punga e non ne abbia
insanguinate le mani.
Il vecchio
coglie le rose e non si punge mai.
La pazienza è buaggine, quando si sopportano i dolori, senza calmarli
o guarirli con l’igiene della filosofia o con la terapeutica delle forze
avverse.
La pazienza è virtù, quando si sopportano i dolori non sanabili né
con l’igiene né con la terapia. Il lamento breve, automatico può essere il grido spontaneo e
irresistibile della natura offesa; ma quando dura, è la confessione
umiliante della nostra debolezza, della nostra impotenza.
È verissimo che la pazienza è resa più facile al vecchio, perché in
lui è minore la sensibilità; ma non cessa per questo di essere una virtù, ch’egli
è andato acquistando con lunga fatica. Egli
ha anche imparato a sue spese che nulla è più prezioso del tempo e le ore o
i giorni spesi nel lamentarsi sono una pura perdita del più prezioso dei capitali.
I grandi uomini hanno trasformato i loro dolori in grandi opere d’ingegno
o in alti eroismi. Goethe guarisce da un amore infelice scrivendo il Werther; il
Poeta non lontano da lui scrive una Poesia…
(P. Mantegazza)
Mezzanotte! la
foresta
Ed i rivi
rumoreggiano,
La montagna
antica è desta.
Suon di cetra
dal suo grembo
E di nani
allegri cori
Odi uscir, qual
strano maggio
Una Selva appar
di fiori.
Fiori arditi,
sconosciuti,
Fronde e steli
prodigiosi,
Come spinti da
passione
Sorgon baldi e
frettolosi.
Rose emergon,
pari a fiamme
Hanno i petali
vermigli,
Quai pilastri di
cristallo
Al ciel
spingonsi bei gigli.
Gli astri grandi
come soli
Guardan giù,
ansiosi, ardenti;
Nei gran calici
dei gigli.
Luce piovono a
torrenti.
In quello stesso
Secolo, fors’anche quello successivo un Giovane approdò presso gli scogli d’una
strana Deriva ove il Poeta aveva scritto la sua Poesia…
Un giorno che mi trovavo in quella regione di scogli e di mare
chiamata la Punta della Cornovaglia, da dove si possono scorgere le rocce di
Land’s End che corrono a precipitarsi come postiglioni nel mare, e tra una
punta e l’altra lo splendore di tutti gli scalmanati cavalli dell’oceano, e non
una sola abitazione umana, quel giorno diedi fine a ciò che potrei chiamare la
mia inchiesta ufficiale…
Mentre mi allontanavo da quel posto, diretto verso nord, mi trovai di
fronte a una casa che dava sul mare, una bella casa tipo ‘bungalow’, con
un’aria davvero di abitazione marina; il suo tratto più caratteristico era un
portico, o una veranda molto ampia, protetta dal piano di sopra, sporto in
avanti; le pareti erano di pietra rozzamente squadrata, a strapiombo, i tetti
in leggera pendenza, coperte di tegole di ardesia verde, il che ispirava un
senso di forza e di riposo, accentuato dalle lunghe linee orizzontali, e a un
lato della veranda c’era una torretta adibita a studio, un rifugio isolato…
E in questa casa abitai per tre settimane…
Era la casa del poeta Machen, il cui nome ricordai benissimo, non
appena lo vidi; aveva sposato una bella ragazza diciottenne, evidentemente
spagnola, la quale giaceva sul suo letto nell’ampia e luminosa camera da letto,
a destra, sulla veranda. Sopra la sua mammella sinistra giaceva un piccolo
bambino, con un ciuccio di gomma in bocca; tutt’e due erano meravigliosamente
preservati come ad una nuova e più limpida vita, e lei era ancora molto bella,
una fronte bianca sotto due bande di capelli corvini….
Il poeta però, non era morto con loro: era nella stanza sul retro,
con un’ampia giacca di un grigio di seta, seduto alla scrivania… a scrivere un
poema di una… precedente vita trascorsa… che i due avevano vissuto chissà dove…
E doveva aver scritto, come potevo vedere, a una velocità folle:
c’erano fogli scritti dappertutto; alle
tre del mattino, poiché sapevo che a quell’ora appunto la nube aveva raggiunto
quell’estremità della… Cornovaglia, e l’aveva fermato, e l’aveva costretto
a poggiare la testa sul tavolo di lavoro; probabilmente la sua giovane moglie
si era addormentata prima, aspettando l’arrivo della nube; chissà quante notti
aveva già passate senza dormire, e così se ne era andata a letto… con tutti i
suoi ricordi con stretta al petto il suo giovane Poeta;
...e lui forse le aveva promesso di seguirla, per morire con lei, ma nell’ostinazione di finire il suo poema aveva continuato a scrivere febbrilmente, e a fare a gara con la maledetta nube, pensando, immagino, ‘solo due strofe ancora’, finché non arrivò la cosa, e egli così come il sonno della ragione piegò la testa sul tavolo; e non credo, io anima che vaga nelle fiamme dell’Inferno, non credo di aver trovato nulla che facesse onore alla mia razza più di questo Machen, e la sua corsa contro la nube: perché è chiaro adesso che, di questi uomini detti poeti, i migliori almeno non scrivevano per far piacere all’oscura inferiore tribù di quelli che potevano leggerli, bensì per dare alla luce quell’ardore Divino che bolle nel loro petto; è chiaro che se tutti i lettori fossero morti, i poeti avrebbero continuato a scrivere, dal momento che scrivono perché li legga Iddio……
...e lui forse le aveva promesso di seguirla, per morire con lei, ma nell’ostinazione di finire il suo poema aveva continuato a scrivere febbrilmente, e a fare a gara con la maledetta nube, pensando, immagino, ‘solo due strofe ancora’, finché non arrivò la cosa, e egli così come il sonno della ragione piegò la testa sul tavolo; e non credo, io anima che vaga nelle fiamme dell’Inferno, non credo di aver trovato nulla che facesse onore alla mia razza più di questo Machen, e la sua corsa contro la nube: perché è chiaro adesso che, di questi uomini detti poeti, i migliori almeno non scrivevano per far piacere all’oscura inferiore tribù di quelli che potevano leggerli, bensì per dare alla luce quell’ardore Divino che bolle nel loro petto; è chiaro che se tutti i lettori fossero morti, i poeti avrebbero continuato a scrivere, dal momento che scrivono perché li legga Iddio……
(M.P. Shiel, La nube purpurea)
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