giuliano

lunedì 4 ottobre 2021

LA REALTA' UNIVERSALE DELLA PERCEZIONE (49)

 
























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& l'Albero del mondo (51)


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La profondità del mondo in base alla terza dimensione è qualcosa di qualitativamente altro rispetto alle prime due dimensioni. Ma se immaginassimo una contemplazione piatta in essa sarebbero immediatamente visibili solo i segmenti retti, mentre la curvatura delle linee, cioè la profondità del mondo in base alla seconda dimensione, si otterrebbe attraverso una specie di correzione intellettuale, derivante anch’essa da una deduzione inconscia. 

 

Voi direte. ‘Non sarà dunque una finzione?’.

 

Sì, ma non distante dalla realtà quotidiana come potrebbe sembrare a prima vista.

 

Noi tutti sappiamo in parte le conseguenze di questa ‘finzione’, poiché per noi, per tutti noi, la prima e la seconda dimensione non hanno lo stesso peso.

 

Mi riferisco all’astigmatismo della nostra vista.

 

Se voi ora immaginate un occhio con un cristallino la cui curvatura raggiunga una forma cilindrica, che soffra cioè del massimo grado di astigmatismo, allora l’immagine da esso riprodotta consisterà in una serie di linee parallele. Ogni linea, nel caso in cui sia perpendicolare alla direzione dell’asse del cristallino, sarà invisibile e quindi noi non potremo nemmeno immaginare che siano possibili delle linee perpendicolari a quel fascio di parallele che costituirà l’unico oggetto della nostra esperienza.




E se le cose stanno così, allora non ci sarà nemmeno l’idea della misura della distanza tra le parallele e quindi della distanza stessa, poiché questa è data da una perpendicolare; in altre parole, intellettualmente, tutte le parallele confluiranno in una. Questo significa che noi vedremo solo una linea retta e proprio la correzione intellettuale le darà la profondità nella seconda dimensione e ci inserirà in tal modo nel mondo piatto.

 

Per una maggiore chiarezza di giudizio, supponiamo poi che l’iride dell’occhio rappresenti una fenditura lineare, collocata tra l’altro proprio sulla retina, cosicché l’occhio vedrà solo una linea isolata o, se si vuole, si avrà coscienza della sola superficie.

 

Che cosa vedremo in questo mondo piatto?

 

Per rappresentarlo in maniera più distinta, è necessario immaginare un piano che intersechi il mondo tridimensionale da cui risulta una sezione del mondo sotto forma di sistemi, cioè di immagini piatte, linee e punti. Immaginiamo di sottoporre un Albero a una simile sezione. I suoi rami daranno sezioni ellittiche e rotonde, le foglie dei segmenti quasi lineari, i fiori e i frutti delle immagini piatte più complesse. Otterremo molti ‘oggetti’ piatti, indipendenti l’uno dall’altro.




 Studiando la morfologia di questi oggetti, l’osservatore li classificherà come segmenti lineari verdi, con piccole protuberanze a forma di ellissi di colore bianco (immaginiamo si tratti di betulle) e di ellissi di colore verde. Egli creerà alcuni ‘concetti generali’ e questo sarà un importante merito scientifico. Osservando i vari processi vitali nelle diverse conformazioni e la loro contemporaneità, dopo aver forse già studiato le proprietà chimiche delle linfe, un geniale botanico riconoscerà l’unità del tipo di organizzazione delle proiezioni delle foglie e dei ramoscelli e, forse, creerà addirittura una teoria evolutiva in accordo con la quale verrà riconosciuta l’unità dell’origine di tutte le forme e in seguito verrà data, ipoteticamente, la genealogia delle foglie cresciute da una specie di proto-ramo.

 

La connessione temporale: ecco la maggiore apertura del pensiero che il nostro botanico astigmatico sarebbe in grado di raggiungere. E che fantasioso e scientifico delirio sembrerebbe l’ipotesi di alcuni ‘mistici’, secondo i quali, forse, tutti questi organismi non sono un’unica cosa solo nella successione temporale, ma anche nella realtà, ed esiste un’unità superiore, un certo ‘Ev (Uno), nel quale essi sono visibili e non solo pensabili come organi. 



 

Forse i pittori del mondo piatto cercherebbero di creare artisticamente un’immagine sintetica nella quale entrerebbero anche le foglie e i ramoscelli. Ma i loro sogni confusi rimarrebbero probabilmente del tutto incomprensibili per la società ‘piatta’ e per i ‘piatti’ critici d’arte, pur riuscendo a risvegliare una sorta di insoddisfazione per questa sorta di contemplazione bidimensionale.

 

Ma immaginiamo ora che, all’improvviso, nell’occhio di uno di questi ‘contemplativi’ il cristallino cominci a curvarsi lungo la direzione dell’asse. Allora bisognerebbe riconoscere anche una nuova dimensione dello spazio, inizialmente in modo confuso poi, man mano che entrambi i raggi di curvatura delle principali sezioni del cristallino si eguaglino, sempre più chiaro. Ed ecco che, nel momento in cui il cristallino prendesse una forma normale per l’uomo, uno degli spettatori vedrebbe subito l’Albero come un tutto intero.

 

Ciò che egli vedrebbe non è paragonabile a nulla di ciò che ha già visto in precedenza: sarebbe una contemplazione qualitativamente nuova. Ma in questo qualitativamente nuovo si potrebbe anche scorgere il vecchio come ‘uno’ degli innumerevoli momenti della sua pienezza. Così tra il vecchio e il nuovo la relazione sarebbe irreversibile: mentre il passaggio dall’alto al basso è naturale, il passaggio dal basso verso l’alto può avvenire solo per il mezzo di un ‘miracolo’.




La porta per passare dalla conoscenza inferiore a quella superiore si apre solo da un lato e qualsiasi tentativo di varcarla forzatamente nella direzione opposta non può che fallire.

 

Questo vale anche per noi.

 

Forse per la visione quadridimensionale il nostro cristallino è ancora rettilineo e perciò noi siamo del tutto privi della possibilità di vedere e di conoscere il carattere quadridimensionale del mondo. La pluralità degli oggetti simili tra loro, in tal caso, si può spiegare per mezzo del loro carattere proiettivo: si tratta della proiezione tridimensionale di un unico oggetto quadridimensionale.

 

Ma, nel momento in cui i nostri occhi si aprono e il mondo ci appare nella sua profondità, noi vediamo il bosco come un unico essere, tutti i lupi come un unico super-lupo e l’umanità come l’unica Una Anima-Mundi.

 

Ma è altrettanto chiaro che la somiglianza tra questo Bosco, il Lupo, l’Uomo e l’Albero, il lupo e l’uomo è assai inferiore, ovviamente, a quella che esiste tra l’albero, il lupo, l’uomo e le loro sezioni microtomiche. A chi conosce la sostanza superiore quella inferiore risulta più comprensibile che a colui il quale conosce solo la sostanza inferiore: per quest’ultimo, la sostanza superiore è completamente irraggiungibile.




 Questo può essere paragonato al tentativo di immaginarsi un uomo basandosi sulle impronte digitali da lui lasciate su un foglio di carta. C’è sicuramente un legame tra l’individualità dell’uomo e la forma delle sue pupille cutanee, dei suoi capillari cutanei e delle cosiddette linee papillari, papillae. L’individualità è impressa in esse in maniera tanto decisa che l’analisi dattiloscopica è riconosciuta come uno dei procedimenti più importanti per stabilire l’identità della persona in questioni di rilevante serietà, quali, ad esempio, quelle giudiziarie.

 

Ma è possibile per un essere bidimensionale, seppur molto intelligente, capire, in base a cinque ghirigori impressi sulla sua superficie, che queste sono le impronte di una persona umana nella sua unicità? E  tanto meno egli potrebbe raffigurarsi l’immagine di quest’uomo tridimensionale, che non può essere paragonata a nessun’altra immagine che egli conosce e che quindi a lui è inaccessibile. Con un grande sforzo del pensiero, l’uomo tridimensionale potrebbe essere concepito dall’uomo bidimensionale, ma soltanto come un’esigenza del pensiero, priva di qualsiasi corrispondenza con la sua esperienza concreta.  




 Un’immagine pluridimensionale non può essere contemplata nella sua integrità nel mondo o, più precisamente, in un’esperienza con un minor numero di dimensioni; proprio a causa del suo maggior grado di realtà, a causa della maggiore realtà, della pienezza del suo contenuto, essa non può essere racchiusa nei confini troppo stretti di un’esistenza inferiore. Ma questa inafferrabilità non esclude che la si possa contemplare in successione, cioè come una serie di momenti separati dal suo essere, oppure come una serie di sezioni microtomiche che a loro volta, pur non fornendo una rappresentazione concreta, danno comunque il concetto astratto di un tutto unico, di cui esse stesse sono l’immagine.

 

E proprio la successione del percorso di questa serie di momenti unisce lo Spazio pluridimensionale con il Tempo, che in questo modo risulta essere una specie di equivalente della quarta dimensione o, se si vuole, della quarta coordinata.

 

Il Pensiero che qui abbiamo analizzato nella sua sostanza è noto a tutti, in quanto esso sta proprio alla base del metodo genetico per l’esame della realtà. Si può comprendere un fenomeno come un tutto, nella sua interezza, non dopo aver staccato da esso un momento sul quale poi si concentrerà tutta l’attenzione, ma abbracciando complessivamente tutti gli stadi dello sviluppo.


[Prosegue con il capitolo completo]








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